Editoriale di Gianmarco Di Napoli per il7 Magazine
Una settimana fa i carabinieri di Oria hanno arrestato e condotto in carcere tale Giuseppe De Virgilis, un signore di 46 anni che – secondo quanto scritto nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Brindisi – è una sorta di serial-stalker di donne. Sulla base delle denunce presentate dalle vittime, che hanno allegato oltre alla loro testimonianza anche le conversazioni e soprattutto i suoi monologhi registrati sulle chat di messenger e whatsapp, il tizio aveva un primo approccio “soft” sui social, presentandosi con profili fasulli tipo “Giuseppe Parte”, “Fausto Crescenzo Crescenzo” e “Giorgio Ferretti”, iniziando una progressiva e inesorabile persecuzione delle donne che prendeva di mira e alle quali non era sufficiente “bloccarlo” sul web perché si presentava di persona, davanti alle loro abitazioni, sul posto di lavoro.
In altre parole le tormentava. A tal punto che le vittime erano costrette a cambiare abitudini di vita e a uscire per strade terrorizzate dall’idea di incontrarlo.
Per altro alcune di loro lavorano e le inseguiva anche nei negozi o nei bar in cui prestano servizio. E le chiamava al telefono fisso e riusciva a trovare il nuovo recapito quando cambiavano il numero dello smartphone. Un incubo.
Ma il signor De Virgilis, sempre secondo quanto scritto negli atti giudiziari a suo carico, non era soltanto una stalker che si limitava (si fa per dire) alla vessazione psicologica e alla persecuzione fisica. Rendendosi conto di non provocare alcun interesse nelle donne che insidiava, scaricava la sua rabbia contro chi cercava di dissuaderlo e di proteggerle. Così arrivò a schiaffeggiare per strada un amico di due delle sue vittime, tanto violentemente da farlo finire per terra, o danneggiargli più volte l’auto. Un’indole estremamente aggressiva confermata dalle molestie telefoniche fatte ai vicini di casa sfociate poi addirittura nel danneggiamento della loro porta d’ingresso, armato di coltello, urlando “vi devo staccare la testa dal collo”.
E’ insomma un caso da letteratura giudiziaria di uno stalker pericoloso, tanto che nell’ordinanza di custodia cautelare il gip, dopo aver fatto riferimento alle denunce querele presentate dalle vittime, scrive che la misura cautelare adeguata è quella del carcere “trattandosi di un soggetto che ha dimostrato una assoluta incapacità a resistere ai propri impulsi, esternando la propria indole violenta, molesta, aggressiva. E’ evidente dunque che è una persona inaffidabile, priva di freni inibitori che potrebbe facilmente avvicinarsi alle parti offese, per altro anche vicine di casa, anche solo per intimidirle o reiterare il reato”. E ancora: “E’ una personalità pericolosa, incline alla violenza e alla prevaricazione, capace dunque di reiterare condotte analoghe”.
E allora qual è la stranezza? Qual è l’incredibile bug che rivela un nervo scoperto del nostro sistema giudiziario? Questo: dopo le denunce delle vittime e le indagini rapide dei carabinieri, la procura di Brindisi è stata altrettanto veloce, chiedendo l’arresto dell’indagato il 27 ottobre dello scorso anno. Tale richiesta, come è facilmente riscontrabile negli atti processuali, è stata depositata nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari il giorno successivo ma l’arresto è scattato solo il 6 febbraio 2023. Sono trascorsi cioè 101 giorni nei quali l’indagato è rimasto libero di agire.
Ora, escludendo qualsiasi responsabilità individuale dei magistrati inquirente e giudicante che si sono occupati del caso e attribuendo questo ritardo con ogni probabilità alla enorme mole di fascicoli giudiziari che i pochi giudici in servizio al Palazzo di Giustizia di Brindisi (come in quelli di tutta Italia) hanno difficoltà a smaltire, il problema resta ed è rilevante: come mai non esiste uno scivolo preferenziale che consenta di dare priorità a vicende giudiziarie nelle quali esiste un rischio, tangibile, per l’incolumità fisica e psicologica delle vittime?
Perché mentre procedimenti giudiziari per reati contro il patrimonio, traffico di droga o di armi, seppure gravissimi, presentano un’urgenza relativa e l’esecuzione delle ordinanze possono slittare di qualche giorno senza rischi tangibili, lo stesso non si può dire nel caso della violenza sulle donne, dove un giorno in più, o anche solo un’ora in più, possono rivelarsi fatali.
E’ inutile organizzare convegni, dibattiti, dipingere le panchine e le scarpe di rosso, effettuare un’opera di sensibilizzazione spingendo le vittime a denunciare i loro aggressori, convincendole che è fondamentale avere il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine per proteggere la propria incolumità se poi, quando arrivano denunce dettagliate, oggettive, documentate in maniera inattaccabile con le schermate delle conversazioni, devono trascorrere più di tre mesi prima che uno stalker, che ha già dato segni di attitudine alla violenza e che sta avendo un atteggiamento sempre più aggressivo, venga bloccato.
In quei 101 giorni l’indagato avrebbe potuto anche venire a conoscenza del fatto che le sue vittime, alcune delle quali vicine di casa, una di loro persino incinta, lo avevano denunciato. O comunque compiere atti gravissimi per la loro incolumità. In un caso del genere chi si sarebbe assunto la responsabilità dell’accaduto?
Non stiamo facendo ipotesi peregrine.
Dall’avviso di conclusioni delle indagini preliminari, notificato due giorni fa al signor Giuseppe De Virgilis, si ha la conferma che nel periodo compreso tra la richiesta d’arresto e la sua esecuzione egli avrebbe continuato imperterrito a colpire, nel vero senso della parola, le sue vittime: il 5 novembre avrebbe preso a schiaffi il padre di una delle donne da lui perseguitate, minacciandolo “vi devo mettere fuoco vivi”. Inoltrea gennaio, solo un mese fa, avrebbe insidiato un’altra donna, pure lei vicina di casa, prima con tentativi d’approccio molesti su Facebook poi con un coltello nelle scale dell’abitazione, intimandole di aprire la porta e urlando “vi devo staccare la testa dal collo”. Insomma si è rischiato, in concreto, qualcosa di molto grave.
“E’ vero, sono uno stalker, ma ho i miei problemi”, si è giustificato in carcere il signor De Virgilis rispondendo alle domande del giudice nell’interrogatorio di garanzia. Ma evidentemente anche il sistema giudiziario ha i suoi problemi e sono preoccupanti. Eppure la novità del cosiddetto «Codice Rosso» è uno straordinario strumento che dovrebbe accelerare l’iter d’indagine per i delitti legati alla violenza sulle donne. Prevede che le notizie di reato siano riferite dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero immediatamente e, in prima battuta, anche a voce. Il pm poi assume entro tre giorni le informazioni dalla presunta vittima per offrirle un rapido ombrello di garanzie. Insomma, a fronte di un’organizzazione sempre più rodata nell’attività di sensibilizzazione delle vittime e di investigazione, come è stato anche nell’indagine-lampo contro lo stalker di Oria, non esiste evidentemente ancora un percorso giudiziario (e il caso analizzato ne è il paradigma) rapido ed efficace che consenta di intervenire in tempi altrettanto veloci e in maniera efficace nella parte repressiva.
Il signor De Virgilis nei quasi quattro mesi in cui è rimasto in circolazione, nonostante le denunce e la richiesta d’arresto, non è stato colpito neanche da un provvedimento intermedio, come quello del divieto di avvicinamento alle vittime. E’ questo il bug che va risolto.
Perché almeno questa volta si può affrontare il problema senza chiedersi cosa si sarebbe potuto fare per evitare un dramma che il destino ci ha risparmiato. Perché va tutelato subito, e non solo sulla carta e nei buoni propositi, chi ha avuto il coraggio di denunciare e che proprio per averlo fatto rischia doppiamente la vita.