Svolta per Giorgia: ecco tutte le prove per la Cassazione

La Corte d’Appello di Lecce, ribaltando la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Brindisi, ha mandato assolto Giuseppe Lonoce, il giovane di 37 anni accusato di aver provocato la morte della 29enne Giorgia Zuccaro in un incidente stradale avvenuto sette anni fa. Nella motivazione della sentenza (presidente Nicola Lariccia, giudici Pietro Baffa e Domenico Toni) si legge che non esiste alcuna prova che il giovane fosse effettivamente alla guida della vettura (fu trovato positivo sia al test della droga che a quello dell’alcol, oltre che essere privo di patente perché sospesa per un precedente incidente). E arriva a sentenziare che “fosse lei a guidare l’auto al momento del sinistro, non avendo altre persone disponibili ad accompagnarla”.
In primo grado Lonoce era stato condannato a quattro anni e tre mesi di reclusione per omicidio colposo.
Ma l’ipotesi avallata dalla Corte d’appello contrasta in maniera netta con quanto provato nel corso del processo penale celebratosi a Brindisi e durante il quale erano emersi elementi considerati ineccepibili per affermare che quella vettura era guidata dall’imputato. E’ quanto sostiene fermamente la famiglia della ragazza e l’avvocato Daniela Faggiano che l’ha rappresentata come parte civile nel processo di primo grado.
Alla luce di tutto ciò la procura generale di Lecce ha deciso di impugnare la sentenza di assoluzione e di presentare ricorso in Cassazione per vizio di forma.
Ma quali sono gli elementi che sembrano non essere stati presi in considerazione dai giudici di secondo grado?
La testimonianza. Intanto la prova principale, ottenuta in aula – nel corso del processo – ossia la testimonianza di un poliziotto della questura di Brindisi che dichiarò: “Finiti gli accertamenti sul posto dell’incidente, siamo andati in ospedale dove si trovava Lonoce il quale non era in condizione di sottoscrivere alcuna verbalizzazione, però alla presenza del dottor De Leonardis, medico del reparto, e di un infermiere, ha riferito che era lui il conducente del veicolo”. Queste circostanze erano state precedentemente sottoscritte anche in un verbale redatto dallo stesso poliziotto.
Ma questa testimonianza, che sarà centrale nel ricorso in Cassazione (perché non sarebbe stata materialmente visionata dai giudici di secondo grado in quanto non inserita nelle motivazioni della sentenza emessa dal Tribunale di Brindisi), non è l’unica che supporterebbe la tesi secondo cui era il ragazzo a guidare la Fiat Punto a bordo della quale Giorgia Zuccaro perse la vita.
La posizione dell’auto. Nella sentenza di assoluzione si sostiene che la vettura, dopo l’incidente, aveva capottato e si era fermata poggiata in verticale sulla fiancata di guida, rendendo impossibile al conducente di uscire da quel lato dell’abitacolo, come era stato invece dichiarato da un testimone oculare.
E invece nella relazione di un agente di polizia in servizio quella notte (anch’essa inserita nel fascicolo processuale), si chiarisce perché la vettura si trovasse poggiata su un lato. “L’auto si trovava capovolta con all’interno una donna che appariva in gravi condizioni di salute e poco distante, sul marciapiedi, vi era un giovane che si trovava nell’auto prima dell’incidente anch’egli ferito. Insieme ad altre persone provvedemmo a sollevare il veicolo riversandolo sul fianco sinistro, liberando la malcapitata dalle lamiere che la sovrastavano”.
Circostanza questa confermata dalla perizia del consulente tecnico del Tribunale che descrive la dinamica dell’incidente: “Dopo tale violento urto l’auto abbatteva con la parte anteriore destra parte del cordolo cementizio di un muro e ritornava sulla carreggiata, sempre capovolta con la parte anteriore rivolta al margine di sinistra. Quando il veicolo era ormai fermo, il conducente usciva dall’abitacolo dal lato guida, mentre per poter prestare soccorso a Giorgia Zuccaro i primi soccorritori sollevavano il veicolo adagiandolo sul lato sinistro.
Infine, non di minore importanza viene considerata la tipologia di ferite riportate da Lonoce nell’incidente, refertate in ospedale e inserite nella relazione di servizio della polizia: “Grossa contusione polmonare sinistra da trauma con versamento ematico e bolle d’aria. Pneumotorace sinistro”. Dunque l’urto era avvenuto verosimilmente contro lo sportello sinistro, ossia quello di guida.
Decisivo nel lavoro di ricostruzione, il ruolo dell’avvocato Daniela Faggiano che nel processo di primo grado aveva rappresentato la parte civile per conto della famiglia di Giorgia: il papà Franco, la mamma Anna Donateo, la sorella Alessandra Zuccaro. “Penso che le stesse discrepanze tra il materiale probatorio a supporto della sentenza di primo grado e quanto valutato dai giudici d’Appello abbia convinto il procuratore generale a formalizzare il ricorso in Cassazione”, spiega l’avvocato Faggiano. Ora la vicenda processuale prevede due step: il primo è quello dell’ammissione del ricorso da parte della Cassazione che lo deve ritenere legittimo. In caso positivo verrà celebrato un processo che potrà avere due soluzioni: o la conferma della sentenza della Corte d’Appello (e dunque l’assoluzione definitiva), o l’annullamento della sentenza con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello di Lecce per la celebrazione di un nuovo processo di secondo grado.
“Sentirsi dire che il fatto non sussiste è come se avessero detto Giorgia è ancora qui e non è successo niente”, commenta la madre Anna. “Purtroppo è invece successo e qualcuno ha causato questo. Da parte nostra non esiste un sentimento di vendetta, perché non ci restituirebbe nostra figlia. Però un desiderio di giustizia sì, perché penso sia importante per tutti noi: per Giorgia e per chi come lei ha pagato con la vita per colpe non sue”.