
E’ stata sufficiente una dimenticanza o -come sostengono i più scafati e addentro ai giochi di palazzo – una vera e propria omissione da parte dei ministri competenti, perché, all’improvviso, mentre fra feste natalizie e vax day l’opinione pubblica tutta e gran parte del mondo politico e massmediale sono in tutt’altro affaccendati, si fa nuovamente alto, altissimo, il rischio che da qui a pochi mesi, poco al largo dei nostri mari, tornino a bombardare i fondali marini i potenti cannoni ad aria compressa usati dai cercatori di petrolio e che i fondali prescelti siano ridotti dalle trivelle a mo di un immenso groviera.
Eppure quando un paio di anni addietro l’allora governo giallo-verde (verde Lega e non verde ambientalisti), a seguito di una lunga diatriba e tenuto conto ufficiosamente delle risultanze del referendum sulle trivelle che, pur non avendo raggiunto il quorum – più per strafottenza degli abitanti delle città e delle regioni lontane dalla costa che per altro – aveva sentenziato che 13 milioni di persone, il 90% dei votanti, era contro le trivellazioni in mare, aveva varato un provvedimento legislativo che stabiliva una moratoria di 24 mesi sui permessi di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi per dare tempo al Ministero dello Sviluppo Economico ed al Ministero dell’Ambiente di redigere e presentare un piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, al fine di individuare un quadro definito di riferimento delle aree ove e’ consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale, volto a valorizzare la sostenibilita’ ambientale, sociale ed economica delle stesse.
Nelle more dell’adozione del Piano vennero sospesi i procedimenti amministrativi, ivi inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, per cui chi ha a cuore l’ambiente tirò un grosso sospiro di sollievo e si misero a tacere i cannoni ad aria compressa che, fra mille polemiche, stavano bombardando e scandagliando i nostri fondali marini.
Senonchè passati i 24 mesi previsti, non solo i ministeri competenti non hanno ancora presentato alcun piano ma, evidentemente cullandosi sulla certezza che, come spesso accade per le cose italiche, la proroga sarebbe stata prorogata all’infinito, pare che le bocce siano rimaste completamente ferme e chi avrebbe dovuto lavorare alacremente a questo piano se ne sia stato a rigirarsi pigramente i pollici invece di adempiere a quanto di suo dovere.
A questo punto, dal momento che la lobbie dei petrolieri non è certo l’ultima ruota del carro in una civiltà in cui ancora è in auge il vecchio detto democristiano che chi controlla il petrolio controlla il mondo, il Governo, questa volta ad impulso giallorosso, ha stralciato dal decreto mille proroghe l’art.20 che prevedeva una nuova moratoria, proprio alla luce della circostanza che la presentazione del piano era condizione essenziale per l’efficacia della moratoria, e la frittata è servita: fra pochi giorni, se non dovessero intervenire fatti nuovi, le compagnie petrolifere potranno pretendere di ricominciare a scandagliare il fondo del mare in vista delle future trivellazioni che, da quel che è dato sapere, potrebbero poter contare su concessioni trentennali od anche quarantennali: e meno male che l’Italia stava abbandonando le fonti fossili!!!
Una bella ipoteca, non c’è che dire, o meglio ancora una vera e propria spada di Damocle, su di noi, sui nostri figli ed i nostri futuri nipoti.
Cerchiamo ora di mettere un po’ di ordine, riprendendo ed attualizzando gli argomenti che avevamo già affrontato due e tre anni fa, per comprendere in cosa consistano le prospezioni e quali siano i rischi legati alla trivellazione, partendo dal punto di vista che a me, romanticamente, sta più caro, quello dell’impatto, che può essere anche devastante, sulle creature marine.
La tecnica oggi in voga per la ricerca degli idrocarburi, petrolio o gas che sia, è quella già collaudata cosiddetta dell’Airgun, letteralmente “pistola ad aria”, che non rende perfettamente l’idea della impressionante potenza che sprigionano i numerosi e potentissimi cannoni (altro che pistole…) ad aria compressa che fanno partire una sinfonia interminabile di esplosioni a distanza di pochi secondi l’una dall’altra, ininterrottamente, giorno e notte e per intere settimane e mesi, originando onde sonore che arrivano sul fondo del mare, lo attraversano e, in base a come vengono riflesse o rifratte, forniscono informazioni sulla presenza degli idrocarburi. Il livello sonoro raggiunto dalle esplosioni è impressionante e può arrivare fino a 260 decibel, un qualcosa di impressionante se sol si pensi che la soglia del dolore per l’orecchio umano è fissata a 130 decibel e il rumore generato da un tornado arriva al massimo a 250 decibel.
Dal momento che i tratti di mare che le varie compagnie petrolifere intendono scandagliare alla ricerca dell’oro nero sono molto vasti, migliaia e migliaia di chilometri quadrati (circa 30.000 kmq nel solo mar Adriatico), la cosa appare altamente impattante e devastante per il già provato e stanco ecosistema marino, come recentemente acclarato da studi a livello internazionale
Si vuole prescindere in questa sede dall’affrontare il problema della possibile correlazione, prospettata da alcuni studiosi, fra il bombardamento dei fondali marini ed una accresciuta sismicità sulla costa, per evidenziare ciò che la scienza ha già affermato e, si può dire, certificato, riguardo i danni che l’utilizzo della tecnica dell’airgun provoca sulle creature marine.
Secondo gli studi dell’I.S.P.R.A. (acronimo di Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) l’ente pubblico di ricerca italiano, diretta promanazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, i mammiferi marini (ad es. capodogli, balene orche ed i simpaticissimi delfini) ed i pesci hanno evidenziato alterazioni comportamentali (risposta di allarme, cambiamento negli schemi di nuoto, disturbo della comunicazione acustica, deviazione dalle abituali rotte migratorie, ecc.) nei tratti di mare dove si è usato l’airgun per la ricerca petrolifera. Alcuni invertebrati, soprattutto Cefalopodi (ad es. polpi, seppie, calamari e moscardini), hanno mostrato di subire veri e propri danni fisiologici, in particolare a carico degli organi di senso statico e del sistema nervoso che determinano significative alterazioni nel nuoto che li rendono oltremodo vulnerabili. Le popolazioni di plancton hanno subito mortalità causata dall’airgun sino a una distanza di un chilometro dalla sorgente.
In pratica, le devastanti onde sonore investono tutti gli animali marini che sono nei paraggi e, nella migliore delle ipotesi, riescono a fuggire terrorizzati, ma molti di essi perdono l’udito o subiscono emorragie interne che ne provocano, più o meno lentamente, la morte. Gli animali più colpiti dalle esplosioni sono, come si è accennato, i cetacei che possiedono un delicatissimo, quanto fondamentale per la loro vita, apparato uditivo, ma anche molti invertebrati, pesci e tartarughe, subiscono lesioni di una certa entità che ne mette in pericolo la vita. L’airgun produce seri danni anche alle attività di pesca che si sostengono con le specie ittiche locali come dimostrato in uno studio condotto nell’oceano Atlantico, dove è stato evidenziato che le catture del merluzzo bianco e dell’eglefino sono diminuite dal 40% all’80% in tutta l’area sottoposta a prospezione. Altri studi evidenziano come l’impatto maggiore delle esplosioni di aria compressa venga esplicato sulle larve e sugli avannotti delle specie ittiche che mostrano purtroppo un alto tasso di mortalità.
Tutti quanti noi ricordiamo, ancora il fenomeno degli spiaggiamenti collettivi di enormi capodogli sulle coste adriatiche, esattamente a Vasto, in concomitanza con l’attività di ricerca di idrocarburi al largo della costa abruzzese.
Una volta terminata, a caro prezzo per la fauna marina, l’attività di ricerca tramite airgun, e stabiliti i fondali adatti per l’industria estrattiva, inizierà la seconda fase del disastro ambientale preannunciato: perforazione dei pozzi, costruzione degli impianti estrattivi con uso di fanghi di perforazione di composizione chimica ignota, che inquineranno il fondale marino. Durante la fase di perforazione sia i suddetti fanghi, che i detriti di scavo, per migliaia e migliaia di metri cubi, saranno dispersi nell’ambiente marino, provocando la distruzione della fauna marina bentonica e la desertificazione del fondale stesso, aumenteranno a dismisura oltre che la torbidità dell’acqua, anche la concentrazione di metalli pesanti, come il mercurio, che diventando biodisponibili finiranno, inevitabilmente, per essere bioaccumulati dagli animali marini.
E che dire delle prevedibili e quasi inevitabili – senza voler essere catastrofisti, pensando agli incidenti più disastrosi avvenuti negli ultimi anni nelle varie parti del mondo, ma in virtù di ciò che normalmente accade in questa tipologia di impianti – fuoriuscite di petrolio in mare e la dispersione di rifiuti ed acque di lavaggio dalle enormi piattaforme offshore che spunteranno come funghi “velenosi” nei nostri mari?
Una cosa è certa, gli effetti negativi sulla salute non riguardano solo gli animali marini, ma anche gli uomini che, posti ai vertici della catena alimentare, verranno a nutrirsi di animali contaminati come, ad esempio, molluschi, crostacei ed echinodermi che vivono sui fondali inquinati o anche pesci che a loro volta si sono nutriti di questi animali; gli idrocarburi tendono ad accumularsi nei tessuti adiposi e, una volta entrati nell’organismo, causano una maggiore predisposizione anche all’insorgenza di malattie tumorali.
Ritornando a cosa potrà accadere nei prossimi mesi ed anni nei nostri mari, va evidenziato che sono oltre cinquanta i permessi di ricerca di idrocarburi che interessano il mar Adriatico ed il mar Jonio e di questi una decina fra Brindisi e Bari e tre al largo di Taranto
La speranza di una nuova moratoria, stante il lassismo dei ministeri competenti che ha reso inattuabile la proroga di quella vecchia, passa ora dalla levata di scudi delle associazioni e dei movimenti ambientalisti e dalla forza che sapranno dimostrare le autorità locali.
Il Governatore della Regione Puglia Michele Emiliano ha immediatamente scritto al Presidente del Consiglio ed ai ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico, invitandoli al rispetto dell’ambiente ed al contrasto ai cambiamenti climatici (l’uso e l’abuso delle fonti fossili sono la causa principale dei cambiamenti climatici). Ha ricordato che la Puglia ha da tempo assunto scelte nette in materia energetica, provando ad anticipare processi di decarbonizzazione e conversione ecologica del sistema economico e produttivo, che ad oggi non sono più rinviabili.
Il Governatore non ha risparmiato ai ministri una tiratina di orecchie per il ritardo nella redazione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee ed ha concluso chiedendo una proroga della moratoria anche per l’avvio di un tavolo di concertazione tra Stato, Ministeri, Regioni, forze politiche e movimenti territoriali, finalizzato al confronto sul futuro energetico del Paese con particolare riferimento all’utilizzo delle fonti fossili e relative implicazioni ambientali. Per finire, ha ricordato che è fondamentale che l’Italia ponga fine all’incentivazione alle energie fossili (petrolio, gas, carbone) e definisca il richiamato piano senza ulteriori ritardi, in quanto tali ritardi potrebbero riaprire la strada alle compagnie petrolifere.