
di Giancarlo Sacrestano
Scrivono bene quelli che hanno studiato: “Brundisium longae finis chartaeque viaeque est, ovvero che,
Brindisi è la fine dei lunghi racconti e dei viaggi.
Il poeta latino Orazio, scrisse più o meno queste parole 2053 anni fa, quando percorse insieme ad una delegazione diplomatica tutta la via Appia da Roma a Brindisi. La sua funzione all’interno della delegazione si manifesta nel resoconto, molto poco ufficiale e che ancora oggi fa sudare gli studenti che si provano con la necessaria versione dal latino della sua Satira, I, 5″.
Del viaggio, Orazio, non racconta la importante ragione politico-militare: stanno saltando gli equilibri internazionali, sanciti proprio a Brindisi con la “Pace Brindisina” nel 40 A.C., ma si sofferma su episodi marginali e poco interessanti, come ad esempio: “…è nocivo giocare a palla con la congiuntivite e il mal di stomaco.” Eppure più di ogni altro svariato milione di testimoni, meglio di lui nessuno, ha sancito cos’è Brindisi. Fine di ogni viaggio e di ogni racconto!!!
A rinnovare l’antica tradizione di quanti si vogliono provare a sperimentare l’identità di Brindisi e della via Appia, la “Regina Viarum” è stato lo scorso anno Paolo Rumiz, il giornalista scrittore che, per il quotidiano La Repubblica, ha stilato un taccuino di viaggio alla riscoperta dell’antico tracciato della più nota via consolare romana.
Della colonna (forse) terminale della Via Appia e del porto scrive: “…La vedemmo all’improvviso, dietro la casa di Virgilio (che a Brindisi era passato a miglior vita), e insieme apparve l’Adriatico. In cima al possente monolito, un dio simile a Poseidone allargava le braccia propiziatrici, ma il porto più strategico del Mediterraneo era desolatamente vuoto. Solo dieci anni prima l’avevo visto pieno di Greci e Turchi allo sbarco. Ora era abitato solo da fantasmi di triremi e navi onerarie, feluche saracene e fruste dell’Egeo. Quasi estinti i traghetti. Dopo il Sud, l’Europa perdeva l’Oriente. E l’Italia era ormai solo Tirreno”.
Poche parole intensissime e chiare che occorre ripercorrerle tutte 2000 anni per capire la ragione che vede oggi, Brindisi, ancora fine di ogni viaggio e di ogni racconto, ma incapace di mollare gli ormeggi e prendere il largo dello sviluppo sicuro e certo delle sue potenzialità.
Per decenni ci siamo beati del fatto che la causa stesse tutta nella scarsa disponibilità della classe dirigente del territorio a traguardare fini ed obiettivi in linea con le radici del territorio.
Il fallimento sostanziale, non sta nel fallimento di quei processi economici, anzi! Chi li ha voluti e prodotti, ne ha saputo cogliere i frutti, i migliori.
Il fallimento è tutto nell’assenza di una traduzione in cultura sociale di tutto quello che è accaduto.
Appartengo per generazione al tempo della massima espansione delle potenzialità produttive agricolo-industriali del territorio. Negli anni sessanta, chi ha voluto, ha fatto i cosiddetti milioni, a palate, ma l’eredità di oggi è sintetizzata nella assenza di un radicato senso di appartenenza, in una forte ragione culturale, in un sano quanto efficace e spendibile senso dell’uso delle risorse.
Solo una consapevolezza culturale del proprio ruolo, permette ad un gruppo sociale di ricorrere con soddisfazione il proprio progetto di vita. Se il progetto, ogni progetto non viene assunto come proprio, è come voler raccogliere acqua con un colabrodo.
Rumiz, ad un anno di distanza, nel giardino del convento di Santa Chiara, il 29 agosto, testimonia che, camminando a piedi, lentamente, con un progetto chiaro, si arriva a risultati strabilianti.
Come atto di sconvolgente umiltà ed onore, lo scorso anno si tuffò nelle acque del porto, ma appena asciugato dallo scirocco, riprese il passo e di fronte ad una sparuta crocchia di brindisini elevò la voce per raccontare la sua avventura e così a ritroso per ognuno dei luoghi che aveva attraversato. Il successivo 14 novembre, il Ministro per le attività culturali, istituiva il tavolo con i presidenti delle regioni interessate dalla Via Appia, per annunciare la nascita di un vasto programma culturale. Da un progetto culturale, una passeggiata, un massiccio investimento di svariate decine di milioni di euro a cui Brindisi, i brindisini, le sue istituzioni pubbliche, non hanno saputo neppure guardare.
Oggi siamo alle delibere attuative; siamo agli appalti; siamo alla ricaduta finanziaria di una passeggiata che il piccolo manipolo di nuovi Orazio, contro il logorio della vita moderna e i Brindisini si sentiranno dire, previo pagamento del giusto obolo al viaggiatore scrittore, su quale tesoro siedono e comodamente bivaccano nell’attesa che qualcuno parta o arrivi dal molo di quel porto vuoto, afflitto com’è ogni buon indigeno brindisino dalla sindrome malicarnensis.