di Giancarlo Sacrestano
Il 10 settembre del 1943, Brindisi diventa Capitale. Per un semestre esatto, ovvero sino al 10 febbraio 1944 è la capitale di un piccolo pezzo d’Italia non occupato da forze straniere.
Il re, la regina, il principe ereditario, il presidente del Consiglio, il governo stesso, che sino a poche ore prima avevano avuto sede in Roma, si sono precipitosamente rifugiati nella città messapica. Con la firma dell’armistizio agli alleati anglo-americani, la capitale d’Italia, Roma, è immediatamente sottoposta a sanguinosissimi rastrellamenti da parte dei tedeschi, che come solo loro sanno fare, rispondono al cambio di casacca dell’Italia.
Cosa abbia significato, perché è accaduto e quali siano state le conseguenze, del trasferimento della sede delle massime autorità italiane, nella piccola città del basso adriatico, è scritto sui libri di storia.
Chi volesse avventurarsi nella comprensione degli avvenimenti, può trovare moltissimo nell’archivio di questo giornale, come pure l’idea, che abbiamo lanciato in tempi non sospetti, di rendere pubblica la circostanza, con l’installazione di cartelli stradali alle vie d’ingresso alla città, che riportino la semplice frase: “BENVENUTI A BRINDISI, GIA’ CAPITALE D’ITALIA”.
La proposta ricevette il plauso dell’allora presidente della provincia, che la fece sua e del sindaco di Brindisi, che ci dichiarò, nell’occasione del settantesimo della ricorrenza, la volontà di aderire alla proposta.
Di anni ne sono trascorsi tre. Le vicende amministrative del comune, le conosciamo tutti e la cosa ancora ci inquieta, come di più inquieta l’assenza della consapevolezza di vivere in una città che ha scritto pagine importantissime della storia.
Ripeto, a rileggere le pagine della storia c’è sempre tempo, quello che non abbiamo è il tempo dedicato allo stupido esercizio egocentrico dell’ignoranza che non permette di costruire la ragione forte di essere comunità unita nel desiderio di fare qualcosa insieme.
Il nostro deficit d’identità storico, ha persino permesso la costruzione di meschine carriere di pseudo intellettuali locali, che ben si sono guardati dall’assumersi il dovere che conseguiva alla loro identità, quello di essere guida maestra verso l’allargamento della conoscenza a tutti gli strati sociali brindisini.
Lo hanno fatto vendendo opinioni non loro, esibendosi nelle occasioni più disparate, pur di alimentare il proprio protagonismo.
Il risultato è il combinato disposto dello scollamento e della lacerazione sociale che ha comportato da un lato, l’assenza alle proprie responsabilità di un buon 60% degli elettori, che ha preferito astenersi dal voto alle scorse amministrative e dall’altro il pensiero corto ed asfitticamente egoistico di alimentare il desiderio denigratorio che si manifesta più propriamente con l’emigrazione delle leve più giovani e preparate.
Riproporre che all’ingresso della città ci possano essere dei cartelli indicativi che Brindisi è stata capitale, può apparire anacronistico e con un retrogusto nostalgico per un futuro che mai verrà, ma la riproposta, si veste di utile funzione sociale, se si pensa che possa aiutare noi stessi a credere nella nostra dignità, nei valori che esercitiamo con una esagerata dose di disincanto ma che invece sono preziosi e rari e restano valore esclusivo della comunità dei brindisini. La generosità, l’ospitalità, la disponibilità. Diventiamolo di noi stessi.
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