Caro amore mio, hai qualche ruga ma mi piaci lo stesso

Caro amore mio,
non conservo il ricordo della prima volta che ti ho vista. Per me ci sei sempre stata ed ho imparato ad amarti solo scoprendoti nel tempo.

E per questo ti chiedo scusa ma di te, d’altronde, per molto tempo, mi è bastato poco.
Confusamente sapevo che c’eri e che eri mia , e ciò era sufficiente.
Ti guardavo distratto e ti scoprivo mentre, accompagnato dai miei genitori, passeggiavo sul corso principale nelle sere di primavera, mentre giocavo con gli amici in piazzali assolati fra case popolari periferiche o per la strada che conduceva alla scuola elementare.
Tu c’eri; ma io verso di te provavo solo una vaga curiosità e né saprei dire se più forte fosse allora il desiderio di te o il naturale ardore giovanile di libertà.
Allora ero troppo giovane per capirlo e per propormi con maggiore confidenza.
E poi, i miei genitori, così protettivi, non me lo avrebbero mai permesso.
Sai ,di questi tempi è difficile parlare d’amore; dicono che è argomento per canzonette e anch’io provo quasi imbarazzo ma , prima o poi dovevo farlo perché il non avertene mai parlato, io l’ho sempre vissuto quasi come una colpa.
Si, è vero, la lettera d’amore è cosa d’altri tempi e, forse, in altri tempi avrei dovuto aver più cura di te e difenderti.
Non averlo fatto l’ho vissuto come un rimorso e forse anche per questo ho deciso, in questa lettera, di essere sincero sino in fondo.
Ricordo ancora con un po’ di vergogna la prima volta che sono rimasto da solo con te.
Ne ricordo il timore e l’eccitazione.
Mi sentivo perso, solo; tutti i miei desideri, la mia voglia di diventare adulto non trovavano i gesti appropriati da compiere.
E già allora fosti tu, con la tua semplicità, a rubarmi l’iniziativa; a guidarmi.
Averti sempre avuta, essermi sempre stata così vicina, da allora per te ha significato proteggermi, includermi, rassicurarmi ed invece io ho vissuto le tue attenzioni come un destino già scritto, come una maledizione cui non poter sottrarsi.
Ma, sai, ero giovane, la mia pelle aveva bisogno di un nuovo sole che la scaldasse, le mie scarpe avevano bisogno di nuove strade da percorrere, desideravo nuove amicizie, nuove opportunità.
E’ per questo che per un po’ mi sono allontanato da te.
Rimanere qui era morire e invece io volevo vivere intensamente.
Tu allora eri la limitazione da rifiutare, l’accerchiamento da rompere, la promessa da cui svincolarsi.
In quei giorni di follia giovanile ti ho rinfacciato il tuo essere meschina, chiusa, incolta, misera.
Correvo via da te appena potevo e alle partenze che vivevo come rinascite e nuove albe dorate facevano seguito, inevitabilmente, i ritorni mesti che apparivano sempre più delle vere e proprie condanne.
Volevo lasciarti per sempre, definitivamente.
Perché rimanere con te? Mi soffocavi, mi tenevi stretto, mi avvolgevi nel tuo provincialismo nella tua perifericità ed io, invece, volevo vivere nel centro del mondo, nelle piazze più grandi, nei centri più vivi.
Ti conoscevo già benissimo.
Pensavo, in quel tempo, di sapere tutto di te.
Odiavo quasi il calore che ci mettevi nel riaccogliermi nei miei ritorni che, sai bene, per me erano delle vere e proprie sconfitte.
Conoscevo i tuoi lati più bui, tristi, sporchi, le tue cadute di stile, la tua sciatteria, la tua superficialità, il tuo carattere accogliente fino all’eccesso che alimentava voci non proprio lusinghiere.
Tutte queste cose le sai già; te le confesso solo per purificarmi, perché fra noi non venga taciuto più niente.
Ti ho odiata.
Ho imputato a te il mio sentirmi inadeguato dovunque andassi; era come se nei nuovi posti, nelle nuove città, io portassi con me un tuo marchio, un qualcosa di te da nascondere.
Ti ho giudicata; giudicata e paragonata.
Mi sentivo più vivo nelle acque della Sardegna, più libero nei tramonti romani di fronte al Colosseo, più accolto nel calore di Piazza Maggiore a Bologna, più soddisfatto e importante per le strade di Firenze, più europeo nella metropoli milanese.
Tu non potevi darmi niente di tutto ciò.
Ecco perché, alla fine, ritornare definitivamente a vivere qui con te per me ha significato quasi morire un po’.
Era arrivato il tempo della maturità, della responsabilità, della cautela e della prudenza, il tempo in cui avrei dovuto essere uomo e difenderti e invece sono rimasto ancora per anni un superficiale ed egoista.
C’eri ma non ti avevo scelta io.
Per questo non sono intervenuto quando ho capito che altri ti circuivano, ti lusingavano, ti corteggiavano.
Avrei dovuto essere più attento ma non l’ho fatto.
Avrei dovuto capire, starti vicino, difenderti … e invece non l’ho fatto.
Ho assistito, inerme e quasi disinteressato, alla violenza cui ti hanno sottoposta.
Scusami, non capivo; si, ero qui, ma era come se le notizie su ciò che ti succedeva mi arrivassero frammentate, distorte, confuse.
Ero qui e non ho mosso un dito.
Poi, con il tempo, ti sei ripresa dimostrandoti più forte e risoluta di chi voleva piegarti.
So che tu non mi porti rancore e che mi giudichi con indulgenza.
Adesso sono cambiato.
Sono più consapevole, più attento, più maturo e sicuramente più innamorato di te.
Sei bellissima; non ti schernire, il tempo passato non ha fatto altro, alla fine, che renderti sempre più bella.
Mi piaci; mi piace tutto di te e non ti cambierei con nessun’altra.
Sei, cara Brindisi, amore mio, la città più bella del mondo perché sei la mia casa, la mia famiglia, il mio sole, il mio passato e il mio futuro.
Ti voglio ancora più bene perché conosco le tue rughe, i tuoi dolori, le tue speranze, le tue debolezze.
Così come tu conosci le mie.
So che non ti senti più giovanissima e forse hai ragione ma io ti preferisco così.
Va bene, è vero, sono disposto a riconoscere che qui e là avresti bisogno di qualche piccolo ritocco; appena ce lo potremo permettere andremo dal miglior chirurgo estetico sulla piazza così sarai contenta.
Ma, un’ultima cosa te la devo promettere: questa volta, quando dovrai farti il “ritocchino” sappi che quel giorno, dal chirurgo, ci sarò anch’io.
Absit iniuria verbis.
A.Serni