Per chi crede ai dè javù e al destino, il volume trent’anni di cronaca in piazza Porta Grande racconta dove dovremmo o saremmo dovuti essere. L’ultima fatica del giornalista Pino Messe racconta a generazioni di mesagnesi, a chi è partito e a chi non può ricordare, l’aria che hanno respirato tutti coloro che non se ne sono andati.
Il libro sarà presentato venerdì 11 settembre alle ore 19 su sagrato della Chiesa Madre. Interverranno il governatore Michele Emiliano, il sindaco di Mesagne Pompeo Molfetta, il deputato Antonio Matarrelli e l’editore Alessandro Maggio.
Il lavoro d’insieme sembra pensato per annodare la morfologia storica di un territorio – con il vissuto delle generazioni che in tre decenni di cronaca sono trascorse – e un po’ meno per raccontare singole vicende. Non ci si accorge della libro messeforza di una sorta di universitas bonorum della notizia fino a quando i fatti in pillole vengono riletti ad uno ad uno; è lo stacco di tempo che si constata guardando alla prima e poi all’ultima pagina, e quindi alla prima e all’ultima notizia, che restituisce lo spaccato di epoca scivolato tra la corsa alla carica di sindaco di Elio Bardaro nel febbraio del 1985 e la folla che piange don Angelo Argentiero nel settembre del 2014. Messe inanella fatti e date, in una sequenza che invita il lettore a completare con i “ricordi personali”, che spaziano, ritornano; si incrociano i singoli destini, diventano destino collettivo e identitario. Politica e personaggi, costumi ed economia, fattacci e criminalità organizzata, culacchi e resoconti restituiscono l’eco rimosso di notizie già commentate che furono štruelucu o fugace postilla.
Chi ricorda che a Mesagne nel 1988 ci fu un tentativo di rapimento ai danni di una bambina? Che le prime parole del sindaco Faggiano, dopo la svolta a sinistra della Città nel 1992, descrivono “un momento difficilissimo, di frammentazioni sociali, crisi economica e finanziaria, recessione e disoccupazione che Mesagne saprà superare solo con un cammino di partecipazione, di mobilitazione democratica e di solidarietà”? Porta Grande è da sempre, nella memoria ideale dei mesagnesi, l’agorà per antonomasia; Messe la racconta senza girandolare con le parole. Lo stile non costruisce cinta murarie di pensiero, in metafora simili a quelle che stringevano le antiche piazze di una comunità.
Porta Grande è Mesagne, è casa senza tetto, sotto un cielo abitato da uomini e donne di un paese del sud, in sei lustri volati perché vissuti a perdifiato. Chi rilegherà i prossimi, dopo averli osservati e messi in righe? Giuseppe Messe giura di no. Potrebbe trattarsi di una promessa non mantenuta fatta a se stesso.