Emergenza culturale a Brindisi. Peggiore della mondezza

di Giancarlo Sacrestano

Ha scritto Elio Vittorini che “La cultura non è professione per pochi: è una condizione per tutti, che completa l’esistenza dell’uomo”. Non è raro incappare per le vie cittadine in turisti, ancorchè ignari di Brindisi, che nel breve volgere di poche ore ti dichiarano: “Brindisi non è una città che si lascia facilmente. E’ una città dove si spera di tornare al più presto!

Troppi tesori nascosti, lungo il breve percorso che tra la stazione ferroviaria ed il porto, non ha permesso di visitare”. La brevità del tempo, probabilmente, preserva spesso il turista dall’incontro con i brindisini, incapaci, se presi, nella loro composizione sociale, di avere cura e persino consapevolezza, dell’enorme giacimento culturale su cui beatamente sonnecchiano.

Un’abbondante coltre di pietà, stendo per evitare di trattare dei troppi episodi individuali, di cui si fanno protagonisti inqualificabili brindisini, che sottraggono ai preziosissimi turisti, con i beni, anche il piacere di conoscere e farsi affascinare dalla nostra bellissima terra.

C’è però qualcosa che è peggio, offensivo per ogni intelligenza, il sovrappiù di sufficienza con cui ogni proposta di intervento culturale sul territorio, si scontra con qualche celato interesse contrapposto, con qualche forma di dichiarato interesse, ma lontano dal diventare preoccupazione principale.

Così accade che, ingentissime somme, investite da istituzioni pubbliche e private, non riescano ad innescare un processo positivamente virtuoso, che dalla consapevolezza di un giacimento, realizzi il processo di sfruttamento delle sue enormi risorse.

La cultura, ancor prima della coltivazione delle terre, ancor prima della produzione industriale, rappresenta la ragione e la forza di un gruppo sociale, che solo così sa da dove arriva e sa come progettare dove vuole andare. In questi giorni in cui, non sappiamo chi svuoterà i cassonetti dell’immondizia; che fine faranno i tanti dipendenti delle aziende partecipate dalle istituzioni locali, ci si permette il lusso di sradicare i fruttuosi rami degli investimenti culturali e il tutto avviene nel mentre l’azione amministrativa cittadina deve ancora prendere le misure della sua maggioranza e quella provinciale, balbetta agli organi regionali e governativi, il proprio disagio. E quel che conta nel silenzio assordante di chi continua a credere che la cultura non serve a niente.

Nelle settimane scorse, è cessata la convenzione stipulata cinque anni prima tra l’arcivescovo di Brindisi e la soc. CRACC srl, spin off dell’Università del Salento, che presso il sito della Chiesa di San Michele Arcangelo e con un’illuminata percezione di un progetto di conservazione e promozione dell’arte, ha dato vita al MAP, il Museo Mediterraneo dell’Arte Presente.

E’ nell’ordine naturale dei contratti, che essi abbiano un termine e che ragioni più che ovvie – la necessità di urgenti lavori di restauro – diversa destinazione del bene – non consentano il proseguimento di un rapporto che, per quanto proficuo, interferisce con le reciproche legittime aspettative delle parti.

Quello che non funziona proprio in questa storia, è che questioni di ragioneria contabile, abbiano spento una luce che per le sue caratteristiche è più un unicum che un alter. Non aggiungo la mia alle tante voci di solidarietà al direttore scientifico del MAP, il prof. Massimo Guastella, a lui sono legato da profonda stima, ma il progetto che è stato partorito dall’allora arcivescovo di Brindisi, intercettava e coniugava con efficacia e lungimiranza un compito assai complesso di unire in un solo processo, la crescita della consapevolezza di una fede che adulta nella fede, vive tra la gente e cammina per le strade e costruisce speranza, con la funzione sociale dell’arte, ovvero quella di stimolante provocazione che nel continuo divenire del Presente, traguardi l’utopia del futuro. Il sogno.

La speranza. Questo progetto abbisognava di continue iniezioni di fiducia e sostegno che via più nel tempo si sono affievolite, in ragione anche di un dialogo che si è frastagliato sino a ridursi a mera questione contabile, perdendo di vista la luce che la funzione primitiva aveva conferito al progetto culturale. Nonostante tutto, qualcosa è mancato perché, nei tempi e nel rispetto dei ruoli, l’iniziativa implementasse la sua azione. Brindisi, le sue istituzioni, oltre il garbo personale, non ha mai preso consapevolezza dell’importante ruolo che il MAP svolgeva nel territorio. La sua era e resta proposta d’impresa, non di una organizzazione no profit.

Il suo fine traguarda un principio che si può concentrare nel motto: “Da un’Impresa della Cultura, la Cultura d’Impresa”. Nel MAP, tutto l’impianto possibile dello sviluppo sociale ed economico del territorio, lo si poteva leggere nella sua magmatica composizione culturale. Il MAP è il brodo di coltura, un concentrato di intraprendenza che invita ad osare oltre il proprio minuscolo ruolo di visitatore del territorio, per divenirne VISITATTORE. Già, ma è difficile annunciare il nuovo, senza la denuncia delle forze reattive che impongono ad un territorio di restare fermo, legato, intrappolato a comportamenti, ruoli e funzioni che, le trascorse elezioni ci offrono in un dato devastante: il 60% dei cittadini si è astenuto. Il 60% dei cittadini, al netto della possibile scarsa o limitata proposta elettorale a cui non ha inteso dare il voto, ha rinunciato al proprio ruolo di attore-agente nella realtà di questo territorio, che non può permettersi il lusso di escludere dalla partecipazione ogni singolo cittadino.

Il MAP, riaprirà presto e non è solo un auspicio. Il suo ruolo di insostituibile incubatore di novità dovrà riprendere presto, facendo leva, non già sulla volontà di una conveniente convenzione con qualche istituzione, ma in ragione della pressione che il bisogno di nuovo e di sperimentabile – Arte Presente, appunto – sia sostenuto e partecipato dai cittadini. Su un marcapiano di Palazzo Granafei-Nervegna si legge: “A che giova allo stolto aver ricchezze se non può comperare la saggezza?”. Già! E’ la conoscenza la vera ricchezza che rende anche l’ignorante un possibile saggio. Precludere la conoscenza ai cittadini, evitare che tra essi si formino liberi convincimenti, non è un peccato, ma un reato.