A metà ‘700 Brindisi contava 8.000 abitanti e 10 conventi

Nel Libro delle Anime di Brindisi 1754 a cura di Loredana Vecchio si documenta che in quell’anno la città contava con 8604 abitanti, di cui 500 ecclesiastici; ed erano attivi 10 conventi, quindi ben più di uno ogni 1000 abitanti. Un po’ come se oggi di conventi a Brindisi ce ne fossero 100.
Una città decisamente molto povera, in uno dei suoi momenti storici più tristi, così come la descrissero e la documentarono vari viaggiatori, anche stranieri, che la visitarono intorno a quell’anno. Tra di loro Antoine Laurent Castellan, letterato e pittore francese obbligato nel 1797 a una quarantena nella rada di Brindisi, che scrisse pagine e pagine sulla città e sui suoi cittadini e che, tra tanto altro, ebbe modo di commentare anche quell’insolito proliferare di ecclesiastici e di conventi, abbozzando peraltro, alcune possibili cause di quel fenomeno:
«Dal fondo delle acque, che contengono un ammasso di materie putride in disfacimento, ci sono continue esalazioni di un gas fetido, i cui globuli giungono a scoppiare alla superficie del mare e sembrano farlo ribollire. Le malattie hanno spopolato intere strade, il popolo si nutre poco e male, e stuoli di mendicanti premono alle porte di chiese e conventi, dove si distribuisce minestra. Gli ammalati son tanto numerosi che un solo ospedale non è più bastato, e ce n’è voluto un secondo. La maggior parte dei bambini che vi nascono non raggiunge la pubertà; gli altri, pallidi e senza forza, trascinano un’esistenza dolorosa che termina molto spesso con spaventose malattie. Gli abitanti in città diminuiscono giorno per giorno, soprattutto durante i grandi caldi. Senza esagerare, la metà degli abitanti popola i conventi: in un luogo in cui mancano le industrie, il commercio, e quindi ci sono poche ricchezze, si preferisce la vita in comunità a quella di una normale famiglia; essa è meno costosa e offre risorse ben maggiori. D’altronde i monasteri hanno un reddito e proprietà, le quali, essendo inalienabili, sono al sicuro dalle occasioni che spesso depistano la fortuna dei privati. L’esiguità dei mezzi della maggior parte delle famiglie, le pone nell’impossibilità di dedicarsi ai dispendiosi piaceri della società. Nei conventi si è accolti; qui si trova una certa compagnia; si fanno parecchi tipi di giochi; si fa musica; i parlatori divengono veri e propri salotti e in alcuni si fa a meno persino della ruota e della grata. Per ciò, giovani allevati sin dall’infanzia in un luogo che di convento ha il nome senza averne l’austerità, lo preferiscono al mondo che non conoscono e persino alla casa paterna. Qui non godrebbero infatti dei piaceri offerti da quei ritiri religiosi, dei quali si fa loro apprezzare ogni fascino per convincerli a pronunciare, fin dall’età di quattordici anni, dei voti che procureranno loro, per il resto della vita, un’esistenza almeno assicurata, se non assolutamente indipendente. Il figlio maggiore della famiglia, che anche tra le classi sociali più elevate è destinato a perpetuarne il nome, eredita la totalità del patrimonio e i cadetti, ridotti a una legittima ancor più esigua, entrano in qualche comuna religiosa, o partono con cappa e spada a cercar fortuna. E anche le donne che non trovano marito, specialmente tra le classi sociali più elevate, vanno in convento.» [CASTELLAN A. L. Lettres sur l´Italie – Paris 1819]
Ancor più esplicite ragioni, circa le cause del proliferare a Brindisi dei conventi, si possono ritrovare sul Brindisi ignorata di Nicola Vacca, quando l’autore commenta l’argomento a proposito del – per motivi rimasti sconosciti, iniziato ma non realizzato – nuovo convento di San Pelino.
«Visto che in Brindisi vi erano solo i due conventi femminili di S. Benedetto e di S. Chiara, il primo limitato a 74 monache e il secondo a 34, ed avendo di molto superato questo numero non potevano contenerne di più, per rinverdire la memoria di S. Pelino nel 1604 monsignor Giovanni De Pedrosa promosse la erezione di un monastero di monache da dedicare a quel santo, mentre i padri coscritti giustificavano la cospicua spesa in non perspicua prosa per le seguenti ragioni: “Una quantità di zitelle figlie di persone onorate et principali cittadini quali li loro padri non possono maritare secondo le loro qualità per occasione della loro povertà che per rimedio di dette zitelle, per non trovarsi un altro migliore, han determinato di far costruire un nuovo monastero”. Erano tempi quelli, infatti, durati fino alla fine del ‘700 ed oltre, in cui quello di maritare le zitelle figlie di nobili ed onorate famiglie era considerato un vero e proprio problema sociale ed evidentemente tanto assillava la classe dirigente di allora, quanto oggi preoccupa la disoccupazione operaia e la tubercolosi. Il primogenito delle principali famiglie, non soltanto nobili, era il naturale ed esclusivo erede dell’asse familiare e quasi tutte le donne, in obbedienza alla ferrea legge feudale, erano destinate dalla nascita al monastero, perché non avevano dote per maritarsi, mentre gli uomini cadetti, anche loro finivano frati o nelle milizie. Ed il problema del pulzellaggio si risolveva erigendo e dotando monasteri com’oggi noi erigiamo sanatori e ospizi.» [VACCA N. Brindisi ignorata – Trani 1954]
Quell’auge delle istituzioni religiose conventuali in Brindisi, come del resto in tutto il regno spagnolo di Napoli, non era però destinato a permanere molto oltre quel XVIII secolo, e i primi segnali dell’approssimarsi di una tempesta su tutto quello che per secoli era stato il consolidato sistema religioso monastico, si avvertirono a partire dal 1734 con l’avvento di Carlo Borbone sul trono del nuovo indipendente regno di Napoli, e con il suo concordato del 1741, il cosiddetto Trattato di Accomodamento.
In quel nuovo corso politico, si affermarono le prerogative della regia giurisdizione sopra-minente, si restrinsero i tradizionali privilegi civili dei religiosi e si proibì la fondazione di nuove chiese e di nuovi conventi. Parallelamente, andò affermandosi, e poi crescendo in tutto il regno, anche l’avversione ecclesiastica dei ceti colti, dei giuristi e dei nobili.
Il sistema intero doveva poi precipitare fragorosamente con gli inizi dell’800, in seguito all’avvento dei sovrani francesi napoleonici sul trono di Napoli – Giuseppe Bonaparte prima e Gioacchino Murat dopo – durante quel decennio che doveva sradicare per sempre lo stato feudale dal Meridione italiano. Il 13 febbraio 1807, appena insediato, il re Giuseppe Bonaparte promulgò la legge n.36 con la quale si soppresse la maggior parte degli ordini religiosi delle regole di San Benedetto e di San Bernardo e si chiusero ed espropriarono quasi tutti i loro conventi. Fu quello l’inizio della fine di tutto un mondo, che era stato secolare.
Di tutti i conventi espropriati, alcuni pochi furono ripristinati nel clima restaurativo che seguì al ritorno dei monarchi borbonici sul regno di Napoli dopo il 1815 e con il nuovo concordato del 1818. Però la storia era destinata a ripetersi, e quando nel 1860 l’antico regno meridionale fu occupato dalle truppe garibaldine e dall’esercito piemontese e, quindi, annesso al proclamato regno d’Italia, nuovamente si ripropose la soppressione delle comunità e degli ordini religiosi con, in primis, l’espropriazione di molti dei loro conventi residui. Il decreto del 17 febbraio 1861 di Eugenio di Savoia, ministro luogotenente generale delle province napoletane, formalizzò quella politica sostenendo il principio della “libera Chiesa in libero Sato” e perseguendo l’obiettivo di laicizzare tutta la società meridionale.
Quali erano dunque quei dieci conventi operativi in Brindisi a metà del XVIII secolo? Eccoli qui brevemente descritti seguendo l’ordine cronologico relativo alla loro fondazione: dal più antico, il Convento di San Benedetto (1) all’ultimo edificato, il Convento di San Francesco di Paola (10), passando per quello dei Domenicani del Crocifisso (2), quello dei Domenicani della Maddalena (3), quello San Paolo Eremita (4), quello del Carmine (5), quello dei Cappuccini (6), quello delle Clarisse (7), quello delle Scuole Pie (8) e quello di Santa Teresa (9). La numerazione è quella utilizzata nella rappresentazione grafica che della ubicazione dei conventi è riportata sulla base della Mappa spagnola di Brindisi del 1739.

Per approfondire
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