Agosto 1893, la strage dimenticata degli italiani nelle saline francesi

La rimozione dalla memoria di un passato fatto di vergogna e di umiliazioni, non permette di ricordare, a tanti italiani, quando eravamo un popolo di poveri disperati in cerca di lavoro in giro per l’Europa, vittime di intolleranza e di una sequenza di tragedie in cui il fanatismo nazionalista, che anche allora si serviva di false notizie, svolse un ruolo decisivo. Dal 1860 ai giorni nostri si valuta una migrazione all’estero superiore ai trenta milioni di italiani, “ma nessuno se lo ricorda più, o fa finta di non ricordare, o ricorda in maniera selettiva” (C. Vecchio, 2019): secondo gli studiosi più accreditati non sarebbe questa “perdita di memoria” il reale motivo dell’intolleranza nei confronti degli stranieri affiorata in Italia a partire dagli anni Ottanta e da allora sempre più diffusa.
La storia dell’emigrazione italiana è ricca di episodi xenofobi, uno di quelli meno noti e per decenni dimenticato da tutti, avvenne nell’agosto del 1893 in Francia, ad Aigues-Mortes, nella regione meridionale della Linguadoca-Rossiglione, dove una decina di lavoratori italiani a cottimo, impiegati per la raccolta del sale nei giacimenti della Camargue, furono trucidati da una folla di francesi al grido “viva l’anarchia, morte agli italiani”, un altro centinaio di italiani, nel tentativo di scappare dal sicuro linciaggio, rimasero feriti e molti riportarono danni permanenti, il tutto perché “rubavano il lavoro” ai locali. In realtà, secondo gli storici, la strage fu causata dalla diffusione di una notizia falsa, quelle che oggi chiamiamo “fake news”.
Aigues-Mortes era una cittadina povera e dall’economia sonnolenta, si ravvivava solo nel mese di agosto in occasione della raccolta del sale, la principale risorsa del luogo, quando l’evaporazione dell’acqua è massima. Per le operazioni di raccolta del minerale era necessaria manodopera da fuori, pertanto venivano assunti per l’occasione oltre millecinquecento lavoratori stagionali dalla Compagnie des Salins du Midi: oltre ai lavoratori locali, c’erano i “trimards”, operai senza fissa dimora e spesso pregiudicati, e circa seicento italiani, provenienti principalmente dal Piemonte, Liguria e Toscana, ingaggiati dai caporali oltreconfine. Più di un lavoro era raccontato come un bagno penale: si trasportavano quintali di sale al giorno con ritmi insopportabili, poiché bisognava fare presto e completare il tutto prima dell’arrivo delle piogge. C’era poca acqua per bere e liberare la pelle dal sale, e per resistere meglio alle difficoltà in tanti si “drogavano” bevendo del vino. Inoltre si dormiva in baracche insalubri con il rischio di contrarre la malaria, il tutto per un salario che rendeva dieci-dodici franchi al giorno.
Come ogni anno il clima era teso, si tornava a vivere la solita psicosi dell’invasione, un po’ quello che si vive anche ai nostri giorni, motivazioni foraggiate dalla stampa transalpina, soprattutto quella di estrema destra, che descriveva gli italiani come “sporchi, tristi, straccioni, e formano intere tribù che emigrano verso il Nord, dove le campagne sono ben coltivate, dove si mangia, si beve, si è felici” (La Patrie, 3 agosto 1896). Si ripeteva tenacemente che la manodopera italiana “toglie il pane dalla bocca”, per colpa loro si perdevano posti di lavoro. I partiti politici xenofobi (si era in piena campagna elettorale) per conquistare consenso diffondevano notizie palesemente false, i politici populisti strumentalizzavano le masse annunciando persino una imminente “invasione silenziosa” con la minaccia che la patria venisse “sommersa”.
Verso la metà del mese di quell’estate torrida, nel pieno dell’attività, si sparse la voce, poi risultata infondata, che durante una rissa gli italiani avessero ucciso quattro francesi, altre voci raccontarono di un torinese che avrebbe lavato il suo fazzoletto pieno di sale nella tinozza contenente l’acqua dolce, e durante l’aggressiva reazione dei francesi, avrebbe ferito con un coltello uno degli aggressori. Vi fu una pronta e tremenda vendetta da parte di centinaia di transalpini inferociti, armati di randelli, forconi, bastoni, pietre e anche di fucili, che diedero la caccia all’italiano per un’intera giornata, al seguito di un pubblico banditore. Le cronache descrissero tanti particolari agghiaccianti: non contenti della sanguinosa riuscita dell’assalto per le strade e della devastazione dei rifugi improvvisati dei migranti, i francesi si “abbandonarono persino al vilipendio dei moribondi e dei cadaveri, in una mattanza di cui si resero responsabili sia gli operai, con tanti saluti alla conclamata solidarietà internazionale, sia parecchi cittadini, con la sola apprezzabile eccezione del parroco” (Carlo C. Montani, 2018). Tutti i superstiti vennero prontamente espulsi e trasportati in treno fino al confine di Ventimiglia
Il massacro xenofobo inflitto agli italiani è ritenuto da tanti come il peggiore della storia della Francia contemporanea, un orribile eccidio poi dimenticato, talvolta smentito: “il negazionismo e le ricostruzioni di comodo l’hanno fatta da padroni” racconta lo storico Enzo Barnabà, il primo a studiare in maniera approfondita i documenti ufficiali e le testimonianze per ricostruire l’intera tragedia nei suoi drammatici eventi, e a togliere quel “velo di ipocrisia attorno alla tragedia”.
Il successivo processo nei confronti di soli sedici responsabili si concluse con uno scandaloso verdetto di assoluzione generale, indiscriminato, la giuria popolare respinte integralmente le richieste dell’accusa, accettando le sole motivazioni della difesa secondo cui i francesi agirono a seguito delle provocazioni italiane. “Una certa Italia si lavò le mani. Crispi cavalcò l’ondata nazionalistica che scosse il paese appena giunsero le prime notizie, poi una volta giunto al potere, lasciò perdere”, spiega il prof. Barnabà, “la stampa di estrema destra presentava i nostri connazionali come delinquenti. Si voleva difendere l’identità francese. Sembrano frasi scritte oggi in Italia”.
La concorrenza tra i lavoratori di diversi paesi ha quindi radici antiche, ma ciò che è successo a Aigues-Mortes, come anche in Svizzera dove la discriminazione contro gli Italiani, magari frontalieri, è ancora molto viva, dovrebbe ricordarci che in molte zone d’Italia, tra le popolazioni di “ex emigranti”, esiste un forte accanimento contro gli ultimi arrivati, sebbene questi fanno con dignità ciò che pure loro hanno fatto in precedenza e che adesso si rifiutano di fare, occupando fondamentalmente posti di lavoro meno retribuiti.