Amnesia | Racconti al balcone

Aldo restò con un bicchiere a mezz’aria, mentre sparecchiava la tavola. Sua madre Egle aveva riempito di acqua una pentola e acceso il fornello. Poi era andata davanti alla dispensa e gli aveva chiesto: “Preferite tagliatelle o orecchiette?”. Aldo le si avvicinò: “Mamma, abbiamo già pranzato. Dovevi preparare il caffè”. Egle lo fissò stranita poi rise: “Quanto sono sbadata! Che ti devo dire? Quando ho da fare troppe cose mi confondo”. Cominciò a riempire la moka: “Tuo padre mi chiamava la fata Smemorina, ero sempre alla ricerca degli occhiali per poi scoprire che li avevo già sul naso. Non ti dico poi le chiavi di casa, non riuscivo mai a ricordare dove le avevo poggiate. Per esempio, cosa abbiamo mangiato oggi?”.
Aldo era preoccupato, sua madre era sempre stata distratta ma da qualche tempo sembrava avere dei veri e propri vuoti di memoria. Piccole cose. Il nome di un cugino, un appuntamento dal dentista, la ricetta della pasta al forno che era sempre stata la sua specialità, proprio quella che aveva preparato per il pranzo della domenica. Continuò a riporre stoviglie, mentre pensava al da farsi. Egle era sempre stata una donna autonoma e attiva. Da quando erano nati i gemelli, subito dopo essere andata in pensione, si era occupata di loro, lasciando al figlio e alla nuora la possibilità di lavorare senza problemi. Aldo li portava a casa della madre al mattino e tornava a prenderli dopo le cinque del pomeriggio. Lui e la moglie si erano subito trovati d’accordo, i bambini sarebbero stati meglio che all’asilo nido ed Egle non avrebbe corso il rischio di deprimersi, come accadeva a tanti pensionati che si ritrovavano da un giorno all’altro da soli e senza nulla da fare. Questi segnali però non lasciavano presagire niente di buono. Non si era mai accorto di mancanze riguardo ai bambini, ma in futuro come poteva esserne sicuro? Decise di telefonare alla zia Gaby, che era la migliore amica della madre. La chiamava zia perché la considerava parte della famiglia e l’aveva praticamente visto nascere. Era un medico ed era sicuramente in grado di dargli un parere. La chiamò il lunedì mattina e le spiegò la situazione. “Capita, purtroppo. Quando gli stimoli intellettivi diminuiscono e si entra nel trantran della quotidianità, la mente può, come dire, appannarsi. Anche l’età ci mette del suo, naturalmente” disse Gaby. “Me ne sono accorta, perché a volte dimentica l’appuntamento per andare al cinema ed è diventata una pessima compagna di burraco, al circolo. Ma non ci ho fatto troppo caso, sai, anche a me succede di perdere colpi” continuò ridacchiando. “Pensi che dovrei farla visitare da uno specialista?” chiese Aldo. “No, no, che dici?” rispose Gaby, “vuoi che si aggravi di colpo perché la consideri pazza? La cosa migliore sarebbe quella di tenerla sotto controllo, magari per più giorni, per rendersi conto di cosa succede. Naturalmente ci vuole una persona esperta, che sappia distinguere fra le piccole defaiances fisiologiche e i segnali patologici. Lo farei io ma devo partire, sai che non sono capace di restare ferma a lungo”. Rimase qualche secondo in silenzio poi proseguì: “Senti Aldo, ho un’idea. Devo imbarcarmi per un mese su una nave da crociera come medico di bordo. E se Egle venisse con me? Anche solo una settimana. Posso portare un accompagnatore in cabina e la cifra da pagare per i servizi non dovrebbe essere eccessiva. Mi farebbe da segretaria per le ore di ambulatorio e trascorreremmo il resto del tempo insieme, così potrei tenerla d’occhio. Dopo potrò certamente fare una diagnosi”. Aldo rispose che ci avrebbe pensato su. Ne parlò la sera con sua moglie: “Lo so che sarebbe un problema gestire i bambini, ma sarebbe altrettanto stressante avere la preoccupazione costante che possa accadere qualcosa. Se li dimentica al parco? Se non li cambia o non li fa mangiare? Questa è la soluzione migliore. Per una settimana li mandiamo all’asilo nido e quando torna sapremo come comportarci. La zia Gaby saprà consigliarci per il meglio”. Convincere Egle fu un’impresa. Non aveva alcuna intenzione di lasciare i suoi nipotini in balia di sconosciuti e solo l’insistenza di Aldo e la richiesta esplicita di Gaby, di accompagnarla come favore personale, la indussero ad accettare. La nuora la aiutò a preparare la valigia. Pareo e costumi per il bordo piscina, scarpe comode per le escursioni e un abito elegante per la cena. Un paio di volte Egle chiese dove stessero andando e la nuora le spiegò con pazienza l’itinerario della crociera, la bellezza di Siviglia, la sosta in Corsica e tutte le attrazioni e gli spettacoli ai quali avrebbe potuto assistere. “Abbiamo fatto bene, speriamo che Gaby trovi una soluzione. Se continua così non potremo più fare affidamento su di lei” disse sua moglie ad Aldo, mentre salutavano con la mano la madre affacciata sul ponte, che si asciugava le lacrime con un fazzoletto. Fu solo quando la nave si allontanò dal molo che Gaby disse: “Come si dice? Ci sono cascati con tutte le scarpe. Te l’avevo detto che ci avrebbero creduto al principio di demenza senile. E non fare finta di sentirti in colpa. Chi mi ha detto di non poterne più? Chi mi ha detto che non voleva finire la sua vita da nonna sitter? Sei stata entusiasta del piano. Una settimana di vacanza. Anzi un mese, perché la tua diagnosi è cosa complicata”. Un cameriere si avvicinò con il cocktail di benvenuto. “Ti avevo già detto che ho firmato per altri tre mesi ai Caraibi?” proseguì Gaby, facendole l’occhiolino, “ci potrebbe volere moltissimo tempo a capire di cosa soffri”. Poi sollevò il bicchiere in un brindisi.