Barbie – Racconti al balcone

Si era accorta che qualcosa era cambiato quando aveva starnutito. Prima aveva avvertito un pizzicorino sotto il naso e poi il viso le si era contratto e uno sbuffo di aria aveva scompigliato i capelli della bambolina seduta proprio davanti a lei. Quella non aveva fatto una piega ed era rimasta con le braccine tese anche se non c’era proprio nessuno che le andava incontro. Barbie si era spaventata. Non era solo per le sensazioni che cominciava a provare, un prurito al gomito destro, la voglia di muovere le dita del piede o il solletico che il ciuffo biondo le faceva sulla fronte, ma per tutto l’insieme di pensieri tumultuosi che si accavallavano nella sua testa. Domande senza risposte. Che ci faceva lì? Chi era? Perché muoversi le costava così fatica, come se non l’avesse mai fatto prima?
Provò a spostare lo sguardo. Il riquadro che conteneva la testa della bambolina, l’angolo della porta e lo spicchio del poster si ampliò. Ora riusciva a vedere la finestra, con le cime degli alberi che si muovevano a ritmo del vento, la scrivania con una pila di libri e quaderni in equilibrio precario, il letto. C’era un cumulo di coperte che si alzavano e abbassavano seguendo il respiro della bambina. Almeno credeva che fosse lei. L’unica cosa visibile sotto il piumone blu con le stelle dorate era un polso ricoperto di braccialetti colorati. Provò una sensazione dolorosa, tante volte i suoi capelli si erano impigliati nei ciondoli tintinnanti. Dopo lo sternuto, cominciava a ricordare ogni cosa. Era arrivata in quella casa in una scatola. La carta che la ricopriva si era strappata in tanti brandelli ed era apparso il sorriso della bambina. Il primo incontro non era stato dei migliori. Barbie era stata liberata dal laccetto che la teneva ferma ed era passata di mano in mano. Aveva un bellissimo vestito rosa, con una corona sulla testa e delle scarpette che sembravano brillare. Le avevano fatto tantissimi complimenti, ma era durato poco. La bambina aveva cominciato a sbatterla per terra come fosse un martello e poi l’aveva spogliata. Una voce diceva che era troppo piccola per giocare con le bambole. Per fortuna si era stancata presto, distratta da una palla canterina. Qualcuno l’aveva rivestita e poggiata sulla mensola in alto, nella camera della bambina. Era rimasta lì per molto tempo. Poi era arrivato il periodo più bello della sua vita. Una casa tutta per lei, con un letto a baldacchino, la toilette per i trucchi e persino un’auto. Un guardaroba pieno zeppo di vestiti e scarpe nuove. La bambina aveva cominciato a viziarla. La vestiva, le pettinava i capelli, la coccolava, la portava in giro per la città. Aveva anche cominciato a farla dormire con sé. Prima le infilava il pigiama e una fascia morbida per raccogliere i capelli, poi la abbracciava e, insieme, ascoltavano le storie della buonanotte raccontate dalla mamma. Il burattino di legno e il piccolo principe, Cappuccetto rosso e Aladino, la Sirenetta e una miriade di principesse felici e contente. Forse anche per lei c’era stata la magia di una fata madrina? Oppure, come per il ranocchio, il bacio di un principe l’aveva trasformata in? Perché il problema era proprio quello. Cosa era diventata? Dopo essere stata una inseparabile amica del cuore, era tornata ad impolverarsi sulla mensola insieme ad altri compagni di sventura. I giocattoli dimenticati con l’arrivo dell’adolescenza. Si guardò intorno. Sembrava che nessun altro si sentisse come lei. Con i ricordi era arrivata anche la coscienza di sé e capire cosa sarebbe accaduto era diventato di fondamentale importanza.
Provò ad emettere un suono, pronunciò il nome della bambina che si mosse sotto le coperte. Se le avesse parlato? Doveva spiegarle quella strana situazione, lei avrebbe saputo cosa fare. Provò ad alzarsi, poggiandosi sul carillon accanto a lei. Sentì un clic e una musichetta allegra si diffuse nella stanza. La lampada sul comodino si accese. La bambina si stropicciò gli occhi, si alzò e si avvicinò alla mensola. Ora Barbie poteva vederla bene. Era diversa. Più alta e sottile, con i capelli tagliati corti e una fila di cerchietti intorno all’orecchio. La matita nera le aveva lasciato un’ombra sbavata sotto gli occhi. Intanto era tornato il silenzio. La bambina aprì la finestra e la luce scacciò la penombra della notte. Barbie si accorse dello scatolone ai piedi della mensola, pieno a metà. Riconobbe la palla canterina, la sua vecchia auto e molti dei suoi vestiti. “Accade ogni volta che andiamo via” disse una voce, “come svegliarsi dopo aver dormito profondamente”. L’orso di peluche senza un occhio si era voltato verso di lei: “per me è già la terza volta. Diventano grandi e smettono di giocare con noi.
Se siamo fortunati, andiamo a tener compagnia a qualcun altro. Il nostro ultimo giorno ci capita questo, prendiamo vita. Allora possiamo scegliere cosa fare, abbiamo un’opportunità. L’ultima volta ero finito in una casa orribile, con un piccolo mostriciattolo che non faceva altro che maltrattarmi. Quando ho capito che il mio destino era passare a suo fratello, ho preferito scappare. Son saltato giù dal balcone proprio un momento prima che la bambina svoltasse l’angolo. Mi ha raccolto e ripulito. Qui sono stato bene. Ma ormai è tempo di cambiare”. Una mano lo afferrò e lo poggiò nello scatolone. Poi la bambina le sistemò il vestito e le carezzò i capelli, le infilò una scarpetta che era volata via dal piede. Barbie provò a parlarle ma non ci riuscì. Non sentiva più prurito e neanche solletico e i pensieri cominciavano a sfuggire. Avvertì solo vagamente la pressione delle labbra che le davano un ultimo bacio, poi la spalla morbida dell’orso di peluche e il coperchio che si chiudeva su di loro.