Brindisi, la nuova ambasciatrice di Polonia e l’Europa di domani

La caratura internazionale di Brindisi, trova spiegazione lungo la sua storia lunga tre millenni. Al porto della città, hanno trovato approdo e sicuro riparo, milioni di persone in cerca di ricostruire la propria speranza.
A questo lungo elenco di popoli, quello polacco, ne rappresenta una parte piccola, ma importante, anzi fondamentale per la costruzione della nostra medesima libertà.
Il legame storico, è appuntato di dolore frammisto a speranza ora agognata ora tradita, ora ritrovata.
E se il legame vede Italia e Polonia, unite negli inni nazionali (unico caso) Brindisi, 75 anni fa ricopriva la “casa della speranza di Varsavia”, allorquando dalla città adriatica e solo da essa veniva sostenuta la durissima e crudele battaglia per la liberazione della Capitale polacca dai tedeschi. Nella notte tra il 2 ed il 3 di ottobre del ’44 però, gli insorti capitolarono e la città fu completamente rasa al suolo. Le ragioni della disfatta, sono quasi tutte da ricercare in una complessa dinamica che vedeva gli alleati della Polonia, divisi circa il suo destino post-bellico, ovvero sotto l’ingerenza sovietica, nonostante, nelle stesse ore i polacchi combattessero in diversi fronti europei, e quello italiano, tra i più attivi, al fianco degli Stati Uniti e uniti sotto lo stesso corpo d’armata britannico.
La speranza di essere accolta e protetta dagli alleati a cui avevano offerto, anche se in esilio, la più ampia dimostrazione di lealtà, determinò la nascita di un processo che vide polacchi presenti a Brindisi, restare amareggiati e assumere la consapevolezza che a fine guerra, non sarebbero più rientrati in patria. Quelli che lo fecero, infatti, furono tutti sottoposti agli arresti dalle nuove autorità filo-sovietiche, dovendo sopportare ben oltre l’arresto, la tortura e spesso la uccisione.
Nessun polacco era a conoscenza che un anno prima, a Teheran, i tre potenti avevano deciso i nuovi confini d’Europa e che la Polonia, quella risultante al momento della fine della guerra, avrebbe fatto parte del cosiddetto blocco orientale, aprendo di fatto ad un difficile rapporto tra i popoli europei, generati da una medesima radice culturale, quella giudaico-cristiana che dal portogallo sino alla Polonia, dalla Scozia a Cipro costituiscono il variegato continente europeo.
A Brindisi, nell’ottobre del ’43 gli ambasciatori ed i rappresentanti plenipotenziali di Russia, Stati Uniti, Regno Unigto, Francia ed Italia, hanno tenuto le riunioni preparatorie all’incontro di Teheran, dove furono definiti i confini orientali della Polonia, con grande danno per quelle regioni ad est, che insieme, rappresentano un unicum culturale e linguistico.
Lo sforzo sostenuto dai giovani polacchi da Brindisi, determinò in molti di loro, l’avvio di una rielaborazione e ai dubbi, dovettero aggiungere la certezza che l’amata patria, più volte sorvolata, non l’avrebbero mai più toccata.
È necessaria questa premessa per comprendere appieno la cronaca di oggi.
Lo scorso 24 settembre, l’Ambasciatore plenipotenziario e straordinario della Repubblica di Polonia nella Repubblica Italiana, Anna Maria Anders, ha presentato le sue lettere credenziali al Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella.
“La cerimonia – dice la nota ufficiale – si è svolta nelle sale del Palazzo del Quirinale, è stata una ottima occasione per uno scambio di vedute sulla collaborazione tra i due paesi e sulle prospettive di un ulteriore rafforzamento della stessa”
Nelle stesse ore, Malta, Italia, Francia, Grecia e Germania, si davano atto di fare un passo in avanti in attesa che i governi nazionali concordino la redistribuzione dei migranti che hanno a bordo, quelle imbarcazioni tenute fuori dalle acque territoriali.
Il nostro presidente del Consiglio, ha parlato di un importante passo verso la rinascita del dialogo europeo e perché finalmente il tema della migrazione divenga un tema prioritario per i tavoli di Bruxelles.
Il successivo giorno 26 settembre, l’ambasciatrice, rilasciava al quotidiano “La Stampa” una intervista nella quale tra l’altro dichiarava: “Mai la politica delle quote. In Polonia accogliamo chi ha la nostra cultura”.
Una doccia fredda, parrebbe, per coloro che sperano in una Europa dove la concordia e l’unanimità, invece di rappresentare un fine, sono divenuti vincoli a cui contrapporre più o meno legittimi veti.
La commissione europea desidera che tutti gli Stati membri siano coinvolti nel programma, ma sono molti i Paesi membri che si oppongono.
La Polonia infatti si chiama fuori dalla redistribuzione del 10 per cento dei clandestini che sbarcano in Italia. Il governo di Varsavia accoglie solo chi condivide, con i polacchi, lingua, tradizioni e cultura. Il concetto è stato chiarito a scanso di equivoci da Anna Maria Anders, la Polonia non ha intenzione di cambiare il suo punto di vista. Varsavia fa già tantissimo. In Polonia ci sono due milioni di ucraini fuggiti da zone di guerra. Al di là del gran bisogno di manodopera, la popolazione ucraina è integrata molto bene in Polonia. Questo perché la cultura, le tradizione e la lingua sono molto simili.
L’ambasciatrice ha inoltre sottolineato come il ruolo del cristianesimo è molto importante perché rappresenta un collante per l’intera nazione. Per questo motivo la condivisione degli ideali, soprattutto religiosi è qualcosa che deve essere rispettata. “Per quasi mezzo secolo non abbiamo avuto la possibilità di mostrare le nostre bandiere, di manifestare liberamente, di cantare i nostri slogan e l’inno. Ora abbiamo la libertà di farlo e non è possibile essere liquidati come nazionalisti solo perché sveliamo con orgoglio la nostra identità”.
L’Ambasciatrice è figlia del Generale Władysław Anders, colui che guidò il II Corpo d’Armata polacco, nella campagna di liberazione l’Italia dal nazifascismo. A Brindisi, Anna Maria Anders c’è già stata e conosce bene le ragioni che legano la città alla sua Patria. Gli uomini del reparto volontario dei “silenti e invisibili” del generale Okulicki, di base a Brindisi, ebbero grande importanza e lo stesso generale fu paracadutato su Varsavia insorta, per divenirne il 3 ottobre del ‘44 il comandante dell’esercito clandestino.
A Brindisi il reparto di volo venne ridefinito, nel novembre ‘44 “Difensori di Varsavia” per la fortissima e tenace volontà espressa in ogni circostanza, anche quando tra loro, si contarono a Brindisi i primi polacchi morti in terra italiana, il tragico 6 gennaio ’44 ricordato ed onorato e la loro è memoria costantemente aggiornata e rinverdita. Da un quinquennio l’insurrezione del popolo polacco è parte integrante del calendario di memoria sostenuto dalle massime istituzioni cittadine, ovvero, rappresentano un punto di riferimento culturale che ha già maturato esperienze di dialogo importanti.
Le recentissime battute e gli atteggiamenti che traguarderebbero un sovranismo nazionalista, riletto ed estrapolato dal loro contesto storico culturale, divengono strumento di disturbo, per il dialogo e la costruzione di una Europa dei Popoli. La risoluzione del Parlamento Europeo che equipara nazi-fascismo a comunismo, necessita di una lettura molto più attenta alle tante visioni legittime che compongono il puzzle europeo.
Il motto che guidò i militari polacchi, uomini e donne in divisa, lungo la penisola italiana era “Per la vostra e la nostra Libertà” molti di loro hanno lasciato la vita perché quella libertà divenisse realtà quotidiana.
Quest’anno l’Italia e la Polonia celebrano il secolo di rapporti diplomatici. Nel trentennale delle prime elezioni libere polacche, risuona ancora forte il monito di chi si è sacrificato: “Noi soldati polacchi, abbiamo dato l’anima a Dio, il corpo alla terra italiana e il cuore alla Polonia”.