Casale, gli antichi villini disegnati dai migliori ingegneri del Ventennio

di Giovanni Membola per IL7 Magazine

Il termine Casale deve l’etimo all’aggettivo latino “casalis” ed indica genericamente una “casa isolata rustica con terreni annessi”, come può significare anche “un aggregato di case rurali”. Già nel XII secolo nella contrada vi erano costruzioni minime di contadini sparse nella vasta area racchiusa tra le banchine di ponente del porto interno, del porto medio e dalla linea di costa. La testimonianza più remota e rilevante della storia plurisecolare della zona è rappresentata dal tempio trecentesco consacrato alla natività della Vergine, ovvero Santa Maria del Casale, dichiarata monumento nazionale nel 1875.
Agli inizi del Novecento la contrada cominciò ad essere scelta come luogo di residenza estiva ed abituale di molti “signori” di Brindisi e di alcuni “mercanti arricchiti”, che senza badare a spese avevano realizzato raffinate e lussuose ville dai gusti architettonici molto in voga nel periodo. Per il popolo invece continuava ad essere la meta preferita di passeggiate e scampagnate nell’aria salubre di quella zona “ricca di verde balsamico”, facilmente raggiungibile dal centro cittadino. Un’attrazione che portò, nel giro di vent’anni, ad un incremento non indifferente della popolazione e di richieste per nuove costruzioni, tanto da far diventare questa zona una vera e propria città-giardino. Nel 1914 l’ufficio tecnico comunale fu incaricato di compilare un apposito piano regolatore della zona, quindi nel 1922 si provvide a regolarizzare le costruzioni delle nuove opere urbanistiche o di restauro che si realizzavano nella contrada , definendone le modalità, e dal 1929 si obbligò a sottoporre i progetti alla vigilanza della Commissione edilizia. Al fine di “mantenere il carattere di città giardino alla località”, nel 1934 furono indicati con precisione i criteri ai quali bisognava attenersi nella costruzione degli edifici, ovvero “dovranno essere isolate da vie, con distacco dal filo stradale di metri sei e dagli altri confini non inferiore a metri cinque […] dovranno avere vedute a prospetto su tutte le fronti ed essere circondate da spazio coltivano a giardino”.

Fu quindi disposto l’allargamento e la sistemazione della strada che congiungeva il Casale con il resto della città sulla quale dovevano confluire tutte le strade del quartiere, dove, fino agli anni ’30, si poteva giungere quasi esclusivamente traghettando il seno di ponente con la “barca di santa Maria”.
Immersa in un parco di pini sulla sponda settentrionale del seno di ponente, spiccava la bella e famosa villa Dionisi, dal nome dalla nota famiglia di origini marchigiane che costruirono il raffinato edificio nella seconda metà dell’ottocento. La dimora presentava la peculiarità di avere ogni lato stilisticamente diverso dall’altro, una caratteristica che i proprietari avrebbero poi mantenuto nella costruzione del palazzo dal prospetto in stile gotico situato sull’omonima piazzetta del lungomare Regina Margherita.
Nell’elegante villa del Casale, Dionisio Dionisi – figlio di Engelberto già sindaco di Brindisi dal 1890 al 1895 – svolgeva la sua attività di console del Belgio, vice console d’Inghilterra e agente consolare francese, sino a quando non fu deciso di demolirla per dar luogo ai campi sportivi dell’Accademia Marinara dell’Opera Nazionale Balilla, poi Collegio Navale Tommaseo, nonostante il progetto originale prevedeva l’incorporamento nella nuova ed ampia fabbrica.
Destino ben diverso per il coevo ed “artistico” villino del commerciate di carbone Spiros Cocotò, situato nei pressi del villaggio pescatori, si può ammirare ancor’oggi il bel prospetto originale conservato integro.

Dal punto di vista stilistico la realtà locale trovò naturale riflesso nella situazione architettonica italiana del ventennio fascista, con tendenze che variavano dall’eclettismo tardo ottocentesco al liberty, non era raro infatti riscontrare nelle nuove proposte costruttive archi, colonne, timpani, paraste, torrette e capitelli; nei progetti del rione Casale in particolare si notava l’uso “di un repertorio che oscilla tra il gusto ottocentesco, il revival medievale neo-gotico o neo-romanico e il gusto decò” che conferiva agli edifici un tono elegante e ricercato. La città, divenuta capoluogo di provincia, in quegli anni stava cambiando il proprio aspetto grazie anche all’edilizia della borghesia benestante.
Tra i progetti di un certo prestigio realizzati nel 1929 spiccano il villino Cafiero, un “raffinato esempio di architettura di gusto decò, dalla forma e dal volume compatto, con decorazioni geometriche lineari” di proprietà di Maria Quarantini Cafiero, titolare anche di villa De Castro (entrambi gli edifici avevano affaccio sulla banchina del porto interno), quello di Teresa Bocci “di gusto decò dal volume articolato dalla presenza di una torretta ed arricchito da una raffinata loggetta, il tutto decorato e impreziosito da richiami tipici dell’architettura liberty”. Al 1930 risale il progetto del villino di Vincenzo Spagnolo e Irma Poto, “un castelletto di tipo neo-medievale con tetto a pagoda e torretta di derivazione esotica”, mentre è datata 1934 la costruzione del villino di “stile fiorentino, con richiami tipici dell’architettura medievale” di Maria Marzano Carrisi, caratteristiche architettoniche che continuano a suscitare tanto interesse e curiosità; l’anno successivo furono progettati il villino di Lucia Fischetto di via F. Degli Uberti, costruzione in “stile umbertino con decori liberty nelle inferriate”, e le ville “di puro gusto razionalista” di Guglielmo Fiore e di Antonio Botrugno. Risale al 1937 l’ideazione di villa Scarparo, definito “un castelletto in revival neo-romanico”. Altrettanto interessante dal punto di vista architettonico il villino del cav. Fortunato Provenzano “dal prospetto eclettico con tetto a pagoda, ma con pianta funzionale molto curata”.

Al Casale era dunque presente un panorama di tutti gli stili in voga, la borghesia conservatrice e tradizionalista affidava i progetti a professionisti di spicco dell’epoca, in particolare agli ingegneri Telesforo Tarchioni, Giovanni Pati e Antonio Cafiero, considerati progettisti di indubbia qualità e originalità. Le altre firme di risalto erano quelle degli ingegneri Nisi, Cigno, Valente, Roma, Spagnoletti e dei geometri Iaccarini, Chiaromente e Maellaro.
Nonostante in quegli anni venissero costruiti molti edifici economici e popolari, il rione continuò a conservare il suo aspetto di città-giardino, poiché anche i progetti “minori” venivano curati con attenzione, come l’ampliamento e la sopraelevazione di un fabbricato per la realizzazione di un residence albergo con mini-appartamenti di proprietà del sig. Angelo Palazzo, caratterizzato dalla “facciata eclettica di ampio respiro con decori misti ottocento e decò”.
Ancora oggi si possono osservare molti di questi originali villini, attraverso il verde dei loro ampi giardini rivelano l’antico splendore, l’eleganza e la raffinatezza stilistica, altri hanno subito modifiche, rifacimenti e sopraelevazioni, conservando però le armonie e il gusto architettonico originale. Sono tuttavia diverse le ville del Casale andate perdute per lasciare spazio a edifici moderni.