di Giovanni Membola per IL7 Magazine
Il monumento emblema dell’antichissima città di Brindisi continua a custodire il mistero delle sue origini e del suo significato. Le ipotesi formulate negli anni sono diverse e talvolta discordanti tra loro, le più note e diffuse sono state ormai da tempo smentite, ma continuano ad essere ostinatamente proposte.
Le colonne romane o del porto sono state credute, secondo la tradizione più nota, come un monumento fatto innalzare nel 110 circa d. C. dall’imperatore Traiano, per celebrare l’arrivo a Brindisi della via Appia, l’importante consolare che congiungeva Roma al porto di Brindisi. Secondo altri è un monumento eretto in onore di Brento, figlio di Ercole il libico, a cui i brindisini facevano risalire la rifondazione della città, una sorta di corrispondenza con le più note colonne poste sullo stretto di Gibilterra che indicavano la fine del mondo all’epoca conosciuto. Un’altra ipotesi è quella che sarebbero servite come faro utile ai naviganti: una traversa metallica univa i capitelli delle due colonne al centro del quale era posto un fanale luminoso che dava utili riferimenti alle imbarcazioni che entravano nel porto.
Tutte queste supposizioni, suggestive e affascinanti, non hanno mai trovato riscontro storico e sono state nettamente smentite dagli studiosi; resta l’idea che possano essere state realizzate come probabile opera celebrativa in occasione di una delle tante spedizioni militari in oriente, così come avveniva sovente in epoca romana. Nell’ottobre del 2007 l’allora sindaco Domenico Mennitti istituì persino una commissione di studio composta da esperti sul tema, il cui risultato, comunicato il 12 gennaio 2008, decretò in sintesi che le colonne sono state simbolo di una città che si rivolgeva al mare e non rappresentano il punto terminale della via Appia, inoltre la colonna collocata a Lecce, del quale fu chiesta la restituzione, non doveva tornare a Brindisi e non era necessario costruirne una nuova per rimpiazzare la mancante.
Infatti il 20 novembre del 1528, senza apparente motivo, una delle due colonne crollò, il rocchio superiore (quello immediatamente sotto il capitello) rimase di traverso sulla base, dove tutt’ora si trova, mentre tutti gli altri sette, inclusi il capitello e il pulvino, rimasero a terra per quasi 132 anni, danneggiati e in stato di abbandono, sino a quando il sindaco Carlo Stea in un momento di forte esaltazione religiosa, decise di donarli a Lecce come contributo per la realizzazione di un monumento in onore di sant’Oronzo, a ringraziamento della peste scampata per sua intercessione nel 1657 (i brindisini si rivolsero invece a San Rocco). Nonostante il tentativo di opposizione del nuovo sindaco Carlo Monticelli Ripa, nel 1660 fu iniziato il trasporto di queste parti al capoluogo di Terra d’Otranto su ordine superiore del Vicerè di Napoli il conte di Castrillo. Le difficoltà dovute al peso e alle condizioni della strade in buona parte impraticabili per le piogge, ma anche per i danneggiamenti subiti, il diametro dei rocchi fu ridotto di oltre venti centimetri e fu trasformato radicalmente il capitello corinzio, probabilmente differente da quello della colonna rimasta integra, dove erano rappresentati principi persiani e alcune figure femminili. Oggi ciò che resta della colonna collassata quasi cinque secoli fa è visibile nella centralissima piazza Sant’Oronzo, dove compone l’elemento portante sul quale è posta la statua del Patrono locale.
Le due colonne sarebbero state realizzate nella seconda metà del II secolo d.C. con un marmo proveniente da Preconneso, un’isola turca dello stretto dei Dardanelli, erano alte complessivamente 18,74 metri di cui 4,44 i basamenti parallelepipedi rivestiti in marmo, 11, 84 m. gli otto elementi cilindrici (rocchi), quindi 1,85 m del capitello e un metro il pulvino posto alla sommità. La natura composita dei materiali lascia ipotizzare anche un possibile riutilizzo dei vari elementi, derivanti da altri monumenti brindisini risalenti ad epoche differenti o di opere d’arte di origine orientale frutto di un bottino di guerra. Il bellissimo capitello originale è esposto nella sala del palazzo dell’ex Corte d’Assise, è simile ad un rinvenimento avvenuto presso le Terme di Caracalla a Roma ed è decorato con foglie di acanto e adornato con dodici figure mitologiche a mezzo busto, i quattro principali rappresentano le divinità marine maschili (Giove e Nettuno) alternate a quelle femminili (attribuite a Anfitrite e Teti) che sorreggono l’abaco del capitello, sopra il quale poteva essere stata collocata la statua di un importante personaggio, mentre le altre otto figure agli angoli sono Tritoni che suonano con strumenti ricavati da conchiglie marine. Dal luglio del 2003, dopo il rimontaggio seguito al restauro e al consolidamento della base, sulla colonna è stata posta una copia in resina del capitello, del pulvino e dell’ultimo rocchio, l’originale fu musealizzato per proteggerlo dall’aggressione dei sali marini.
Sulla base della colonna è visibile una importante iscrizione che ricorda la ricostruzione della città, distrutta dai Saraceni, avvenuta nel IX secolo ad opera del bizantino Lupo Protospata, un illustre personaggio della Corte imperiale di Costantinopoli. Questo elemento, insieme ad altri dati iconografici ed archeologici, ha permesso ad altri studiosi di ipotizzare una datazione successiva all’epoca imperiale romana, senza escludere una possibile sistemazione finale del monumento in epoca bizantina. “La scelta delle colonne quale simbolo della rifondazione bizantina – scrive la prof. Rosanna Alaggio (2015) – rimarcava il significato di un’azione restaurativa nel segno di una continuità istituzionale tra una sponda e l’altra dell’Adriatico”, dopo che anche Durazzo era tornata sotto il controllo dell’Imperatore Basilio.
Gli elementi sui quali storici e studiosi, di diversa formazione e di diverso ambito di competenza, continuano a confrontarsi sono molteplici, certamente lo sviluppo della tecnologia permetterà di individuare nuovi metodi di ricerca storica e di applicazione archeologica, portando magari a convergere verso un risultato convincente e coerente.