Ida de Giorgio per IL7 Magazine
“Sembra uno strano fiore” disse il fotografo fra uno scatto e l’altro.
“Già, per questo la ragazzina si è avvicinata”, commentò Ardusio, voltandosi verso la bambina singhiozzante abbarbicata alle gambe del padre.
“Brutta sorpresa” proseguì. Investigatore alle soglie della pensione ne aveva viste tante, ma la morte continuava a non digerirla.
La radura era piena di poliziotti, raccolti intorno alla mano gonfia e bluastra, che emergeva dal groviglio di sterpi sulla riva del fiume.
Le dita ad artiglio afferravano l’aria alla ricerca di un sostegno inesistente, mentre il resto del corpo macerava nella fanghiglia, schiaffeggiato dalla corrente che tentava invano di strapparlo via.
Uno straccio azzurro, impigliato fra i piedi della donna, fluttuava nell’acqua come la coda di una sirena. Il ronzio delle mosche che banchettavano sui resti copriva lo scroscio del fiume.
Un raggio di sole colpì le dita esili e l’anello di diamanti all’anulare lampeggiò come un flash.
Il dottor Cardula, medico legale, avvolto in una tuta bianca, apparve come un fantasma, sbucando dagli alberi del bosco.
“Cosa abbiamo qui? Mi si illustri il ritrovamento”, chiese e Ardusio sollevò gli occhi al cielo, prima di rispondergli: odiava la pomposità di quell’uomo.
“Donna, forse un incidente o un suicidio, non una rapina” disse, indicando l’anello.
“È nuda”. sentenziò il medico, e Ardusio sospirò di fronte all’ovvietà.
“Recuperiamola”, aggiunse Cardula.
La squadra si attivò ed il corpo fu adagiato su un telo.
“Giovane circa vent’anni”, Cardula enunciava le sue considerazioni dopo aver attivato un registratore. Era accovacciato accanto al telo e seguiva le linee del corpo sfiorandolo con la mano, come se lo accarezzasse.
“Si notano segni di tagli sul ventre e sui seni, superficiali, piccole ustioni tonde, come prodotte da una sigaretta. Anzi, sono tracce più larghe, forse un sigaro. Segni di legamento ai polsi ed alle caviglie. Tagli sul viso. Ferita profonda al collo, alla giugulare, probabile causa della morte. Le mancano gli occhi.”
Ardusio chiese:” Pesci?”, sperando di trovare una risposta più ovvia all’inevitabile.
“Direi di no, sembra una asportazione voluta”, proseguì il medico, “Ha un tatuaggio sulla spalla destra, una strega a cavallo di una scopa.”
Ardusio sobbalzò: “Lia Canzi. Scomparsa da due settimane. Avrebbe dovuto sposarsi fra un mese.”
“Buon per lo sposo” concluse il medico, poi diede disposizioni perché la donna fosse trasportata in obitorio.
Ardusio evitò commenti, non era dell’umore giusto per l’umorismo macabro.
Il dottor Cardula salutò, allontanandosi, poi si tolse la tuta bianca ed entrò in auto. Programmava nella mente la serie di gesti che avrebbe effettuato di lì a poco.
Lo studio attento del corpo, la descrizione delle ferite, le incisioni del bisturi sulla pelle, l’analisi degli organi interni.
Avrebbe quantificato il dolore e la sofferenza patiti dalla ragazza ed anche per quanto tempo aveva sopportato quell’agonia.
Controllò la carica residua del registratore. Era uno strumento fondamentale.
Avrebbe riascoltato tutto a casa, sprofondato nella poltrona, un Avana fra le labbra, scrutato dalle decine di occhi ordinatamente disposti sugli scaffali, all’interno di barattoli di vetro.
Certo, ci sarebbe stata solo la sua voce, senza le urla della ragazza, ma era curioso di sapere se ne avrebbe tratto lo stesso piacere.
Povero Ardusio, non avrebbe mai potuto capire quanto ci si annoia a succhiare il sangue dal collo altrui per secoli. Per non parlare della difficoltà di trovare delle vergini.
Torturarle rendeva il sangue più dolce. Da gourmet.
Prima di entrare in auto si voltò a guardare il fiume. “Pochi metri e sarebbe finita in mare. Solo pochi metri e sarebbe scomparsa come le altre. Devo stare più attento la prossima volta”.
Poi mise in moto e partì.