Enola Holmes, ragazzina ribelle sola contro tutti

Il libro delle storie della buonanotte per bambine ribelli ci aveva già introdotti al fantastico mondo delle donne eroine, quelle senza superpoteri ma che grazie alla loro mente brillante e alle innumerevoli doti hanno lasciato il segno nella storia dell’umanità. È bastato poco che subito, il colosso del video streaming Netflix, ci regala Enola Holmes, l’avventura di niente di meno che la sorella dell’egregio detective di fama internazionale. Questa volta però, la sua fama non gli basterà per rubarle la scena a colpi di “elementare Watson” o sguardi circospetti.
Enola è figlia di un mondo fatto di messaggi in codice e rompicapo: il suo nome al contrario è infatti “Alone” che vuol dire “da sola”. Mentre i suoi due fratelli lasciavano il nido della piccola casa nella campagna inglese per diventare uomini rispettabili e professionisti del crimine, Enola cresceva a pane e libri, esperimenti chimici fatti in casa e arti marziali seguita da sua madre Eudoria.
Quando quest’ultima (interpretata da Helena Bonham Carter) scompare misteriosamente una notte, lasciando una serie di indizi ma nessuna pista chiara, Enola comincia il suo viaggio, sfuggendo alle grinfie del fratello maggiore, Mycroft, che vorrebbe spedirla all’educandato.
Tralasciando per un attimo le leggerezze della sceneggiatura e la trama, che vedrà la giovane Holmes saltare da un treno in corsa, sferrare mosse di jujitsu agli avversari e far saltare un intero deposito di polvere da sparo, è bello soffermarsi su quello che questo film potrebbe rappresentare.
Enola Holmes è qualcosa di semplice ma efficace. È importante non tanto per i critici cinematografici della prima ora, quanto per il pubblico più giovane. Un tassello di progresso in più nella miriade di racconti di supereroi palestrati che salvano donzelle in pericolo.
Sappiamo bene quanto sia facile fare del femminismo cinematografico: prendere una protagonista e farle fare delle cose “da uomo” sottolineando l’eccezionalità del fatto senza però esagerare (dovessero i supereroi palestrati prenderla sul personale).
Enola invece si muove nel mondo con la naturalità di chi è cresciuta al di fuori dei clichè della società – la sua è quella inglesissima della Londra di fine 800 -.
Non le sembra strano nè eccezionale dover odiare il corpetto, preferire i pantaloni quando si tratta di correre per i campi e alternarli a gonne vaporose per mimetizzarsi tra la folla, né le suona in qualche modo innaturale dover salvare la vita al ragazzo che le piace.
La bellezza – che forse è anche l’unicità – della favola di Enola Holmes sta nell’esternazione della propria autoconsapevolezza, nell’alternare sensibilità ed empatìa a una rabbia e un coraggio che non hanno nulla a che vedere con l’essere femmina o maschio, ma con una genuina forza d’animo.

I ruoli non si invertono solo perché il marchese di Basilwether non arriva su un cavallo bianco ma anzi, aspetta di essere salvato. Questa favola non ha maschere nè convenzioni. Questa è una favola moderna.