di Gianfranco Perri per IL7 Magazine
Non è la prima volta e, ahimè, non sarà certo l’ultima in cui capita di doversi lamentare per la scarsa qualità delle targhe del nostro stradario cittadino. Pur riconoscendo la bontà del risultato dell’ultima campagna di sostituzione delle vecchie e sconce targhe malamente dipinte con quelle di marmo bianco, bisogna ricordare che quella utile ed encomiabile campagna interessò unicamente il centro storico, mentre si è ancora in attesa che la necessaria sostituzione venga finalmente estesa anche a tutto il resto della città, per esempio, al Casale, eccetera.
Però, l’aspetto fisico delle targhe, pur rivestendo una indubbia ed oggettiva importanza, non esaurisce per sé il tema della qualità dello stradario, giacché è il contenuto della targa che, ovviamente, ne costituisce l’elemento più caratterizzante e più importante. Ebbene, le deficienze dei contenuti, purtroppo, non sono state per nulla corrette e, anzi, alcune sono state persino aggravate con l’aggiunta involontaria di non pochi errori ortografici o, comunque, di alcune inesattezze, in accenti, vocali, lettere, eccetera.
Ma non è solo questo il problema: la critica principale e di fondo, infatti, va rivolta alla pessima e consolidata abitudine di utilizzare in moltissimi casi unicamente il cognome del personaggio al quale una via è intitolata, inducendo ad errori di interpretazione e producendo con ciò dubbi e confusioni o, comunque, disincentivando il sorgere di ogni eventuale interesse o curiosità in chi legge una determinata targa e la trasmette e ritrasmette, oralmente o per scritto: senza conoscere quanto meno il nome e il cognome di un dato personaggio, si finisce con trattare quel suo cognome al pari di un oggetto, di una località, di fiume, una montagna, un fiore, eccetera. Dimenticando che, invece, “I nomi delle strade sono come tanti capitoli della storia della città e vanno mantenuti e rispettati, quali monumenti storici del passato” – Ferdinand Gregorovius.
Manco a parlare poi, del fatto che per nessuno dei personaggi intestatari di vie cittadine si indicano nelle targhe le date, di nascita e morte, o la professione, o altro. La nostra “via Pasquale Romano”, per fare un solo esempio, è intitolata al popolare famigerato “sergente brigante” – che pure in altre città del Meridione ha avuto simili intitolazioni – oppure è intitolata a un meno popolare contemporaneo intellettuale leccese?
Finalmente, per chiudere con la serie delle critiche, ecco la cosa certamente più grave: l’errore franco, come può essere lo scambio – semplice e diretto – di un nome, lo scambio cioè, di un personaggio con un altro. Ed è proprio questo il caso della nostra targa “via Lucio Strabone”. In questo caso si è commesso il grossolano errore di sostituire, nella targa stradale, il nome “Lenio” con il nome “Lucio”, sostituendo con ciò un’illustre personaggio brindisino con un geografo greco che, se pur molto più famoso, non ebbe certo una così stretta relazione con la nostra città da meritare l’intitolazione di una sua strada.
Invece: chi fu Lenio Strabone? Quanti brindisini lo sanno? E quanti lo saprebbero se la targa fosse stata scritta correttamente? Ebbene questo nostro concittadino, vissuto a cavallo della nascita di Gesù Cristo – cioè tra il primo secolo a.C. ed il primo d.C. – è stato nientemeno che l’inventore, riconosciuto e documentato, delle “voliere”: quelle ampie gabbie adatte a contenere uccelli, solitamente usate nei giardini zoologici o anche, quali elementi esotici o decorativi, in giardini pubblici e privati, simulando l’ambiente naturale e permettendo agli uccelli di vivere in uno spazio abbastanza ampio in cui poter anche volare.
Fu, Marco Lenio Strabone, un cavaliere patrizio romano, che visse a Brindisi ai tempi dell’imperatore Augusto, in uno dei periodi di maggiore splendore di Brindisi, già florida e dinamica colonia di diritto latino e città ricca e ancora strategica per il controllo orientale, militare e commerciale, del novello impero.
Lenio Strabone inventò le voliere, sia a fine ricreativo e sia ad uso commerciale, d’accordo con quanto a tale proposito testimoniò Marco Terenzio Varrone, l’erudito scrittore latino che fu un giorno ospitato a Brindisi nella casa di Strabone e vide per la prima volta, nel peristilio della sua abitazione, una gabbia per uccelli a forma di esedra. Restò così entusiasta di quella scoperta che, rientrato a Roma, fece costruire nella sua villa di Cassino una voliera monumentale, divenuta arci famosa.
E Lenio ideò anche i padiglioni, con tante voliere contenenti diverse specie di uccelli cantori, per suo diletto e per divertimento dei suoi ospiti e orientale inoltre, introdusse la pratica dell’allevamento dei volatili ad uso culinario. A quell’epoca, infatti, a Roma i patrizi avevano affinato i loro gusti e a tavola ricercavano anche le carni di uccelli e perciò, questi venivano allevati per essere rivenduti come cibo prelibato. A Brindisi, in particolare, in quel periodo e in seguito all’invenzione di Strabone, si allevarono soprattutto tordi.
Plinio il vecchio, nel suo “Naturalis Historia” così ne parla: «M. Lenio Strabone dell’ordine equestre di Brindisi, per primo organizzò voliere con uccelli di ogni genere rinchiusi; da ciò cominciammo a tenere in cattività gli animali a cui la natura aveva assegnato il cielo…».