
Di Marina Poci per il numero 371 de Il7 Magazine
La notizia è stata diffusa nel pomeriggio di domenica 6 ottobre dal professor Giancarlo Canuto, un amico di famiglia, ed è immediatamente rimbalzata tra Mesagne, città natale, e San Donaci, i luoghi della sua infanzia e della sua adolescenza, per poi prendere la via del mondo intero, di cui era cittadino da quando aveva scelto la musica come ragione di vita: perché il maestro Giuliano Graniti, pianista, docente e studioso di pianoforte, morto a trentasei anni appena compiuti all’ospedale San Martino di Genova per una gravissima malattia del sangue, il tocco prodigioso delle sue mani sui tasti l’aveva portato in giro per i più prestigiosi teatri del mondo, come solista e come camerista. In tutte le lingue lo piangono sul web famigliari, amici, colleghi di lavoro, studenti, ammiratori e appassionati di musica, che ne ricordano le doti professionali (“genio assoluto” e “talento artistico purissimo”, viene definito dagli addetti ai lavori e dagli estimatori), i modi da gentiluomo e la straordinaria forza d’animo dimostrata nell’ultimo periodo, quando con coraggio e dignità ha affrontato la malattia che non gli ha lasciato scampo. E nella lingua dell’amore, capace di superare l’abominio di una legislazione incivile, lo piange la clarinettista Paniz Shafaei, di nazionalità iraniana, sposata da Graniti il 7 ottobre del 2023, a cui pochi giorni dopo le nozze è stato ritirato il passaporto, impedendole di essere fisicamente vicina al suo “beloved husband” (amato marito) nei momenti più duri della malattia e in quello tragico del trapasso: sul profilo Facebook della musicista scorrono le immagini della vita comune dei due, tra una torta di compleanno e una tazza di caffè, il mare, i parchi statunitensi, una pista di pattinaggio su ghiaccio, il suono sghembo di una diamonica e il matrimonio celebrato a Las Vegas, con tanto di macchinona rosa chewing gum sullo sfondo di un bacio appassionato. Stride, con la felicità della giovane coppia, che sembra saltare fuori dallo schermo e abbracciare chi guarda il video, il brano scelto come sottofondo: “Vedrai, vedrai” del genovese Luigi Tenco, cantato e suonato da Graniti e definito dalla moglie “una delle nostre canzoni preferite”. Una canzone che, pur custodendo la remota speranza di una positiva evoluzione di vita, contiene struggimento, amarezza e rimpianto. Registrata piano e voce dal maestro chissà quando, sembra in realtà preludere all’epilogo del sogno incompiuto e trova, nelle parole della moglie, il suo più doloroso commento: “Hai lasciato questo mondo appena un giorno prima del nostro primo anniversario, e il mio cuore soffre di un peso insopportabile… Hai combattuto con una forza che è stata tanto feroce quanto stimolante e ora, finalmente, sei libero dal dolore. Questo pensiero mi porta un po’ di pace… Fatico ad immaginare una vita senza di te – senza stringerti le mani, accarezzare i tuoi capelli ricci, baciarti le labbra o sussurrarti nelle orecchie quanto ti amo… Alcuni giorni fa, mi hai rassicurato che non te ne saresti mai andato veramente: mi hai promesso la tua presenza per sempre e so che tu mantieni le tue promesse. Sei il mio amore più grande, e terrai per sempre quel posto nel mio cuore. Mi sento così fortunata ad aver provato la gioia di essere amata da te… Credo che ci incontreremo di nuovo, presto o tardi ، e insieme creeremo la vita che ci è stata negata in questo mondo… Ti amo, amore mio”.
Al funerale del marito, tenutosi presso la parrocchia della Santissima Annunziata di Mesagne nel pomeriggio di mercoledì 9 ottobre, Paniz Shafaei non ha potuto partecipare (probabilmente riuscirà a ottenere il visto per poterlo andare a trovare al cimitero). C’era Mesagne, in cui ogni suo concerto era atteso e affollato come pochi altri eventi: una folla composta e commossa, che la chiesa non è riuscita a contenere, ha ascoltato la messa funebre celebrata dal padre carmelitano Enrico Ronzini, caro amico di Graniti, e animata musicalmente dal coro polifonico Sincopatici, diretto dal maestro Federico Dell’Olivo, e dal soprano Marcella Diviggiano. Al termine della funzione è stato riprodotto un audio di un’esibizione di Graniti presso la parrocchia del Carmine, che in diverse occasioni si è fatta casa per il maestro, ospitando alcuni suoi concerti. L’ultima volontà di Giuliano Graniti, resa pubblica e condivisa dalla famiglia, è stata di chiedere, invece di fiori e manifesti, una donazione all’Associazione Luca Coscioni, che promuove la libertà di ricerca scientifica e di cura, l’autodeterminazione individuale e i diritti umani, civili e politici delle persone, a partire da quelle malate e con disabilità: un pensiero in linea con la sua personalità di uomo libero che nel 2015, a proposito delle vittime dell’attentato terroristico di matrice islamista presso il teatro Bataclan di Parigi, professò “la bellezza di non aderire a fedi religiose, schieramenti politici, tifo calcistico”, scrivendo “Sono contro le bombe, le armi, il fanatismo religioso, l’invasione bellica, la ricchezza che genera povertà, il mercato neoliberista, il razzismo, l’intolleranza, l’espulsione degli immigrati, i maltrattamenti sulle donne”.
Erano presenti alle esequie anche due docenti universitari statunitensi, colleghi del giovane maestro che, dopo la laurea triennale in Pianoforte conseguita presso il Conservatorio Tita Schipa di Lecce, il master in pianoforte e la laurea magistrale in Musica da camera al Frescobaldi di Ferrara e il master in Pedagogia Musicale al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, aveva lasciato l’Europa per coltivare il suo talento negli Stati Uniti. Aveva conseguito il dottorato in Arti Musicali presso l’Università di Cincinnati (College-Conservatory of Music) e attualmente era assistant professor di Musica presso la Middle Georgia State University. In precedenza era stato visiting professor in Pianoforte presso la Townsend School of Music della Mercer University di Macon, in Georgia, e adjunct professor of Music presso il Wilmington College, in Ohio.
Perché Giuliano Graniti non era soltanto un pianista di talento rarissimo, vincitore di numerosi premi in alcune delle più ambite competizioni pianistiche mondiali. Era anche un docente dotato di finissima sensibilità, qualità che allievi e colleghi nei messaggi di cordoglio gli riconoscono sopra tutte: tra i suoi interessi vi era l’utilizzo di tecnologie avanzate applicate all’insegnamento del pianoforte in classe, con l’obiettivo di contribuire a creare un sistema con accesso, contenuti e durata migliorati e puntare all’inclusività degli studenti e alla sostenibilità tecnologica. In quest’ottica, Graniti aveva inventato il Piano OpenLab, un’infrastruttura Linux per un laboratorio di pianoforte virtuale con l’intenzione di realizzare un insegnamento di gruppo del pianoforte migliorato, innovativo e sostenibile. Ne aveva dato lui stesso l’annuncio sul proprio profilo Facebook scrivendo “It’s a big deal, folks” (“È un grosso affare, gente”) e descrivendo il progetto nel dettaglio: “Sono così orgoglioso di annunciare che la mia recente invenzione in attesa di brevetto, il Piano OpenLab – un’infrastruttura virtuale di laboratorio digitale per l’istruzione di pianoforte innovativa e sostenibile – è al centro del progetto “Universal Piano Laboratory Controller: Developing and Testing”, appena premiato con il Collaborative Programma di avanzamento della ricerca su University of Cincinnati. Piano OpenLab è il risultato di più di un anno di ricerca personale su un’infrastruttura di un sistema di laboratorio che potrebbe fornire un accesso migliore e migliori risultati di apprendimento, tenendo conto delle esigenze degli studenti e degli insegnanti di pianoforte secondario del XXI secolo. L’idea è venuta nei momenti difficili della pandemia, ed è cresciuta con l’aumentare della mia conoscenza della programmazione con l’audio durante le mie notti insonni. Ora lo so: è stato un buon investimento di tempo, energia e denaro”.
Era il marzo dello scorso anno, poco prima della scoperta della malattia: Graniti ringraziava i suoi colleghi del Conservatorio di Musica di Cincinnati, felice che il progetto fosse stato finanziato dalla sua vecchia scuola, pioniera nel consentire l’accesso alla innovativa tecnologia da lui inventata.
E con il fare spiritoso e arguto che ne caratterizzava i modi, ringraziava l’allora fidanzata Paniz, (“che mi ha pazientemente sostenuto in ogni momento della mia ricerca, anche quando ci sono voluti dei toni drammatici molto in stile Meridione d’Italia”): la donna che per quasi un anno ha visto soltanto in videochiamata, a cui nell’intimità della loro vita di coppia, non in teatro, né in sala concerto, amava cantare “Sì, lo so che questa non è certo la vita che ho sognato un giorno per noi…”.
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