Il miracolo dell’angelo custode / Racconti al balcone

Mamma, devo farti una domanda”. “Dimmi”, rispondo distratta, mentre taglio le zucchine per lo sformato di verdure. Mio figlio tace. Mi volto verso di lui e scopro che si è seduto, intrecciando le dita sul ripiano del tavolo. Mi preoccupo immediatamente. Non è da lui intavolare una conversazione al ritorno da scuola. Con quella solennità, poi. Ha quell’età di mezzo, fra l’infanzia e l’adolescenza, che porta a una naturale e progressiva riduzione della comunicazione. Poche, sintetiche parole: si, no, bene, forse. Non so perché, ma escludo problemi scolastici. Troppo presto per brutti voti, bullismo o innamoramenti. La prima media è cominciata da pochi giorni, ancora non conosce i professori e neanche tutti i compagni, tranne Matteo. L’unica opzione che resta è un quesito sulla vita sessuale. Il momento più temuto da tutti i genitori. Maledico mio marito che, caso vuole, è sempre assente nei momenti di crisi, mentre io, con questa storia dello smart working, ho decuplicato la mia permanenza in casa.
“Quanto sei fortunata” mi dice ogni mattina, prima di infilare la giacca e correre al lavoro. Io resto sulla porta in vestaglia, a rimpiangere il profumo del cornetto sgranocchiato al bar con le colleghe prima di entrare in ufficio, le chiacchiere alla pausa caffè e quella salutare lontananza dalla routine quotidiana che la cura della casa richiede. Il silenzio persiste. Rielaboro velocemente tutti i dati a mia disposizione, dalle api alle cicogne, dai cartoni animati sul corpo umano ai libri di biologia. Mi asciugo le mani e mi siedo di fronte a mio figlio, in attesa. Sospira: “Mamma, secondo te, l’angelo custode può fare i miracoli?”. La domanda mi spiazza. Confesso di non essermi mai interessata agli argomenti trattati durante le lezioni di catechismo. Come molti genitori, la Comunione è stata solo un problema di inviti al rinfresco. E comunque, non ci va da molto tempo. Mi sforzo di chiedere lumi.

“Oggi, la professoressa si è arrabbiata e ha detto che ci vorrebbe un miracolo per tenerci buoni seduti al nostro posto senza farci avvicinare troppo. Quindi mi sono chiesto se, per avere un miracolo, bisogna dirlo a qualcuno in particolare o basta l’angelo custode”. Il tono è serio, non posso accantonare la cosa come una sciocchezza. Faccio altrettanto: “Di solito, si invocano i santi più conosciuti, quelli ai quali si è devoti. Padre Pio, per esempio, o anche la Madonna di Lourdes o di Medjugorie”. Riflette: “No, mamma, ci ho pensato. Sono troppo famosi. Chissà quanta gente gli chiede le cose. Finché arrivano alla mia classe, passano anni. Così ho pensato che bisogna chiedere a qualcuno che non è così famoso, che magari non vede l’ora di farlo, un miracolo, così tutti possono parlare di lui. Allora, alla ricreazione, ho cercato sul telefonino i santi che non conosce nessuno. Però, anche quelli con i nomi più strani, hanno un paese che se li ricorda. Quindi c’è sempre da fare la fila. Invece l’angelo custode è solo uno per persona. Se ci mettiamo d’accordo in classe e ognuno chiede al suo, magari riusciamo a non ammalarci. O a fare sparire il Covid, che sarebbe meglio, no? Lo sai quello che dice la nonna, che può essere una punizione divina e non basta la scienza”. Figurati se non c’entrava quella bigotta di mia suocera. Ogni volta che supplica per vedere il bambino, fa danno. Non posso neanche lamentarmi apertamente.

La religione è un fatto personale e io, per quanto sia una convinta materialista, preferisco concedermi qualche dubbio. Della serie: non è vero, ma ci credo. Sospiro: “Amore, non c’è bisogno di un miracolo per combattere questo brutto virus, basta rispettare le regole e avere pazienza. Non avete bisogno di ammassarvi per diventare amici e parlarvi. Neanche di abbracciarvi”. Ci pensa: “Ma l’anno scorso, quando ancora andavamo a scuola, io dicevo un sacco di cose all’orecchio di Matteo, perché erano segreti. E adesso come faccio?”. “Anche Matteo ha il cellulare. Perché non vi mandate dei messaggi, tanto potete leggerli solo voi”, mento. A volte controllo. Non è spiare, ma si sentono troppe brutte cose sui rischi del web. Devo sapere che siti visita, con chi chatta. Devo proteggerlo, finché posso. Non è molto convinto. Mi rendo conto che il contatto umano è indispensabile, ma come si fa? Ci tocca essere prudenti, altrimenti non ne usciamo più. Decido di rincuorarlo: “Se proprio vuoi chiedere un miracolo, non coinvolgere i tuoi compagni. Chiedi al tuo angelo di consultare i suoi colleghi. Si metteranno d’accordo. I miracoli sono una cosa privata, meglio non dirlo a nessuno”. Non posso vietargli espressamente di parlarne, soprattutto con sua nonna. Devo cercare di aggirare l’ostacolo. Se quella donna venisse a conoscenza di questa storia, lo trascinerebbe ad accendere ceri in tutte le chiese della città. Oltre a pavoneggiarsi con me, per la vittoria della fede sulla mia miscredenza. Forse, per il Signore, la mia personale punizione divina è proprio lei. Lo vedo rincuorato. “Ma devo dire qualche preghiera in particolare o basta fargli sapere di cosa ho bisogno?”. Rispolvero la memoria, recitiamo insieme l’apposita litania. Si alza. “Com’è andata oggi a scuola?”, chiedo. “Ok” risponde laconico, dandomi le spalle e correndo via nella sua stanza. Bene, mi rallegro, siamo rientrati nella normalità. Monosillabi e scontrosità. Il rumore delle chiavi annuncia l’arrivo di mio marito. “Ancora non è pronto?” domanda col tono di chi si chiede come trascorro tutto il tempo libero che mi attribuisce. Non rispondo. Sollevo gli occhi al cielo in una muta richiesta: “Angelo custode mio, se esisti, aiutami tu”.