«Il Traditore», l’uomo che sfidò Cosa Nostra

Negli anni Ottanta, nei quartieri di Palermo, si apriva la guerra fra i clan dei corleonesi, guidati da Totò Riina e le vecchie famiglie mafiose. Il bilancio dei morti saliva drasticamente e venivano uccisi non più solo personaggi legati all’organizzazione, ma anche membri delle loro famiglie e vittime innocenti.
“Il traditore” di Marco Bellocchio viene classificato come gangster movie, anche se in realtà è anche un’opera storica, che ricostruisce a più riprese, la vicenda del maxiprocesso a Cosa Nostra, a cui seguirono i tremendi attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il processo e le testimonianze che vennero fornite, rappresentarono il punto di svolta e l’inizio della demolizione del mito della mafia, di cui fino ad allora nessuno parlava e che, da quel momento si ebbe il coraggio di chiamare per nome.
Fra tutti i componenti dell’organizzazione criminale più pericolosa della storia, Bellocchio decide di parlare di Tommaso Buscetta, il primo pentito nella storia di Cosa Nostra. Ad interpretarlo un magistrale Pierfrancesco Favino, che con un impressionante lavoro sul fisico e soprattutto sulla lingua siciliana e brasiliana, riesce a raccontare il personaggio delle contraddizioni, il boss dei due mondi. Buscetta fugge in Brasile proprio all’inizio della guerra interna fra clan e inizia un’attività di traffico di eroina. Dopo un blitz della polizia brasiliana, viene estradato in Italia e affidato al giudice Falcone.
Le testimonianze di Buscetta furono decisive per ricostruire la struttura dell’organizzazione, fatta a piramide dove al vertice c’è la “commissione” e ai suoi piedi i “soldati semplici”.
La vicenda è raccontata in maniera cronologica e segue i movimenti di Masino Buscetta dalla fuga in Brasile, fino alla sua detenzione in Italia, dove sceglie di collaborare con la giustizia.
Il tradimento in questo senso, ha un duplice aspetto. Buscetta è un traditore nei confronti di Cosa Nostra, a cui aveva giurato, come tutti, fedeltà eterna. Lui non si definisce un pentito, ma un uomo fedele a dei valori che nel tempo, sono stati dimenticati. La sua confessione rappresenta la ribellione verso questa negazione della vecchia “moralità” mafiosa, per la quale non veniva fatto del male a donne, bambini e magistrati, ma proteggeva la povera gente e dava loro un lavoro.
Tommaso Buscetta fa il doppio gioco. Consapevole di essere in pericolo di vita, decide di affidarsi allo Stato in cambio di protezione, mossa che gli verrà contestata più avanti, quando l’avvocato del presidente Giulio Andreotti – accusato di avere rapporti con il boss Riina – gli attribuirà un indebito utilizzo del sussidio concessogli dal governo. Il film gioca molto sull’ambiguo, dapprima il protagonista è un eroe, uno che ha rifiutato gli orrori della mafia e ha parlato, dopo diventa soltanto un essere umano che, davanti al pericolo è pronto a tutto pur di salvare la pelle.
Le immagini di archivio e la finzione si mescolano e formano un documento importantissimo su una figura forse troppo sottovalutata, colui che ha dato il via a quella che fu la più grande guerra contro la mafia.