Isolamento – Racconti al balcone

Hanno chiuso la Lombardia. Non possiamo tornare”, con questo sms mio figlio mi comunica l’impossibilità di rientro a casa. Trovo strano che non sia stata mia moglie a chiamarmi. Mi avrebbe tenuto al telefono almeno mezz’ora per esprimere lo stesso concetto. La sintesi non è mai stata il suo forte. Del resto, è proprio la sua indole chiacchierina che mi ha fatto innamorare di lei, quando non c’era WhatsApp e il telefono pubblico funzionava a gettoni. Me la immagino a versare fiumi di lacrime per un amletico tormento: “resto o non resto? That is the question. Se scegliere mio figlio e restare o mio marito e cercare di partire a tutti i costi”. Almeno, così mi illudo, perché il cuore di mamma non le farebbe avere alcun dubbio in proposito. E, forse, non mi ha dato la ferale notizia personalmente proprio perché la prospettiva di coccolare il prediletto per un tempo indefinito, forte dell’obbligo di quarantena, non la rattrista più di tanto. Quanto a me, sono perfettamente in grado di cavarmela. Anzi, siamo, perché condividerò la mia solitudine con Peluche, il meticcio preso al canile quando era un cucciolo piccolissimo. Il nome “puccettoso”, termine usato da mia moglie quando lo ha scelto, è rimasto anche quando è diventato un simil molosso di quaranta chili. Dovrò per forza uscire due volte al giorno per la sua passeggiata igienica, ma so che la sua mole basterà a tenere eventuali conoscenti alla distanza consigliata di almeno un metro e anche più.
Seguendo il telegiornale mi rendo conto che non tutti sono stati ligi come mia moglie: una mole di cocchi di mamma si è precipitata a tornare fra le braccia amorevoli della famiglia e dovremo aspettarci che anche allegre combriccole di virus coronati ne abbiano approfittato per visitare le meravigliose regioni del Sud. L’unità d’Italia ha i suoi pro e i suoi contro. Per fortuna i pro sono molto maggiori, almeno in tempi non sospetti come questi. Vado in cucina. Nel congelatore porzioni doppie di parmigiana, peperoni ripieni, pasta al forno, polpettone. Pane e un paio di pizze. Ogni volta che va a trovare nostro figlio, anche solo per un fine settimana, la mia compagna mi lascia scorte monumentali di cibo. Sono autonomo almeno per una decina di giorni. Frutta e verdura li compro all’angolo, quando esco con Peluche. C’è un tipo che vende di tutto sulla sua bancarella. All’aria aperta, così non devo condividere spazi angusti con nessuno. Quando torno mi lavo le mani e disinfetto tutto con l’aceto di vino o con l’amuchina. Cosa che faccio sempre comunque, appena rientrato a casa, soprattutto dopo aver raccolto deiezioni canine con l’apposita busta.
Controllo il quantitativo di disinfettante. Ce n’è in quantità. Abbiamo un ripostiglio grande e mia moglie si è lasciata condizionare da quei folli della tv che fanno spese colossali solo con l’aiuto dei buoni sconto. Se c’è un’offerta speciale, ne approfitta. Non mi sono mai preoccupato del reale risparmio, ammesso che ci sia. Il vantaggio di aver sposato una professoressa di Matematica è quello di poter demandare completamente la gestione economica della famiglia. Io sono l’organizzatore del tempo libero e delle ferie, lei fa quadrare i conti. Verso i croccantini nella ciotola di Peluche e mi preparo un panino con la mortadella e il pecorino. Meglio consumare gli alimenti che si possono deteriorare, prima di attaccare i surgelati. Mi stappo una birra e mi sbrago sul divano. Mi sento in colpa per l’infrazione alle regole domestiche, ma l’aspirapolvere cancellerà ogni traccia di briciole. Peluche mi si avvicina, fa il timido tentativo di poggiare una zampa sul cuscino. Si guarda intorno, in attesa dell’urlo di mia moglie che gli intima di scendere. Tutto tace e il cane decide di osare di più. Si stende accanto a me e mi poggia il testone sulle gambe. Non ho cuore di scacciarlo. Sarà il mio unico compagno in questa specie di arresti domiciliari, dobbiamo essere solidali fra noi. Su Giallo ci sono polizieschi a profusione. La mia passione. Visione continuativa senza interruzioni di sorta. Nessuno che mi chieda di fare questo o quello. La vera assoluta libertà.
Poggio perfino la bottiglia vuota per terra, senza temere che si formi un alone sul pavimento immacolato. Sono capace di usare la scopa a vapore. Sparirà tutto. Domani. Se devo essere trasgressivo, comincerò con la pigrizia. Mi addormento con il cuore felice, questa forzata lontananza e il rispetto dell’isolamento ha innumerevoli vantaggi. Mi sveglia Peluche, ha il guinzaglio in bocca. La natura chiama. Per ogni evenienza metto una sciarpa davanti alla bocca e decido di non prendere l’ascensore. “Spazio ristretto, prima m’infetto” penso, complimentandomi da solo per la rima. Non c’è molta gente per strada, il fruttivendolo all’angolo indossa una mascherina fai da te, un quadrato di stoffa a fiori con due elastici intorno alle orecchie. Evito di spiegargli che non funzionerebbe come prevenzione dal contagio e prendo mentalmente nota di portarmi dietro l’amuchina per disinfettarmi prima e dopo aver comprato qualcosa. Dovrei avere una di quelle pinze con manico lungo per prendere le cose dagli scaffali in alto. Sarà utile per farmi servire a distanza. Chi se ne frega se mi rideranno dietro, con la sciarpa che mi copre la faccia magari non mi riconosce nessuno. Il cane deve sentirsi soddisfatto perché mi strattona sulla via di casa. Salgo a piedi e arrivo alla porta col fiatone. “Siamo tornati”, dico automaticamente. Non sentire il ciao come risposta mi immalinconisce. Peluche parte all’esplorazione di tutte le stanze. Torna indietro con uno sguardo interrogativo e le orecchie basse. “Troppo silenzio”, penso. Prendo il cellulare e mi rivolgo al cane: “Che dici? Chiamiamo la mamma?”. Abbaia. Clicco sul numero e lei mi risponde subito. Metto il vivavoce, Peluche scodinzola impazzito. Ha ragione lui, la quarantena da soli ha perso già tutto il suo fascino.