La maledizione – Racconti al balcone

Il professor De Guidi aveva dedicato al quadro un’intera stanza, nell’ala del museo riservata ai misteri. La tela era molto grande e la sua storia meritava un posto d’onore. Rappresentava un corridoio, che terminava davanti a una porta chiusa. Sulle pareti erano dipinti corpi nudi di uomini, con espressioni di terrore sul volto e le braccia tese, come in cerca di un aiuto. Sembravano ruotare in un vortice, risucchiati dalla porta in fondo. Il pavimento, invece, era ricoperto da un fiume di monete d’oro, che parevano riversarsi come un’onda all’esterno della tela. Una didascalia, a lato del quadro, recitava: “L’ingresso dell’Ade”. L’autore era anonimo e la datazione incerta.
Circa un mese prima, De Guidi era stato convocato da un notaio, responsabile delle ultime volontà del barone Fagelli, deceduto senza eredi. Attilio Fagelli aveva destinato il dipinto al museo della città, considerandolo solo un prestito a tempo illimitato e non una cessione. Su questo punto era stato preciso, ma enigmatico, “non volendo trasferire la fortuna e la maledizione della porta, a chi ne venisse in possesso”. Aveva inoltre stabilito che la tela fosse esposta dopo il quarantesimo anniversario della sua morte.
Il notaio non aveva saputo spiegare il perché di quella precisazione, la sola cosa che ricordava era che il barone veniva considerato un eccentrico, non si era mai sposato e aveva destinato la sua immensa fortuna a opere caritatevoli. Era sopravvissuto all’incendio della sua casa, qualche giorno prima della sua morte improvvisa: un infarto l’aveva colpito proprio di fronte al quadro, l’unica cosa rimasta intatta. Le tracce del fuoco si fermavano al bordo esterno della cornice, con una serie di lingue nere che si esaurivano prima di arrivare a intaccare la tela, come se fosse dotata di una protezione ignifuga. Il lavoro di restauro non era riuscito ad eliminarle.
Il lascito comprendeva anche una lettera sigillata, destinata al curatore del museo. De Guidi la lesse nella solitudine del suo studio, come espressamente richiesto nel testamento: “Io, Attilio Fagelli, racconto qui la storia del dipinto maledetto, così come a me narrata, il giorno del mio quindicesimo compleanno, da mio padre, e a lui, da suo padre e così fino all’origine. Il mio primo omonimo Attilio, in odore di stregoneria, strinse un patto con il diavolo. In cambio di fortuna e ricchezza, promise l’anima del suo primogenito, al compimento del quarantesimo compleanno. Il signore dell’Inferno accettò la proposta e lasciò un baule, pieno di monete d’oro, e la tela, “L’ingresso dell’Ade”. L’accordo fu mantenuto, mai nulla mancò ai Fagelli e mai il diavolo perse un’anima. Convinto del potere della maledizione, ho provato a rompere il patto. Ho cercato invano di disperdere il mio patrimonio, immergendomi nel vizio o elargendo a piene mani, ma più lo dissipavo più il denaro sembrava ritornare. Ho provato a distruggere il quadro, ma qualunque tentativo è fallito: né lama, né acido, né fuoco hanno potuto far nulla. So che domani morirò. Mi consola il fatto che non trasferirò ad alcuno la mia condanna, non lascerò che altri abbiano il possesso dell’opera. La mia fidata governante Atena mi è testimone, consegnerà il mio testamento, così come questa lettera e la tela, al notaio, che se ne prenderà cura. Nel dubbio che la mia vita dissoluta abbia lasciato tracce di me e un figlio ignoto possa ereditare la mia sventura, dispongo che il quadro e la sua storia vengano esposte nel museo cittadino solo dopo quarant’anni dalla mia morte. A monito imperituro della futilità della facile ricchezza”.
Mentre osservava il quadro, prima di aprire la sala per l’inaugurazione, De Guidi era soddisfatto, un altro traguardo importante per la sua carriera. Si riteneva fortunato, era uno dei maggiori esperti d’arte in Italia, con un fiuto particolare nel riconoscere dipinti degni di pregio. Un talento che sembrava aver contagiato anche i suoi figli. “Niente male”, pensò, “come regalo per i miei quarant’anni”. Qualcosa, come un movimento, attirò la sua attenzione: si avvicinò per osservare meglio. Sentì come uno strappo in mezzo al petto, mentre la porta, in fondo al dipinto, si spalancava. Si accasciò, mentre sulla tela compariva un nuovo volto con le sue fattezze, stravolte dal terrore.
Al di là dell’uscio il diavolo sorrideva. Non riusciva a capacitarsi dell’ingenuità degli uomini, dei loro vani tentativi di sfuggirgli. L’ultimo dei Fagelli c’era quasi riuscito. Se solo avesse deciso di dettare le sue ultime volontà ad un uomo! Ma la giovane Atena si era commossa e aveva deciso di concedergli una notte d’amore, per alleviare le sue pene. Un peccato che fosse morta nel dare alla luce quel figlio ignaro, senza avere il tempo di metterlo in guardia… Il bravo De Guidi aveva compiuto il suo dovere, onorando il patto. Sollevò una mano. La porta si richiuse di colpo.