La quarantena di Andrea Merlo – Racconti al balcone (II parte)

Il ragazzo entrò e si fermò davanti al morto. Cominciò a piangere. Il padre si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla: “Non fare così davanti alle persone. Perché sei venuto? Non dovevi andare al lavoro?”. Si asciugò gli occhi con la manica della giacca e, rivolgendosi a Merlo, chiese: “Sapete chi è stato? Perché? Una rapina?”. Merlo non rispose subito. Non si era ancora consultato con Fusco, ma l’idea del ladro non lo convinceva. Non c’era molto da rubare alle nove di mattina, soprattutto in un posto come quello. E perché sparargli? Davanti a una pistola, chiunque avrebbe aperto subito la cassa. Perché fare resistenza per qualche euro? Poteva essere partito un colpo per sbaglio? E come era scappato? Un’auto che sgommava a tutta velocità avrebbe attirato qualche sguardo curioso dalle finestre. Sembrava più personale, tipo esecuzione. Intanto era arrivato il medico legale. Era imbracato in una tuta verde di plastica, con un cappuccio, occhialoni e mascherina. “Quelle bianche erano finite, mi sono dovuto arrangiare. Con questa emergenza non si trova più niente” commentò. Fece un cenno per invitare tutti ad uscire. “Tornatevene a casa” gridò Fusco alla gente ferma per strada, “Che state a fare qua? Se non avete visto niente continuate a oziare a casa vostra!” continuò, gesticolando con le braccia. La piccola folla si allontanò, trattenendosi in fondo alla via. Attraversò la strada seguito da Merlo, fermandosi sul marciapiede di fronte. “Che ne pensi? Non mi quadra” disse. Merlo annuì. Sapeva che condividevano gli stessi dubbi. Non avevano bisogno di molte parole. Erano una strana coppia, lo sciatto e il figurino, come li chiamava Micheli, quando pensava che non lo sentissero. Ma si erano intesi subito, se c’era puzza di bruciato se ne accorgevano entrambi nello stesso momento. “Non ti sembra che il figlio sia un po’ troppo coinvolto?”, continuò.
Merlo alzò le spalle: “Dobbiamo capirne di più. Questo cugino? Chi è? E dove può essere andato ieri sera? Non certo al cinema”. Un agente li richiamò nel negozio. “Un colpo in fronte, entrato, stecchito, uscito” disse il medico legale, “Vedete? C’è un buco su quel pacco di riso dietro. Ha una mascherina fra le dita. Secondo me, avrà visto qualcuno che entrava e stava per mettersela”. Merlo studiò lo scaffale alle spalle del morto. Gli schizzi di sangue formavano una specie di aureola intorno alla testa. Si allungò per prendere il pacco forato. Lo passò a Fusco che annuì.
“Uffa!” esclamò il medico legale, “fate capire anche a me? O continuerete a vita con i vostri messaggi telepatici?”. “Guardi” spiegò Merlo, “il proiettile ha attraversato questa ma sulla scatola dietro non c’è niente. Vede che la scritta è al rovescio? Chi ha sparato si è portato via quella incriminante e ne ha messo un’altra”. Il medico aprì le braccia: “Lo dico sempre io. Troppi polizieschi in tv. Anche i più scapucchioni sanno che non devono lasciare tracce. Faccio portare via il cadavere, così potete lavorare” concluse, prima di prendere la sua borsa ed uscire. Merlo pensò che avrebbe dovuto imparare il significato di un’altra parola, anche se di questa poteva almeno capire il senso. Il suo vocabolario brindisino si arricchiva sempre di più, ma la pronuncia rimaneva esotica. Fece chiamare il ragazzo. Il padre entrò dietro di lui, ma Fusco lo mandò di nuovo fuori. “Lo conoscevi bene?” chiese Merlo. Non era sua abitudine dare del tu, ma gli sembrò meno minaccioso usare un tono amichevole. “Da quando eravamo piccoli. Abitavano sotto casa nostra, lui e la mamma. Lui sta… stava ancora là. Tanto era solo una camera con la cucina. Il padre non ce l’aveva. A scuola no, io sono andato a quella del casale che era vicino ai nonni. Però ci vedevamo qualche volta. Poi papà l’ha preso a lavorare qua. Era bravo Ernesto” si asciugò una lacrima. “Conosci il cugino?” continuò Merlo. Il ragazzo sembrò sorpreso: “Cugino?”. Poi sembrò capire: “Forse, era una scusa per mio padre. Per non dire con chi si vedeva. Maniaco del controllo, mio padre. Sempre a chiedere chi conosco e chi non conosco. Fissato con la gente che si può approfittare. Secondo lui devo stare attento a non trovarmi una fidanzata che sta con me per i soldi. Manco fosse proprietario, che so, della Conad di tutt’Italia. Metteva in croce pure Ernesto, caso mai se la faceva con qualche delinquente”. “Vi vedevate anche in questi giorni?” chiese Merlo. “Lo so che non si poteva fare” continuò il ragazzo, “però abitiamo sopra e sotto. I miei alle nove si coricano, io scendo zitto zitto e ci vediamo un film. Una birra e qualche sigaretta. A chi dovevamo contagiare?”.
“Non facevate altro?”, Fusco era quello delle domande scomode. Il ragazzo esitò: “No, no che dice? Eravamo amici. Perché? Io ci avevo una ragazza, però ora no”. “E che c’entra la ragazza? Allora sono vere le storie su Ernesto. Non è che ci aveva provato con te?” incalzò Fusco. Ricominciò a piangere. “No, no. Io non sono così. Io ci avevo la ragazza. Non sono così, io. Eravamo amici. Che m’importava di quello che gli piaceva a lui. Non abbiamo, mai fatto niente”, ripeté, scuotendo la testa. Un agente richiamò la loro attenzione. Merlo si avvicinò. “Abbiamo fatto un controllo sul titolare. Un mese fa ha denunciato il furto di una pistola regolarmente detenuta. Pare che la tenesse nel retro del negozio. La porta è stata forzata e hanno rubato qualche latta di olio e l’arma, che era nascosta dietro” riferì l’agente. “Ma guarda un po’ il caso” commentò Fusco. Avevano fatto uscire il ragazzo, dopo avergli chiesto di tornare a casa e di restare a disposizione. “Andiamo a fare qualche domanda al paparino” continuò.
(2 - Continua)