La quarantena di Andrea Merlo – Racconti al balcone (III Puntata – Fine)

Il proprietario del market continuava ad asciugarsi le mani sul bordo del grembiule. Merlo pensò che non fosse il massimo della pulizia e che su quella tela sgualcita la concentrazione di microbi era sicuramente più pericolosa di qualunque covid sospeso nell’aria. Rimasero in silenzio per qualche minuto, come se stessero cercando le domande adatte per confermare un sospetto. Merlo sapeva che quelle pause lunghe aumentavano l’allerta in chi aveva qualcosa da nascondere, ma, nello stesso tempo, facilitavano i passi falsi. “Allora, lei dice di aver sentito un colpo. E come mai non è tornato subito in negozio? Un uomo come lei, che tiene tutto sotto controllo?”, intanto si guardava intorno, soffermandosi sull’ordine perfetto della merce sugli scaffali. “Il tonno. Ve l’ho detto, stavo aprendo una latta grande. Con l’apriscatole non è facile. Mica come quelle piccole, che dai uno strappo e via. Una volta mi sono tagliato, quasi mi tranciavo un dito sul bordo. Taglia come una sega. Così prima ho finito e poi sono uscito. Tanto avevamo già sistemato le cose di vetro. Che si poteva rompere? Ernesto stava mettendo a posto i pacchi di pasta e poi andava alla cassa”, l’uomo continuava a stropicciare il grembiule. “Già, la cassa. Quanto hanno rubato?” chiese Fusco, incamminandosi verso il retro. “Rubato?”, esitò l’uomo, “non c’era molto, qualche spicciolo per dare il resto. Non ho controllato. Ernesto era morto, che m’importava di quanto avevano rubato?”. Si era affrettato verso la porta che dava nel magazzino. Era uno spazio stretto e lungo, con scatoloni impilati lungo i muri, un bancone di legno al centro e una porta in fondo, chiusa con un lucchetto. Sul bancone, chiazze di olio e frammenti di tonno intorno a una latta grande. Alcuni barattoli di vetro pieni a metà. “Lo divido in porzioni. I clienti mi riportano i barattoli, così li riciclo. Tutti sterilizzati, però”. I colleghi dei NAS avrebbero trovato molte cose da ridire su quella economia virtuosa, ma loro non erano lì per quello. “Ha fatto riparare la porta dopo il furto della pistola?”, Merlo saggiò la resistenza del lucchetto. La porta era di legno stinto, non era stata cambiata. Sarebbe bastato un calcio per aprirla e non c’erano segni di scasso. “Ho solo aggiunto il lucchetto. Sarà stato uno di passaggio. Il quartiere è piccolo, ci conosciamo tutti. Le cose si sanno” si grattò la fronte, come a seguire un pensiero perduto, “Prima. Prima dell’epidemia. Ora che stiamo chiusi a casa nessuno vede niente”. Fusco prese un pacco di zucchero e sembrò stranamente interessato all’etichetta: “Sapeva che suo figlio ed Ernesto si incontravano di nascosto? Che cosa dicevano, tutti, di questo?”. L’uomo si irrigidì, le dita irrequiete smisero di tormentare la tela: “Che dovevano dire? Mo figlio ci aveva la ragazza. Non era come Ernesto, non ce l’aveva quella malattia. Io non volevo che stessero insieme. Quando erano bambini, va bene, ma ora no. Che ne so se gliela poteva attaccare, quella cosa”. Fusco poggiò lo zucchero. “Quale cosa? Che gli piacevano gli uomini? E se gli piaceva Ernesto? Mica poteva impedirglielo”, incrociò le braccia guardandolo fisso negli occhi, “non si era mai accorto che suo figlio usciva di nascosto per andarsene da Ernesto? Due ragazzi soli, di notte, sotto gli occhi di tutti. Da quanto tempo lo sapeva, che erano due fidanzatini?”. Gocce di sudore cominciarono a scorrere sulla fronte dell’uomo. Merlo intervenne: “Certo, si può capire. Tante aspettative e poi una delusione così. Si sa come sono i figli, non stanno ad ascoltare. Lei voleva lasciargli il negozio e invece ha voluto lavorare per conto suo. E qui c’era Ernesto. Tutto il suo lavoro sarebbe andato nelle mani di un invertito, chi non sarebbe intervenuto?”, gli ripugnava parlare così ma voleva creare una specie di empatia, per fare breccia nella mente dell’uomo. Sembrò riuscirci. “Glielo avevo detto, a mio figlio e anche a Ernesto, che se continuavano così l’avrei cacciato via. E che mi ha detto quell’ingrato? Che tanto bastava uno stipendio e se ne sarebbero andati a vivere insieme. Che vergogna! Le vedevo le persone, quando entravano, sempre con la risatina, Pure ora, sotto le maschere. Poi uscivano e si fermavano all’angolo a commentare. Era tutta colpa sua. Mio figlio ce l’aveva la ragazza. Chissà che fattura gli ha fatto. Vergogna!”, era indignato, ancora inconsapevole di ciò che stava confessando. “Dov’è la pistola?” chiese Fusco. Si arrese: “Sotto il tonno. Mio figlio mi aveva detto che ora che finiva la quarantena si voleva fare un viaggio. Ho capito che se ne voleva andare con lui. Allora ho detto che mi avevano rubato la pistola, così mi sono preparato. Oggi sono andato e l’ho minacciato che se non la finiva lo ammazzavo. Si è tolto la mascherina. Così lo potevo vedere che mi rideva in faccia. Mo’ può ridere quanto vuole, brutto sporcaccione ingrato”.
Rientrarono in questura insieme. Merlo aveva il solito amaro in bocca, come gli capitava sempre di fronte alle miserie umane. Ancora una volta, nessun caso alla Montalbano ma solo triste quotidiano squallore. Il cellulare di Fusco cominciò a suonare. Non era il solito anonimo drin drin che distingueva le chiamate normali. L’auto si riempì della voce di Ramazzotti che cantava: Più bella cosa non c’è. Merlo sapeva che era un omaggio alla figlia, la ragazza che Fusco aveva cresciuta da solo dopo la morte di parto della moglie. Sulla scrivania c’era la foto di una bimbetta che si teneva su a malapena, anche se ora era una giovane donna che lavorava lontano da casa. Il tono di Fusco era sempre dolce, quando parlava con la figlia. Prima di chiudere Merlo lo sentì dire: “Mi raccomando, a papà, non ti scordare mai che qualunque cosa fai, papà ti vuole sempre bene. Ricordalo. Qualunque cosa decidi di fare, sei sempre la bambina mia”. Uno schioccare di baci terminò la telefonata. Fusco si schiarì la gola e si voltò verso il finestrino. Si asciugò un occhio con la manica. Merlo sospirò, approfitto di un semaforo per guardare verso il cielo. Si era alzata tramontana e l’azzurro sembrava più intenso, come accadeva solo a Brindisi. Pensò che, dopo tutto, valeva ancora la pena di sperare in un mondo migliore.
(3 - Fine)