La vita beata di Kim Menefutt – Racconti al balcone

Kim Menefutt venne al mondo in una assolata mattina di giugno. Nessuno sapeva che la sua nascita era stata benedetta. Gli dei dell’Olimpo, pur avendo da tempo demandato ad altre divinità la cura delle anime, di tanto in tanto gettavano uno sguardo benevolo sull’umanità, scegliendo un pargolo al quale elargire una particolare qualità. Purtroppo, l’esperienza aveva insegnato loro a non esagerare: la bellezza di Elena aveva provocato una guerra lunga e sanguinosa e anche la forza e l’invincibilità non si erano dimostrate così vantaggiose per Ercole e Achille. Persino in tempi recenti, i beneficiari di virtù divine non avevano avuto quasi mai un destino soddisfacente. Dopo aver discusso sul da farsi, decisero di accondiscendere alla richiesta di Eudemonia, che da tempo desiderava avere un suo protetto, senza esserci mai riuscita. Gli altri dei, infatti, ritenevano che, per un essere umano, avere la felicità come unico scopo della vita non era proprio un vantaggio, senza una presenza divina costante che gli evitasse delusioni. Alla fine, anche grazie alla benevolenza di Ate, che per una volta accettò di non tramare inganni che potessero nuocergli, concessero a Kim

Menefutt il privilegio di una dolce esistenza. Fu così che il piccolo venne al mondo senza vagiti, ma con un largo sorriso che stupì i presenti, ignari della carezza della dea sulla sua guancia. L’infanzia trascorse serena: gli bastava un cenno per vedere soddisfatti i suoi desideri. All’asilo, gli altri bambini si accapigliavano per poter giocare con lui e cedevano volontariamente coloretti e merendine. A scuola, era il preferito delle maestre, che gli perdonavano qualunque errore. Quando arrivò al liceo, la malia suscitata dalla dea gli valse il soprannome di “magilla”, perché il suo magico fascino sembrava accendere i cuori come una scintilla. Eccelse nello sport, sempre protetto da mano divina: veloce come il vento, saettava sul campo di calcio, mentre gli avversari aprivano varchi davanti a lui e il portiere lasciava sfilare il pallone in fondo alla rete.

Storcendo il naso di fronte a lavori indegni, Eudemonia gli evitò fatica fisica e sforzi intellettuali, lasciando che Kim Menefutt si procurasse da vivere restando semplicemente sé stesso: gli bastava sorridere per ottenere la completa approvazione dei superiori, che gli attribuivano meriti e gratifiche per il solo fatto di esistere. Quando venne il momento di scegliere una compagna, la dea decise che il suo favorito non poteva accontentarsi di una qualunque delle tante donne mortali che cadevano ai suoi piedi, soggiogate dal suo effluvio ammaliante, e chiese al vegliardo Nereo di concedergli, come sposa, una delle sue figlie. All’inizio, le ninfe rifiutarono sdegnose di abbandonare le libere scorribande fra i flutti, ma, dopo averlo visto, fecero a gara nel contendersi l’onore di tanta delizia. Fra tutte, primeggiò la bella Dynamene, che gli recò, come dono di nozze, la qualità dell’atarassia ovvero la “serenità indifferente con la quale il saggio contempla il mondo”. Col tempo, la gioia di due figli belli come stelle completò la famiglia.
Kim Menefutt transitava nella vita come una piroga trasportata dalla lenta corrente di un fiume. Quando infuriava la tempesta, le nuvole si aprivano al suo passaggio ed il sole irrorava di luce e calore il suo cammino. Se al largo il navigante faticava a regolare la vela sul mare in burrasca, Zefiro placava le onde sulla riva, mentre Kim Menefutt abbronzava la sua pelle, deliziandosi con i frutti profumati offerti dalle Nereidi, invidiose della fortuna toccata alla loro sorella. Mentre gli altri uomini si piegavano sotto i colpi della sorte e le fronti si spianavano lasciando radure pallide, il suo fisico statuario solcava le vie con piè veloce e una fluttuante lucida chioma, che avrebbe fatto invidia alla mitica Berenice.

A volte, Eudemonia sussurrava al suo orecchio le parole di antichi filosofi e Kim Menefutt, simile a eco melodiosa, le distribuiva, come perle, fra i tanti che pendevano dalle sue labbra, incantati al cospetto di un così illustre maestro di saggezza. Grande era la sua capacità di infondere pace e quiete, con il suo epicureo esempio nel godere dei doni che la vita gli riservava, senza mai desiderare di più né invidiare alcuno. Ciò lo rese amabile agli occhi degli uomini e, soprattutto, degli dei, che cominciarono a considerare benevolmente il desiderio di Eudemonia di donargli l’immortalità, aprendogli le porte dell’Olimpo.
Ma quando venne il momento, lo schivo Kim Menefutt rifiutò la gentile offerta di vivere fra i cieli eterei, sorbendo ambrosia da coppe d’oro disteso su morbidi triclini, e chiese di trascorrere l’eternità su un’isola tropicale, fra fronde di cocchi e sterminate distese di ostriche e tiratufuli. Una simile prova di umiltà commosse gli dei, che gli concessero di trascorrere una vita eterna e beata nella semplicità, coccolato dalle ninfe e cullato dal canto delle sirene.

A Claudio, il vero unico “atarassico” Kim Menefutt.