Le frittelle di Carnevale

Un tempo nella nostra città si sentiva quello spirito di divertimento proprio del periodo: si svolgevano sfilate di carri e di maschere. I ceti più abbienti e i Circoli di cultura e della Stampa organizzavano veglioni di carnevale pubblici, presso il Teatro Verdi o altri locali. Col tempo, per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza, ma anche di censura sulla libertà di espressione che non permetteva la satira politica e di costume, furono vietate le maschere sul volto.
Dopo l’avvento della Repubblica fu ripreso il carattere goliardico e satirico del carnevale, per cui si poterono indossare di nuovo le maschere e sottolineare con gli abiti le differenze sociali, economiche e di identità di genere.
I corsi principali erano pieni di coriandoli che arrivavano all’altezza dei marciapiedi. Sacchi di coriandoli e di stelle filanti erano pronti per essere venduti vicino alle bancarelle, dove si vendevano anche maschere di carta e di cartapesta, cappellini a forma di cono e di cilindro, confetti nostrani: menduli rizzi (mandorle ricce) di Francavilla Fontana, cacài (confetti ripieni di liquore) e candillini (confetti a forma di cilindro con all’interno un filetto di cannella).
La maschera più usata era il domino, perché permetteva di non essere riconosciuti; infatti, chi lo indossava era coperto dalla testa ai piedi e non parlava o parlava in falsetto per non tradire la propria identità. Erano utilizzati anche i travestimenti che permettevano di rappresentare in modo satirico la politica, il lavoro, lo studio. I giovanotti si divertivano a travestirsi da”signurina”, da donna: mettevano due palloncini al seno, indossavano una camicetta un po’ sbottonata, una gonna arricciata e lunga o, viceversa, stretta e corta per far vedere le gambe pelose e le scarpe con i tacchi alti su cui camminavano in modo malfermo. Mettevano il rossetto sulle labbra, disegnavano un neo sulla guancia e il trucco agli occhi con un turacciolo di sughero bruciato.
Le bambine si mascheravano da contadina, da Cappuccetto rosso, da spagnola, da damigella o da bambola. I maschi da scolaro, da dottore o da qualche personaggio dei cartoni.
Il martedì grasso c’era la sfilata dei carri con la rappresentazione di carnevale morto, circondato da altre maschere che piangevano smodatamente per la sua morte e lanciavano grida strazianti, tra le risate dei cittadini che osservavano fermi ai lati della strada. Anche i privati, giovani e adulti mascherati, si attrezzavano e in gruppo rappresentavano alcune scenette. C’era tanto rumore di trombette, di fischietti e di grida gioiose di bambini che cercavano di riempire le loro tasche con i coriandoli gettati a terra, in attesa del lancio dei confetti, troppo costosi per essere comprati, da parte dei ricchi signori che sedevano fuori dai bar più importanti della città – Caffè Torino, Caffè Fiamma – al passaggio delle maschere. Anche sotto il profilo gastronomico, dal giovedì al martedì grasso, le donne cucinavano cibi succulenti a base di carne, soprattutto di maiale o di cavallo perché meno costosa, e preparavano i dolci nostrani legati al carnevale. Era un modo sano di passare in allegria il periodo di festa e di divertirsi.

Propongo oggi un dolce simile nell’aspetto a quello delle chiacchiere, ma diverso negli ingredienti e, quindi, con un sapore diverso.

Frittelle di Carnevale

Ingredienti: 250 grammi di farina 00, due uova, un pizzico di sale, 20 grammi di burro ammorbidito, un cucchiaio di zucchero, un cucchiaio e mezzo di vino dolce, un’arancia non trattata grattugiata. Olio per friggere. Zucchero vanigliato.

Preparazione: Impastate tutto finché non sentirete tra le mani una massa morbida, ma non molle. Fatela riposare al fresco per almeno mezz’ora, coperta con un panno di cotone. Quindi stendetela con la macchinetta della pasta e tagliatela a strisce che dividerete in pezzi. Lasciate riposare ancora mezz’ora, poi friggete e fate asciugare su carta per fritti. Adagiate le frittelle su di un piatto di portata e spolverizzate con zucchero vanigliato.