L’invasione degli ultratopi – Racconti al balcone

Emma scese dall’auto portando con sé la busta delle scorte alimentari, aprì la porta ed entrò nel soggiorno della casa vacanze. Luigi aprì il portabagagli e restò in attesa. Sua moglie aveva un proprio rituale quando si trasferivano nella villetta sul mare: doveva prima controllare che fosse tutto a posto e immacolato, anche se, durante i quindici giorni precedenti, gli ospiti della villetta erano stati il figlio con la sua famiglia. La nuora conosceva troppo bene la suocera per lasciare un solo spillo fuori posto. Alla fine dell’indagine, si sarebbe affacciata all’ingresso dando il via libera e Luigi avrebbe scaricato i bagagli mentre lei riempiva il frigo, distinguendo fra cibi da consumare subito e quelli da congelare per i giorni successivi. Si sentì chiamare con voce allarmata e si precipitò all’interno. La moglie era nel bagno e indicava con la mano tesa un punto in alto fra l’orlo delle mattonelle e la fascia di muro bianco che le separava dal soffitto. “Topi” esclamò Emma con lo stesso tono che in Criminal Minds usano quando scoprono le tracce di un serial killer. Un misto di stupore e incredulità. Anche ribrezzo, nel caso di sua moglie. Luigi si avvicinò alla traccia incriminata, un minuscolo frammento di materiale indefinito, fra il grigio e il bianco. Difficile dire di cosa si trattasse. “Topi” ripeté sua moglie, con un tono che sottintendeva la necessità di attivare una caccia all’ultimo sangue, prima di uscire dalla casa riportando indietro la scorta di cibo. Era chiaro che il safari fosse compito esclusivo di suo marito. Rimasto solo, Luigi osservò meglio il reperto. Aveva molti dubbi sulla sua origine. Poteva essere qualsiasi cosa: uno schizzo di detersivo o dentifricio, oppure, ammesso che fosse di materiale organico, un residuo prodotto da suo nipote Matteo, che era diventato il più alto della famiglia ma non aveva perso l’abitudine malsana di ripulire le cavità nasali con l’indice per poi appiccicare le caccole dove capitava. Il giallo del muco poteva essersi trasformato in quella massa grigiastra per opera del deterioramento microbiologico. Si guardò intorno, controllando il pavimento. Non c’erano tracce evidenti di altri residui. Dubitava che un topo fosse così acrobatico da raggiungere quell’altezza, ma si rassegnò ad armarsi di scopa, tanto, se non avesse perlustrato ogni centimetro della casa, Emma non ci avrebbe messo piede. Gli venne in mente un episodio analogo, con protagonisti i suoi genitori. Quella volta, Il topolino c’era: un esserino minuscolo, tutto orecchie, di quelli di campagna, non i grossi ratti di città che, indubbiamente, sono molto più ripugnanti. Lo scoprirono rintanato in un angolo della camera da letto. Sua madre aveva lanciato un urlo simile alle sirene che annunciavano l’arrivo dei bombardieri e suo padre lo aveva colpito con una ramazza. Però, quando raccontava l’episodio, l’uomo si dichiarava convinto dell’inutilità del suo intervento perché il topo era già morto di infarto, shock o altro trauma dovuto all’onda d’urto e agli alti decibel del grido di sua moglie. Ora toccava a Luigi manifestare le sue doti di cacciatore. Controllò tutto: si stese sul pavimento per perlustrare sotto i letti, aprì e svuotò cassetti, armadi e pensili, spostò mobili ed elettrodomestici. Non trovò nulla, nessun essere vivente, nessuna traccia biologica. Riferì l’esito infruttuoso a Emma, che si convinse a entrare in casa solo dopo averle promesso di procurarsi delle trappole da piazzare nel giardino e accanto alle porte, in caso il topo avesse trovato una via d’accesso che gli permetteva di scorrazzare a suo piacimento. Luigi si rimise in auto e andò in paese a procurarsi tutto il necessario. Discussero sull’opportunità di usare il formaggio come esca, considerando la maggiore probabilità di attirare formiche piuttosto che topi, ma alla fine decisero di provare per un paio di notti. Se non fosse accaduto niente, avrebbero lasciato le trappole solo in giardino, a scopo preventivo. Se ne andarono a letto sfiniti. La mattina dopo, poco lontano dal primo e sempre sullo stesso orlo di mattonelle, trovarono un altro escremento, o qualunque cosa fosse. A quel punto, anche Luigi cominciò a nutrire qualche dubbio. Forse il topo era dotato di abilità sconosciute. A meno che non fosse stato punto da un ragno radioattivo come Peter Parker, per poi trasformarsi in Spider-mouse. Un ultratopo, insomma.
La caccia ricominciò senza esito. Emma propose di procurarsi dei visori notturni e di fare dei turni di guardia al buio. Luigi le disse che guardava troppi film di spionaggio. Emma si ricordò di aver visto un documentario su certi topi volanti. Luigi le disse che quelli erano pipistrelli. Litigarono. Raddoppiarono il numero di trappole, mettendole anche sopra i pensili. Andarono a dormire reciprocamente offesi. Tardarono ad addormentarsi. Erano circa le tre, quando Luigi si alzò per soddisfare una necessità idrica. Accese la luce, lo sguardò andò subito al bordo incriminato. Fu così che lo vide. Un minuscolo geco che correva verso la finestra per poi sparire infilandosi nella cassetta della tapparella. Non prima di aver lasciato un ricordino. Per lo meno, era un esserino educato visto che usava il bagno per le sue necessità fisiologiche. Ripulì con un pezzetto di carta igienica intriso di alcool. Emma avrebbe dovuto rassegnarsi. Le fracidane, come le chiamavano dalle sue parti, portavano fortuna, mangiavano le zanzare e non davano alcun fastidio. Il piccolo ospite meritava di essere accolto in casa. Tornò a letto sollevato. Sarebbe uscito presto, per comprare un paio di pasticciotti per colazione, in segno di pace. Nel giardino, un musetto arricciato si stava rimpinzando di formaggio, aggirando il meccanismo a scatto. Tornò nella tana in fondo al cespuglio di edera. Sette topolini affamati cominciarono ad allattare. Quello era l’habitat ideale per crescere i piccoli, con tutto quel ben di Dio sparso fra l’erba. E chissà quante altre ghiottonerie avrebbe trovato nella casa…