Masserie fortificate: un fascino che attraversa i secoli

Un tempo floridi centri di vita sociale e agropastorale, oggi le Masserie pugliesi rappresentano il modo migliore per comprendere al meglio la realtà rurale nella sua autenticità. Per secoli nuclei di possedimenti fondiari della ricca aristocrazia latifondista, le masserie continuano a mantenere quel fascino suggestivo e inalterato dell’ambiente contadino, nel giusto equilibrio tra tradizione e modernità. Questi luoghi costituivano importanti centri di aggregazione per moltissimi lavoratori fissi e stagionali e per le loro famiglie, qui si condivideva, tra miseria e ignoranza, la solidarietà, i ritmi e le esperienze di vita, ma anche gli amori e le passioni. Coloni, braccianti e pastori erano impegnati e coinvolti per tante ore al giorno nella lavorazione della terra circostante, nell’allevamento degli animali e nella trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, un microcosmo in grado di soddisfare le esigenze dell’economia agro-pastorale.
I fabbricati erano composti da diversi elementi costruttivi, strutturati secondo una conformazione ben precisa, con gli alloggi, le stalle, gli opifici e i magazzini disposti intorno ad un ampio cortile centrale. A partire dal XVI secolo e per i due secoli successivi, vi è stato un notevole mutamento del profilo architettonico di questi insediamenti agricoli, parallelamente a quanto si stava già concretizzando lungo tutta la linea costiera con l’innalzamento di una catena ininterrotta di torri di avvistamento marittimo: l’aumento di sbarchi dei temutissimi pirati turchi ottomani, stanziati sull’altra sponda dell’Adriatico, divenuti temutissimi per la loro frequenza e per l’atrocità che caratterizzavano le loro scorribande in tutta la penisola salentina, rese necessaria la costruzione e il riadattamento di alcune strutture aziendali a scopo prettamente difensivo. Molti di questi complessi rurali si dotarono di alte e spesse mura perimetrali e di torri con funzioni sia di avvistamento che di segnalazione di un pericolo imminente, e come luoghi di rifugio. Tutto ciò determinò, successivamente, la definizione di ‘masserie fortificate’, organismi utili ad infittire quel reticolo difensivo creato sulla costa e necessario sia per l’individuazione del nemico in arrivo che per annullare il fattore sorpresa delle incursioni.
Generalmente queste torri quadrangolari, veri e propri fortini situati in posizione baricentrica rispetto al recinto, disponevano di specifici elementi di difesa come merlature, feritoie e caditoie, ossia le strette aperture poste sui muri perimetrali del tetto e in corrispondenza dei varchi di accesso e delle finestre, che permettevano ai difensori di far cadere sul nemico pietre e liquidi infiammabili o bollenti, proteggendoli dall’assalto. Nelle stanze del piano intermedio delle torri di solito alloggiava il proprietario, talvolta per pochi giorni o per alcune settimane. Gli altri fabbricati della masseria comprendevano gli alloggi del massaro (il conduttore dell’azienda agricola), delle famiglie dei contadini e dei pastori, gli ambienti per la trasformazione del latte in gustosi formaggi, per la molitura delle olive, per la lavorazione delle uve e del frumento e per l’immagazzinamento dei prodotti freschi e trasformati. Completavano l’insediamento i ricoveri e le corti degli animali (jazzo), i granai, la chiesetta, il forno, il pozzo e le cisterne di racconta dell’acqua piovana incanalata perfino dai tetti delle dimore. Un vero e proprio villaggio autosufficiente, completamente isolato dalla realtà esterna, divenuta una espressione edilizia d’avanguardia per la difesa dagli attacchi nemici, in cui rientrava a pieno titolo anche la torre colombaia, che grazie all’allevamento e all’addestramento dei piccioni, permetteva di comunicare il pericolo con prontezza, prassi utilizzata sin dalle epoche antiche e fino al primo conflitto mondiale.
Durante il medioevo “le torri associate alle masserie hanno rappresentato anche, nei momenti di maggiore pericolo, l’ultimo baluardo di protezione per l’incolumità della gente che viveva nei casali – spiega Antonella Grassi nella sua pregevole ricerca sulle fortificazioni del litorale brindisino – ciò sembra avere una genesi più antica. Infatti, secondo gli storici, la masseria-torre sembra si riallacci ad una preesistenza di epoca romana che è quella delle ‘villae rusticae’, che costituivano i primi nuclei di insediamento rurale ad uso abitativo e lavorativo”. Infatti nei periodi successivi alla caduta dell’impero romano, con le guerre greco-gotiche, queste strutture rurali del territorio brindisino servirono a proteggere gli abitanti contro gli invasori venuti a saccheggiare i raccolti e i beni. Il clima di terrore si è poi ripetuto durante le incursioni saracene e sono continuate sino alla seconda metà dell’Ottocento quando le masserie divennero obiettivi molto ambiti dalle bande dei briganti: “dopo l’unità d’Italia il fenomeno del brigantaggio sviluppatosi nell’Italia meridionale, raggiunse il culmine dell’espansione – illustra nella sua pubblicazione la funzionaria comunale per i beni monumentali – in questo clima di perpetuo terrore, le masserie fortificate trovavano ulteriore motivo di essere e di manifestarsi nel loro aspetto esteriore di vere e proprie rocche”.
In quegli anni e in numerose occasioni la torre divenne il nascondiglio più sicuro durante gli assalti delle bande di briganti, in altre circostanze è servita ai fuorilegge come sostegno logistico e come ultima roccaforte quando, inseguiti dai militari, si rintanavano per sostenere più efficacemente la resistenza armata. “Le piccole fortezze che caratterizzano l’agro di Brindisi con la loro presenza silenziosa e suggestiva – aggiunge la dott.ssa Grassi – esprimono, con la forza psicologica degli elementi di difesa, la velata angoscia con la quale si conviveva nella routine quotidiana di vita e lavoro, in tempi non troppo passati, quando ‘fuori dalle mura’ il pericolo del nemico era una minaccia costante”.
Ancor prima, verso la fine del XVII secolo, alcune masserie vennero valorizzate ed arricchite con ornamenti architettonici di pregio, come ricchi portali, terrazze panoramiche, colonnati, saloni affrescati e decorati con capitelli, fregi e stucchi, finestre e balconi impreziositi con cornici e davanzali, nacquero così le cosiddette masserie-ville, usufruite dalla proprietà per sfuggire alla calura estiva della città.
Nel territorio provinciale brindisino esistono numerose masserie fortificate, alcune di esse – poche per la verità – continuano a vivere di attività agricola e di allevamento, tante altre purtroppo stanno cedendo all’abbandono e alla pressione di radici di alberi e delle piante spontanee, depredate e deturpate non solo dal tempo, ma anche da coloro che ne asportano pavimenti, soglie e altri elementi decorativi da utilizzare nelle proprie abitazioni o in quelle di villeggiatura. Ci sono infine masserie recuperate e fatte rivivere come aziende agrituristiche, dove le stalle, gli ombracoli e le aie sono oggi impiegate per festeggiare matrimoni o per il relax di turisti italiani e stranieri, innamorati della nostra realtà rurale. A Fasano e Ostuni ve ne sono tante, a Brindisi molte di meno: Baccatani, Baroni Nuovi, Incantalupi, Grottamiranda, Cillarese, quelle aperte al servizio turistico, Pinti, Mitrano, Pigna, Santa Teresa, Villanova sono alcune delle antiche strutture abitate e comunque utilizzate nell’attività agricola, ma ce ne sono tante che meriterebbero di essere salvate dal degrado, come Lu Plema, Belloluogo, Pigna Flores e Badessa, giusto per fare alcuni nomi, ciò servirebbe a conservare parte di una importante memoria storica, economica, artistica e anche politica della Terra di Brindisi.