
La sguattera canticchiava una ballata, mentre era intenta a lucidare le pentole. Si accorse troppo tardi dell’ingresso in cucina di Francesco Melzi e sobbalzò fissandolo con gli occhi spalancati. Poi si affrettò a sistemare la benda che, di solito, le copriva metà del volto e fuggì via. Ma ormai il suo segreto era svelato. La ragazza aveva le pupille di colore diverso, una di un castano bruno e l’altra, quella che di solito nascondeva, di un verde brillante come certi gatti. Francesco era impaziente di raccontare al maestro quella scoperta. Una curiosità anatomica così strabiliante lo avrebbe entusiasmato. Ma mentre si affrettava verso la stanza di Leonardo, cominciò a dubitare. Le stranezze non erano benviste dal Vaticano ed era certamente per questo che la ragazza preferiva tenere nascosta la sua particolarità. Preferiva passare per sfregiata piuttosto che per strega. Anche il suo mentore Leonardo era malvisto per i suoi studi sul corpo umano. “Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza” recitavano i testi sacri e volerlo conoscere nei particolari era considerato blasfemo.
Era come equipararsi al creatore. L’ambizione di scoprire i segreti dell’universo era interpretata da alcuni come un malefico influsso del demonio. Per questo il maestro aveva deciso di abbandonare Roma e di accettare l’invito del re Filippo. Era già anziano e non aveva più voglia di sprecare il tempo difendendo il proprio operato. Aveva ancora tanto da fare. In Francia sarebbe stato accolto con tutti gli onori che meritava e avrebbe avuto una dimora degna del suo genio. “Nemo propheta in patria” pensò Francesco e si chiese se in futuro ci sarebbe stato un tempo in cui l’Italia avrebbe apprezzato i suoi figli più meritevoli senza costringerli a cercare fortuna lontano.
Nello studio, i servi erano intenti a riporre i libri e gli attrezzi nei bauli. Francesco seguiva la lista del maestro con difficoltà, per l’abitudine di Leonardo di scrivere al contrario per rendere incomprensibili i suoi appunti; non aveva più la mano ferma e la calligrafia era un po’ incerta. Aveva incaricato il suo fedele allievo di occuparsi personalmente dei suoi lavori, sia dei documenti che dei dipinti. Francesco controllava tutti i disegni prima di arrotolarli con cura. Restava sempre stupito di come il maestro facesse sembrare reali cose impossibili per l’essere umano. Volare come gli angeli o camminare sul fondo del mare erano pura follia. “Se il Signore Dio avesse voluto, ci avrebbe creato con le ali di piume degli uccelli e le pinne dei pesci” tuonavano i detrattori, ma Francesco non dubitava mai della capacità visionaria di Leonardo di anticipare il futuro. Era convinto che la fantasia avrebbe permesso di migliorare la vita degli uomini. Cominciò a occuparsi dei dipinti. Sul cavalletto, il ritratto della donna non era ancora terminato. Di tanto in tanto, Leonardo aggiungeva una pennellata. Faticava a separarsi dalle sue opere, mai completamente soddisfatto. Non riusciva a rassegnarsi all’impossibilità di raggiungere la perfezione. Francesco si fermò davanti alla tela e si avvicinò per studiarne i particolari. Conosceva i luoghi sullo sfondo, il ponte e il fiume. L’acqua che scorre era sempre stata un’attrazione per Leonardo, convinto di poterla imbrigliare dominandone la potenza. Ma era insolito vedere un paesaggio naturale nei ritratti su commissione. Meglio uno sfondo neutro o gli arredi della stanza. Anche le braccia incrociate e le mani erano una novità. Gli artisti davano più risalto al viso, al limite ai gioielli che potevano sottolineare la ricchezza e l’importanza del personaggio.
A Francesco, tutto quello spazio dedicato al busto e al panorama sembrava sprecato, sarebbe stato meglio mettere più in evidenza il volto. Quell’espressione poi… Non capiva il motivo del sorriso. Forse la donna non riusciva a restare in posa mantenendosi seria o forse qualche gesto, una smorfia del maestro ne aveva suscitato l’ilarità. Ma perché Leonardo aveva deciso di ritrarla così invece di richiederle la sobria compostezza che si addiceva alla moglie di un gentiluomo? Se voleva portare il dipinto in Francia, evidentemente chi lo aveva ordinato non era soddisfatto del risultato. Se ricordava bene, era stato il signore del Giocondo a volere il ritratto della moglie Lisa. Beh, con quel nome, Gioconda, il sorriso le si addiceva. Continuava a fissare le labbra curve della donna. Avevano qualcosa di misterioso, come se custodissero un segreto che Francesco non era in grado di scoprire. E poi lo sguardo sembrava seguirlo ovunque. Una sensazione che lo inquietava. Era convinto che quel dipinto non sarebbe mai piaciuto a nessuno. Fu tentato di lasciare la tela fra le cose da scartare. Poi decise di seguire le indicazioni del maestro. Leonardo era geloso del suo lavoro, non sarebbe stato contento se l’avesse buttata via. A essere fortunati, un cortigiano poco esigente l’avrebbe acquistata per qualche scudo pur di avere nella sua dimora un’opera del maestro prediletto dal re. Poi sarebbe finita in qualche corridoio buio. O magari Leonardo avrebbe riutilizzato la tela per dipingerci sopra qualcos’altro. Non sarebbe stata sprecata. Di una cosa, però, Francesco era certo: tempo qualche anno e nessuno si sarebbe più ricordato della Monna Lisa.