Nuda proprietà – Racconti al balcone

Arturo chiuse lo sportello e si incamminò. Come al solito aveva cercato un posto libero per più di mezz’ora per poi parcheggiare a quasi un chilometro da casa. Borbottò per tutto il tragitto. Vide un gruppo di persone accanto al suo portone e una insana speranza si intrufolò nel suo malumore. La vecchia aveva finalmente tirato le cuoia? La disillusione fu immediata, erano solo dei turisti che si erano persi. Diede loro le indicazioni richieste e infilò la chiave nella toppa. La porta accanto era stata tinteggiata di recente e il vaso di gerani era rigoglioso. Proprio come l’occupante del basso, tre camere e cucina, che aveva acquistato per poter finalmente ricavare un box auto così prezioso e raro nel centro storico. La signora Capasso, dall’apparente età imprecisata fra i novanta e i cento anni, gli aveva fatto la proposta dieci anni prima. Lei era anziana e aveva un solo nipote che viveva all’estero. Le avrebbe fatto comodo avere qualche soldino. Arturo avrebbe potuto comprare la sua casa, lasciandole l’usufrutto a vita. Gli avrebbe fatto un buon prezzo.
“Quanto posso campare ancora? Sono sola, ho l’artrosi, il diabete, non mi muovo quasi più”, gli aveva detto per convincerlo. Arturo ne aveva parlato con la moglie, l’affare era allettante ma non si sarebbero sentiti degli avvoltoi ad aspettare la morte di una persona per loro vantaggio? Il pragmatismo della consorte aveva avuto la meglio: “Morirà comunque. E se il nipote non vende a noi o ci chiede chissà quanto? Si tratterà di pazientare un anno o due al massimo. Ormai nella fossa tiene tutti e due i piedi”. Così si era deciso. Aveva avuto un attimo di perplessità scoprendo che la signora aveva meno anni di quanto pensasse, ma le sue condizioni sembravano così malandate da rendere difficile una sopravvivenza vicina alla media. Invece, nonostante gli acciacchi, l’usufruttaria aveva continuato a campare.
Non solo, sembrava migliorare ogni volta che la incontrava. Ogni mattina usciva per fare una passeggiata sul lungomare: “E chi può andare più in spiaggia, con tutti i dolori che tengo, almeno così respiro iodio”. Due volte a settimana prendeva l’autobus per andare al centro sociale di Bozzano: “Qualche passo di liscio e un paio di balli di gruppo, il dottore dice che così mi muovo un poco e mi fa bene”. Poi la messa, le riunioni con il circolo della parrocchia e persino un pellegrinaggio una volta all’anno. Insomma, la vecchia era molto lontana dall’essere in fin di vita. All’inizio Arturo era felice di vederla in forma, questo alleviava il suo latente senso di colpa, ma ormai sospettava di essere stato raggirato e in cuor suo le augurava di crepare quanto prima. Ma nulla sembrava scalfirla. In un giorno di pioggia era scivolata sull’acciottolato della strada e non solo non si era rotta niente, si era anche rialzata da sola dando prova di una insospettabile agilità. E pensare che Arturo, per una caduta simile, si era procurato una frattura di tibia e perone che lo aveva costretto a due mesi di immobilità assoluta. Gli era venuta anche la gastrite. Non per abuso di antidolorifici, ma perché ogni giorno la vecchia si presentava alla sua porta con una ciotola di brodo di pollo “che tanto fa bene ai malati e accelera la guarigione”. Il solo sentire l’odore della minestra gli provocava un rigurgito acido, accentuato dal fatto che sua moglie si prodigava in ringraziamenti per la cortesia quando invece lui avrebbe voluto strozzarla. “Devi avere pazienza”, gli diceva, “non potrà vivere in eterno. Anzi, dobbiamo stare attenti, capace che ci resta secca nel sonno e ce ne accorgiamo dopo un mese. Capita, con chi vive solo”.
Così Arturo aveva cominciato a tendere l’orecchio ogni volta che passava davanti al portoncino, sperando di sentire rantoli di agonia o silenzio tombale che lasciasse presagire il lieto evento. Ma la voce stonata che canticchiava le canzoni della radio era sempre vivida. Il giorno che l’aveva sentita urlare “Voglio una vita spericolata”, Arturo si era ricordato di quel film dove il protagonista nasce vecchio e ringiovanisce sempre di più fino a tornare neonato. Era stato costretto a ingurgitare un bicchiere di acqua e bicarbonato per placare le fiamme che avevano avvolto il suo stomaco. Sentì avvicinarsi la sirena mentre stava cenando. La luce lampeggiante invase la cucina. Arturo si affacciò. Una ambulanza era ferma davanti alla porta della vecchia. Dopo qualche minuto, una barella fu portata dentro la casa. Arturo accenno un passo di danza con sua moglie, prima di scendere a prestare il suo aiuto. “Sono il vicino, cosa succede? La signora sta bene?”, chiese con un affanno nella voce dovuto più alle scale che alla preoccupazione. “Un malore”, rispose il medico, “la portiamo in ospedale per un controllo”.
Avvolta nella coperta, la vecchia sembrava fragile e indifesa. “Signor Arturo, pensa lei alla mia casa, per favore. Io torno presto”. Arturo annuì, sentendosi un infame per aver sperato di non rivederla mai più. La sera successiva qualcuno suonò il campanello. Era un uomo di una trentina d’anni. “Buona sera, sono Nanni Capasso. Mia nonna mi ha detto di informarla che sta meglio e tornerà a casa fra un paio di giorni. Voleva ringraziarla per essersi preoccupato per lei. Io sono arrivato subito per darle una mano. La nonna mi sta chiedendo da tempo di venire a vivere con lei, siamo rimasti solo noi due in famiglia. Ero in dubbio, perché qui è difficile per i giovani. Ma la nonna si è informata con il notaio e mi ha assicurato che è possibile trasferire a me l’usufrutto della casa, così, se le dovesse accadere qualcosa, potrei stare tranquillo e cercare un lavoro con calma. È contento, signor Arturo?”.