Parasite di Joon-ho, gli scrocconi più premiati di sempre

Sul vocabolario, la definizione stessa di “parassita” nel suo senso figurativo indica una persona che vive senza lavorare, sfruttando le fatiche altrui. Non era mai successo in anni di storia del premio Oscar che un film straniero – sud coreano per giunta – arrivasse addirittura a conquistare il premio come miglior film, insieme ad altri quatto riconoscimenti, scavalcando inesorabilmente grandi pellicole che nel corso della stagione cinematografica, ci avevano regalato grandi emozioni. Il regista Bong Joon-ho torna dopo 6 anni sul grande schermo e si ritrova a ringraziare incredulo l’Academy per l’inaspettata considerazione sotto lo sguardo sorridente dei suoi rivali tra cui Tarantino, Scorsese e Todd Phillips.
Siamo così poco abituati al tipo di cinematografia che non sia la nostra, quella americana e di pochi altri paesi e comunque così stigmatizzati su un tipo di racconto che ha sempre avuto come ispirazione suprema Hollywood che Parasite, a primo impatto, ci sembra quasi una presa in giro, una parodia. Bastano poche scene perché la sceneggiatura impeccabile faccia il suo lavoro, catapultandoci immediatamente nell’intreccio assurdo che lo staff di Parasite è riuscito a creare. Un film generi sparsi e perfettamente incrociati che 2 ore e 20 sembrano stranamente volare. In partenza è la satira: Seul, la famiglia Kim è formata da 4 persone che vivono nei bassifondi della metropoli, in una specie di seminterrato, in sostanza ai margini della società. La loro casa ci viene presentata sin da subito come un tugurio che sembra quasi un rifugio di fortuna, fatto di insetti e blatte. Le loro uniche finestre non sono altro che delle grate poste in alto, che affacciano sul pavimento della strada, dove spesso gli ubriachi vanno a urinare e che rappresenta la loro unica connessione con il mondo reale. Ma qui non c’è spazio per la dinamica tipicamente occidentale del povero onesto e del ricco cattivo. I Kim racimolano due soldi piegando male i cartoni della pizza per una società di consegne a domicilio ma sono anche gente molto astuta, da sempre approfittatori: cercano spasmodicamente il segnale Wi-fi da altre persone, approfittano della disinfestazione pubblica per giovarne anche in casa loro e sono quasi genuinamente dei cafoni.
È proprio nel momento in cui pensiamo di aver messo in ordine i fatti che immediatamente la prospettiva ci viene ribaltata un’altra volta. Parasite è letteralmente un giro sulle montagne russe, si va su e giù, in senso metaforico e non. La casa stessa è fatta a piani, la città di Seul è quasi disegnata a livelli, nei quali al vertice c’è la casa dei Park e sempre più in basso, nelle viscere della metropoli ci sono i Kim, pieni di una disperazione che li porta a illudersi di poter scavalcare facilmente le classi ricche, fatta di personaggi stupidi, ingenui e creduloni, ma che alla fine li farà ritrovare sempre in basso, perennemente sotto, a sgattaiolare via come topi.
Capiremo che la sola lotta fra classi sociali non è l’unica tematica di questo capolavoro, la lotta tra simili anzi è possibilmente ancora più cruda, all’ultimo sangue, in una cruenta immagine di disperazione e lotta alla sopravvivenza a qualunque costo.
Forse nonostante le pose plastiche dei personaggi tipiche del cinema coreano che per ora non riusciamo a capire, la bellezza di Parasite sta proprio nel mostrarci la spietata essenza di tutti gli esseri umani, ognuno al suo livello. Si è tutti parassiti di qualcuno, anche chi vive sul lavoro della sua servitù, trattandoli come macchine e non come uomini, pensando che non ci sia niente all’infuori del proprio mondo, anche quello è un parassita.
E la cosa più agghiacciante è che non si salva nessuno ma chi sta alla base della piramide è destinato a tornarci. Prima o poi, anche la più stupida alluvione penserà a ripulire tutto, riportando ognuno al proprio posto, spezzando l’incantesimo. E della dignità che tanto affannosamente e in modo così spietato i Kim volevano acquistare, con vestiti più puliti e cibo fresco, non rimarrà che la costante puzza di metropolitana, di panno umido, di povertà.