Prenotazione / Racconti al balcone

Mi piacciono i Medical drama americani. Non tanto per la parte pseudo-sentimentale, con tutti che vanno a letto con tutti nei posti più impensati, quanto perché offrono uno spaccato della realtà sanitaria di molti paesi, dove se non hai un’assicurazione adeguata o non disponi di sufficiente copertura economica, sei destinato a finire male. Trovo consolante vivere in una nazione che offre ai suoi cittadini un’assistenza gratuita e continua, visto che, anche quando il proprio medico di famiglia si gode il meritato riposo, c’è sempre la guardia medica, il 118 e il pronto soccorso. Non è un sistema perfetto, ma è certamente migliore della prospettiva di vendere casa per curarsi. Così, animata da gratitudine e fiducia illimitata verso i nostri operatori sanitari, circa otto mesi fa mi sono recata allo sportello della ASL per prenotare una visita specialistica di controllo, per tenere a bada uno di quei malanni con i quali l’età ci costringe a convivere. “L’agenda a Brindisi è chiusa, non è possibile prenotare. Se vuole c’è Fasano”, mi sono sentita rispondere da un gentile impiegato, con una nota di rammarico nella voce. Ho ringraziato, troppo lontano e non ho l’auto. Saluto e vado via, non sarebbe stato un problema tornare qualche giorno dopo: fare due passi, si sa, fa bene alla salute. Alla decima passeggiata, ho cominciato a irritarmi. Cosa significa che l’agenda a Brindisi è chiusa? E perché poi? Un poliambulatorio non ha periodi di ferie e, a parte le festività comandate, è aperto tutti i giorni.
“Guardi”, ho cominciato, “non ho bisogno di una visita urgente, voglio solo un appuntamento. Magari le lascio la ricetta e poi mi invia una mail. Anche fosse per il 30 febbraio dell’anno prossimo, mi va bene”. Concludo con una battuta ironica, sperando di mascherare il disappunto. “Non è possibile”, mi sento rispondere. Decido di insistere: “Ma, se nel fatidico momento di apertura di questa fantomatica agenda io me ne fossi appena andata, i fortunati presenti in quel momento passeranno tutti davanti a me. Dovreste rispettare la priorità di arrivo. Non è che si può venire qui tutti i giorni”. Scuote la testa: “Non dipende da noi”. Lo sguardo dell’impiegato è fra lo spaventato e il guardingo. Mi guardo intorno. Anche i colleghi hanno la stessa espressione. Mi ricordano i soldati al fronte, nella Grande Guerra. Nascosti nel fango delle trincee a scrutare dalle feritoie l’arrivo del nemico. Sollevati, quando scoprivano che il movimento sospetto fra le fronde era solo vento, pronti a difendersi se intravedevano una divisa diversa dalla loro. Chiedendosi perché erano stati costretti a lasciare le loro case per morire su quel pezzo di terra brulla. Anche in questo ufficio si respira la stessa aria: occhi fissi sulla ricetta che i pazienti imbracciano come un fucile. Sarà solo un ticket da pagare? Nessun pericolo. Una prenotazione? Massima allerta. Faccio un ultimo tentativo: “Da chi dipende allora? C’è un responsabile? Posso parlare con qualcuno?”. Alzata di spalle. Già, i soldati semplici obbediscono agli ordini senza fare domande. Non me la sento di infierire.
Un vecchietto mi avvicina: “Eh, signò, cè ha fari… Pensa ca io è la quarta vota ca vegnu, ca all’ufficio protesi danno solo cinquanta numberi e ci rrivi tardi ha turnari lu giurnu doppu. Osci nci l’aggiu fatta. Alli ottu ero numburu quarantasei”. Gli sorrido. Non ho voglia di litigare con nessuno, anche se avverto il dovere di protestare. Per me e per il vecchietto. Torno a casa e provo a telefonare al CUP, ma la gentilissima impiegata che mi risponde, dopo un’attesa infinita, non può darmi una data. “Agenda chiusa. Riprovi” è la cantilena. Provo a fare ricerche in internet, vorrei trovare una qualche spiegazione. Prassi nazionale? Delibera regionale? Comunale? Decisione estemporanea del singolo? Nulla di nulla, però scopro che posso prenotare da casa sul sito ASL. Comincio un lavoro certosino, collegandomi più volte al giorno. Prima o poi, la scritta “Nessuna disponibilità” lascerà il posto a un’opportunità. Finalmente ci riesco. A quasi un mese dal primo tentativo telematico, una mattina alle nove, questa benedetta lista si apre e mi offre una data utile. Novanta giorni dopo. Clicco subito la conferma ed evito di chiedermi quando si sono prenotati tutti quelli che andranno a controllo nelle date precedenti alla mia, visto che fino alla sera prima tutto taceva. L’atteso giorno arriva. Sto bene, ma il dottore mi consiglia un ulteriore esame, per sicurezza. È così gentile da farmi la prescrizione senza costringermi a passare dal mio medico di famiglia. Di fronte alla prospettiva di un’altra odissea, chiedo delucidazioni. “Non sappiamo nulla” mi risponde, “I pazienti si lamentano per questa difficoltà, ma non dipende da noi. Comunichiamo per tempo le nostre ferie, quindi non ci sono ostacoli nel prenotare per tempi lunghi”. Neanche gli ufficiali capiscono gli ordini dello Stato Maggiore. Saluto e mi reco direttamente allo sportello. Per puro caso, capito sempre dallo stesso impiegato. “Agenda chiusa. Ci sarebbe posto a Fasano, fra qualche mese”. Sembra Ungaretti mentre declama: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Mi rassegno. Giocherò di nuovo la lotteria del sito, magari ho fortuna.
Stanotte ho avuto un incubo. Vagavo per gli uffici deserti della ASL. Ero decisa a trovare un responsabile, qualcuno che mi spiegasse il mistero delle date perdute. Finalmente, abbarbicato in fondo ad una stanza, lo vedo. È il Gollum de “Il signore degli anelli”! Stringe fra gli artigli la mitica agenda mentre sibila: “Il mio tessssorooo…”