Racconti al balcone: INDIVISIBILI

di Ida de Giorgio per IL7 Magazine

La strada per la scuola.

“Sfaccendato”, pensò Annamaria. Ogni mattina si sforzava di trovare un aggettivo diverso, per quello scocciatore. Non faceva in tempo ad uscire dal portone, che se lo trovava di fronte: pantaloni a zampa, cinturone e occhi impertinenti che la fissavano.
Una volta l’aveva persino salutata: come se lei fosse una facile, che rispondeva al primo incontrato per strada. Non c’era modo di evitarlo: lui andava al Liceo Classico, lo sapeva perché un giorno le era caduto l’occhio sul dizionario di greco, lei al Magistrale dalla parte opposta. La strada era solo una e dritta dritta, perciò non aveva senso fare un giro più lungo. Sarebbe stato anche inutile, perché era convinta che lui le facesse la posta, aspettando di sentire il rumore della serratura che si apriva. Ci aveva pensato, ad uscire prima da casa, ma il padre sospettoso aveva cominciato a farle domande: perché esci così presto? chi devi incontrare? lo sai che non mi piace che resti fuori da scuola a chiacchierare. Si era rassegnata. Camminava svelta svelta con gli occhi bassi, tanto era solo un attimo. Bastava evitare di dar conto di averlo visto e poi superarlo. Doveva sopportarlo persino la domenica, nel piazzale della chiesa, intento a scherzare con gli amici. Aveva una voce stridula, squillante come una tromba, con un urlo che sembrava una iosa, di quelli che facevano certi maleducati vedendo passare le ragazze. Insomma, un cafone. Però, non era proprio male. Quasi carino, in fondo.

“Quanto se la tira” pensò Vincenzo. Da quando l’aveva adocchiata, faceva di tutto per incontrarla, la mattina. Aspettava il momento giusto, continuando a guardare l’orologio, mentre mamma Giuliana scuoteva la testa, poi si precipitava giù. Il tempo di riprendere fiato ed eccola lì. Una mattina aveva provato ad attaccare bottone, rivolgendole un saluto con un cenno del capo, come si usa fra coetanei che si incontrano tutti i giorni. Niente. Lo aveva snobbato alla grande. Anzi, aveva accelerato il passo, con i libri stretti al petto e la testa chinata di lato, così poteva far finta di non averlo visto. Ma avrebbe finito presto di fare la preziosa. L’avrebbe incontrata alla festa. Tanto aveva insistito che Nino si era convinto, a farli andare a casa sua. I suoi conoscevano i genitori di quella smorfiosa, così sarebbe venuta di sicuro. Poi le avrebbe abbassate, le arie. Però era carina, gli piaceva proprio, era diventata una fissa.

Il tavolo del salone era spostato da un lato. Le sedie in due file parallele lungo i muri, una di fronte all’altra. Si usava così: le ragazze sedute composte, in attesa di ricevere il fatidico “vuoi ballare”, con l’ansia di restare a fare tappezzeria. I ragazzi di fronte, a studiare la situazione prima di alzarsi e inchinarsi per invitarle. Sul giradischi, 45 giri con lenti da mattonella, da ballare a distanza di sicurezza, con i ragazzi che cercavano di avvicinare il bacino e le ragazze che accentuavano la curva a mandolino, allontanandosi. Annamaria si era appena seduta, quando Vincenzo le si parò davanti. Lui le mise le mani sui fianchi, lei poggiò le dita sulle sue spalle.
“Che strano brivido”, pensò lei. “Mi sta rrizzicanu li carni”, pensò lui.
I cuori cominciarono a tessere fili invisibili, e allora, come ora, un bozzolo di seta sottile, resistente a tutte le intemperie della vita, li tiene uniti.

Annamaria rilesse il racconto che le era stato regalato per il compleanno. Una cosa romantica. Si sentì una brava attrice, visto che, dopo quarant’anni, la gente credeva ancora all’esistenza di un rapporto perfetto. Per carità, fra lei e Vincenzo c’era stato un grande amore, ma di quel fuoco non c’era più neanche la brace, solo una fornacetta piena di cenere e polvere. Tutti i giorni, tutti i mesi, tutti gli anni, sempre la stessa faccia. E magari capitava pure di sognarselo di notte. Quanto desiderava una piccola vacanza, una botta di vita senza di lui. Prima, almeno, ogni tanto partiva per lavoro, adesso era il peggior pensionato del mondo. Sempre attaccato come una cozza. Sudava freddo all’idea della settimana in montagna, in programma per l’estate. Neanche la scusa di uscire da sola per fare la spesa.
Però, pensandoci, i sentieri scoscesi erano il posto ideale per un incidente. Chi avrebbe mai sospettato di una moglie così fedele?

Vincenzo pensò al racconto che un’amica aveva scritto per il compleanno di Annamaria. La gente aveva il prosciutto sugli occhi. La moglie gli faceva ancora “rrizzicare li carni”, ma per la rabbia mica per l’amore. Non la sopportava più. Sempre davanti agli occhi. E quel vezzo che gli era piaciuto tanto, la testa china di lato: l’avrebbe raddrizzata a cazzotti. Prima, almeno, c’erano le convention aziendali; ormai non aveva più nessuna scusa per qualche giorno di libertà. Figurati in montagna, ma perché avevano prenotato quella vacanza?
Però, pensandoci, come si dice “Na spenta, na caduta”. Chi potrebbe sospettare di un marito così devoto?

Bevendo il caffè dopo il funerale, i commenti si susseguivano: “Che disgrazia”, “Uno dei due deve essere scivolato e l’altro avrà cercato di aiutarlo”, “Hanno detto che sono rotolati giù per molti metri”, “Ci hanno messo tanto a trovarli perché erano rimasti intrappolati nei rami di certi cespugli, come in un bozzolo”. “Quando dici il destino: morire insieme stretti stretti, così come hanno vissuto”.