di Ida de Giorgi per IL7 Magazine
‹‹Buongiorno››, dico al nulla, entrando in cucina. La domenica mattina è dedicata alla colazione insieme: io, mia moglie e mia figlia. C’è il bricco del caffè, i cornetti tiepidi e anche la tazza piena a metà di latte freddo, come piace a me. Ma totale assenza di esseri umani. Mi preoccupo, mi avvio verso la stanza di Elena, con un senso di ansia crescente, poi sento la voce di mia figlia: ‹‹Mamma, questo non va più bene. Il trikini non mi piace più››. Ho un attimo di esitazione, poi capisco e mi rassereno: è maggio, è tempo della prova costume. L’unica questione familiare per la quale la mia presenza non è contemplata, se non come spauracchio evocato da mia moglie per alcuni modelli estremi scelti da mia figlia: ‹‹Troppo indecente. Poi tuo padre si arrabbia››. Questa ipotesi è assai remota, non fosse altro perché è difficile che io veda i costumi indossati da Elena: la possibilità che mia figlia, a vent’anni, condivida lo stesso lido frequentato da noi, è pari alla mia di fare l’astronauta e perciò trascorrere le vacanze sul mare lunare della tranquillità.
Naturalmente, non ho comprensione per questa smania modaiola. Il mio rapporto con la spiaggia è minimale. Compro da anni lo stesso modello, in una nota catena di articoli sportivi. Tempo impiegato per l’acquisto: cinque minuti, compreso il parcheggio. Due colori standard: uno tolgo, uno metto. Al massimo, conservo quello meno stinto dell’anno precedente, per eventuali emergenze. Di quello che pensa la gente, sulla mia monotonia, francamente me ne infischio, per dirla alla “Rhett Butler”.
Torno alla colazione solitaria, cogliendo il buono della situazione. Ne avranno per tutta la mattina, lasciando a me il telecomando della tv.
In realtà, la mia conoscenza di costumi da bagno femminili è maggiore di quanto si possa pensare ed è frutto di una necessità. Mi capita, infatti, di ritrovarmi “seduto in trono” senza avere nulla di cartaceo adeguato ai miei gusti. Io sono fra quelli capaci di leggere persino l’etichetta del dentifricio, in mancanza di altro, se devo concentrarmi sui miei “bisogni”. Risolvo l’emergenza sfogliando l’unica cosa che non manca in tale sede: quelle riviste femminili che aggiornano le mie donne sugli ultimi dettami della moda corrente, nonché sulla vita di individui che, sono sicuro, eviterei di frequentare anche se naufragassi insieme a loro su un’isola deserta.
Giuro, non mi soffermo ad alitare sulle modelle che sfoggiano microscopici pezzetti di stoffa producendosi in pose plastiche. Mi limito a leggere le descrizioni a lato.
Perché il famoso bikini, quello che per me si riduceva a un insieme di slip e reggiseno in tessuto elastico e colori fantasia, si è evoluto in una serie di modelli dai nomi improbabili e dalle differenze impercettibili. Salvo le porzioni di pelle scoperta.
“Bandeau”, che se lo dici come mangi significa “a fascia” e, presuppongo, destinato a chi ha tette resistenti alla forza di gravità. Con ferretto, senza, a triangolo. Tutta una serie di varianti dedicate alla raccolta delle esuberanze superiori o anche ad aumentarne il volume, se serve. E poi: tanga, perizoma o brasiliana, che differiscono dalla quantità filiforme di stoffa che si infila fra le chiappe.
A parte la mia impossibilità di capire come possa essere comoda una striscia di qualsivoglia elemento collocata nella zona mediana del sedere, questi modelli mi fanno venire in mente lo scacciapensieri, quello strumento a forma di ferro di cavallo con, al centro, una lamella di metallo che vibra producendo suoni melodici. Ecco, sarà il luogo di lettura ad ispirarmi, ma mi chiedo se le fisiologiche emissioni di aria, indossando quel frammezzo elastico, possano produrre una gamma di note musicali, sia pure gravi. Una sinfonia tipo la Quinta di Beethoven, in “cul bemolle”. Le orecchie ne sarebbero dilettate. I nasi meno. E non tocco la questione igiene.
Evito accuratamente di sedermi dove si sono appena poggiate terga dalla dubbia pulizia e vieto a chicchessia di usufruire della mia sdraio personale. Sono geloso dei miei coliformi, esigo che non intrattengano relazioni promiscue. Sarò nostalgico, ma mi piacciono i sempreverdi interi, anche questi ormai prodotti con infinite varianti: monospalla, sgambati, persino a culottes. Sfido qualunque uomo, di età adeguata, a non provare un brivido di emozione al ricordo della prorompente Pamela Anderson, mentre corre sulla sabbia indossando il famoso costume rosso regolamentare. Eh, bei tempi quelli, quando potevo permettermi di guardare le belle ragazze senza sentire addosso gli occhi di ghiaccio di mia moglie, che ora mi trafiggono appena abbasso il libro e gli occhiali da presbite, per scrutare l’emersione di qualche venere sulla battigia.
Pazienza. Il vantaggio è quello di non aver più bisogno di trattenere il fiato per evidenziare una inesistente tartaruga, anche perché la mia pancetta incontra il gusto della consorte.
Mi sto godendo una trasmissione sul campionato di calcio, quando sento avvicinarsi le mie amate coinquiline. Continuano a chiacchierare di abbigliamento estivo e di necessità improcrastinabili. Le mie narici cominciano ad avvertire puzza di bruciato. ‹‹Papi, cosa fai? Perché non ti vesti, così andiamo al centro commerciale? Non ho niente da mettere, per quest’estate. E ricordati la carta di credito. Non fare come al solito, che dici di averla scordata a casa››. Ecco, dovevo prevederlo. Nella prova costume, sono sempre io l’unico a restare in mutande. Anzi, in monokini.