Racconti al balcone: l’emulatore

di Ida de Giorgio per IL7 Magazine

La ragazza camminava al centro del marciapiede, seguendo la fila di mattonelle bianche, un piede davanti all’altro. L’uomo con il cappuccio l’aveva notata mentre fumava una sigaretta, poggiato ad un palo della luce davanti al bar.
L’aveva già vista il giorno prima, spuntare dietro l’angolo della banca e proseguire fino al semaforo, prima di svoltare a destra verso il parco.
Era giovane, con i capelli neri corti e il tatuaggio di una lucertola sul dorso della mano destra. Gli era passata davanti senza spostarsi dalla linea bianca, senza guardarlo, solo affrettando di poco il passo.
L’uomo gettò il mozzicone per terra, lo schiacciò con la punta della scarpa poi infilò le mani in tasca e si incamminò.
L’idea gli era venuta due settimane prima, mentre svuotava la cassa militare appartenuta a suo nonno. Tra divise tarmate e vecchie carte, aveva trovato uno stiletto arrugginito.
Lo aveva ripulito: aveva il manico di osso e la lama a sezione triangolare, lunga venti centimetri. Corrispondeva alla descrizione dell’arma usata dal “Killer della Misericordia”, che da due anni colpiva nella regione, senza lasciare nessuna traccia. Un assassino che non aveva preferenze di sesso o razza e neppure di età: ciò che si sapeva era stato dedotto dall’analisi delle vittime. Una pugnalata al cuore, data con un’arma sottile, molto simile a quella usata per dare il colpo di grazia ai feriti che non potevano essere curati, durante le sanguinose battaglie del passato. Un attacco frontale, senza traccia di reazione, una morte rapida. Misericordiosa, appunto.
L’uomo aveva pensato che nessuno avrebbe sospettato di lui, se avesse usato quel coltello per ammazzare qualcuno.
Aveva studiato per ore le ipotesi investigative, ascoltato le elucubrazioni di eminenti criminologi sul modus operandi e sulla tipologia delle vittime. Aveva analizzato la propria vita: non aveva avuto genitori violenti, non aveva fatto del male ad animali, mai stato bullo o vittima. Non era un potenziale serial killer, secondo i canoni degli esperti. Era solo un disoccupato quarantenne, solo, sgraziato e pieno di frustrazione. Uno dei tanti invisibili che popolavano le strade della città.
Era sufficiente per diventare un assassino? Non lo sapeva, ma si era convinto che quello era l’unico modo per produrre una alterazione in quella linea piatta che era la sua esistenza.
Immaginava la scarica di adrenalina, l’emozione deflagrante nell’attimo in cui avrebbe affondato la lama nel petto del prescelto. E poi la confusione nella polizia. Avrebbero notato differenze? O sarebbe rimasto un segreto fra lui e il vero assassino? Quella competizione gli avrebbe dato uno scopo.
L’uomo aveva deciso di colpire lontano da casa, in un quartiere periferico, dove la gente torna a dormire dopo il lavoro e non ha voglia di passeggiare per le strade: più facile trovare una vittima isolata. Una donna, per cominciare, aveva pensato. Si era esercitato con un vecchio manichino della madre sarta, sul quale aveva disegnato un cuore rosso. Si sentiva pronto, ma non voleva rischiare: meglio scegliere un bersaglio facile.
La ragazza continuava a camminare senza fretta, non si guardava intorno. Sollevò il bavero del cappotto per ripararsi dal vento.
L’uomo la seguì nel parco. Incrociò un vecchio, che strattonava il suo cane affrettandosi verso l’uscita. I lampioni riflettevano l’ombra lunga della ragazza.
Si guardò intorno: nessuno. Si inginocchiò fingendo di allacciarsi una scarpa. Lo stiletto era allacciato al polpaccio destro, lo infilò nella manica, tenendolo con la mano guantata, poi riprese l’inseguimento.
Era a due passi da lei, quando la ragazza si voltò. L’uomo restò senza fiato per la ginocchiata al basso ventre, poi si ritrovò a terra, con un braccio torto dietro la schiena.
La ragazza gridava: ‹‹Sospetto a terra, sospetto a terra. Parco Levi lato ovest››.
Sentì passi e voci, poi lo scatto metallico delle manette che gli stringevano i polsi. Due uomini lo sollevarono, qualcuno gli leggeva i suoi diritti, come nei telefilm.
La ragazza raccolse lo stiletto con dei guanti di plastica: ‹‹L’abbiamo preso, è lui!›› esclamò.
L’uomo provò a negare, ma la voce uscì dalla sua gola come un rantolo indistinto.
Da qualche parte, nella città buia, il Killer della Misericordia si preparava ad un’altra notte.