di Ida de Giorgio per IL7 Magazine
Mi ero accorta del pacchettino, poggiato accanto alle tazze, mentre versavo il caffè.
Ogni volta che veniva a trovarmi, bere il caffè era un rito, una pausa propiziatoria prima di passare ad ambienti più confortevoli, nei quali manifestare il piacere di rivedersi.
Era una piccola scatola dalla forma inconfondibile: quadrata e leggermente bombata, avvolta nella carta intestata di una gioielleria.
La nostra era una relazione acerba, aggravata dal vivere lontani: quel dono inaspettato mi stupì e lo fissai con incredulità ed insieme compiacimento: finalmente un uomo in grado di prendere decisioni rapide
Perciò, il mio spirito anticonvenzionale reagì all’oggetto come quello di qualunque donna: visualizzando un susseguirsi di eventi che andavano dalla scelta dell’abito da sposa alle discussioni sul nome da dare ai figli.
Accennai un sorriso e mi sedetti, allungando la mano.
Liberai l’astuccio dalla carta ed attesi qualche secondo: si sarebbe inginocchiato come da tradizione o avrebbe lasciato che lo aprissi io?
In assenza di reazione, feci scattare la chiusura.
Per essere un oggetto tondo, era tondo. E anche di oro. Ma non era un anello.
Al centro di una nuvoletta di seta bianca c’era una medaglietta con l’effige di un santo, di quelle che si regalano per il Battesimo e che finiscono, immancabilmente, in fondo ad un cassetto.
Quale uomo sano di mente avrebbe regalato una cosa del genere ad una donna che conosce meglio nuda che vestita?
La visualizzazione dell’abito bianco lasciò il posto ad una serie di interrogativi: fargli ingerire quell’oggetto metallico avrebbe prodotto una lesione delle corde vocali? Un trauma dell’esofago? Una perforazione intestinale? O almeno un avvelenamento, qualora i succhi gastrici fossero riusciti a corroderlo rendendo inoffensivo il suo potere dilaniante?
Mentre riflettevo su quanto tempo far passare, dai primi spasmi alla telefonata al 118, eccolo sfoderare un sorriso, seguito dalle parole: “Portala sempre con te, ti proteggerà”.
Non avevo considerato la svolta religiosa.
Possibile che fosse un fervido credente? Possibile che mi avesse fatto quel regalo per condividere la sua fede con me?
Non era certo quella, la “fede” che avrei condiviso con un uomo!
E da cosa doveva proteggermi? In quel momento, era lui a correre dei rischi.
Bloccai per un istante il flusso omicida e studiai la medaglietta: Sant’Ambrogio.
Il Patrono di casa sua. L’unica cosa che sapevo di questo Santo è che si festeggia il 7 dicembre, giusto per ottimizzare il ponte dell’Immacolata. Tipico dell’efficienza del nord.
Noi, a Brindisi, lo siamo di più: i Santi Patroni li festeggiamo il primo sabato di settembre e chiudiamo gli uffici il lunedì successivo. Così il giorno del Santo non capita mai di sabato o di domenica, facendoci sprecare una festività.
L’ultimo ponte dell’estate, mica il gelo di dicembre.
E poi, di Patroni, ne teniamo due: così, se San Teodoro è occupato, possiamo chiedere la grazia a San Lorenzo. Altro che Sant’Ambrogio. Il sud ha una marcia in più anche per i miracoli.
A parte il fatto che, con tutto il da fare che c’è a Milano, quando mai avrebbe avuto il tempo di pensare a me.
Io, di certo, non l’avrei scomodato, neanche in caso di necessità. Al massimo avrei chiesto l’appoggio di San Gennaro, che è più alla mano e li capisce i problemi di casa nostra.
La mia postura rimaneva statica, con un sorriso congelato sulle labbra, mentre i neuroni continuavano a lavorare a mille.
Lo interpretò come segno di gradimento e trasformò il suo compiacimento in un bacio.
Scoprii che anche una donna infuriata può essere sensibile alla carica dei feromoni e decisi di accantonare la questione mistica, a vantaggio della più terrena necessità di non sprecare il fine settimana. C’era una certa soddisfazione, nell’approfittare di un uomo ignaro del proprio destino.
Fu il nostro ultimo weekend.
Il lunedì successivo ho venduto il Sant’Ambrogio ad un compro oro.
Prima, però, ho acceso un cero ai miei Patroni: lo avrebbero spiegato loro, al Santo Milanese, che non si può deludere così una donna.