Recita un motto ebraico: “Il messia non è venuto e mai verrà, andiamogli incontro”. Per quanti non lo ricordassero o non lo sapessero, Gesù di Nazareth era ebreo e muore da ebreo.
Dalla sua “resurrezione” trae origine il Cristianesimo, ovvero la religione che crede nella sconfitta della morte del figlio del Padre “Bar Abbà” ovvero il nome, Barabba, che portava colui che fu scelto dalla folla tra chi salvare dalla condanna alla crocifissione.
Molti si sono misurati col tema della storicità della figura di Gesù e le prove che si ammassano tra gli scaffali sono ragione di critica o di motivata adorazione.
Ragionamento nel ragionamento, riveste la sua data di nascita, consolidata al 25 dicembre.
La visione che ci suggestiona la mente ed appassiona il cuore è quella di una natività arrivata in un tempo ed in un luogo che quanto più rappresentasse il rifiuto di appartenere alla ovvia ricercata serenità da offrire al momento del parto.
La leggenda ci tramanda una “grotta” ed un “freddo ed un gelo” ed un ora, la mezzanotte, ovvero tra il giorno 24 ed il 25 del mese invernale per eccellenza, dicembre.
Confluiscono sulla data esigenze e suggestioni e non dati o certificati.
Quello che consente una maggiore pertinenza si sviluppa attorno alla regalità che si intende offrire a chi è il fondatore della religione cristiana, che oggi conta oltre un miliardo di fedeli, tra ortodossi, protestanti, cattolici, ecc. rappresentante il più numeroso raggruppamento religioso del pianeta.
Legare il Cristo, alla data del 25 dicembre è necessità di cesellare una continuità concettuale che era parzialmente nota anche prima del suo avvento.
La notte tra il giorno 24 e 25 avviene un fenomeno astronomico per cui, trascorse 72 ore dal solstizio d’inverno del 21 dicembre, la lunghezza del giorno irradiato dal sole, comincia a crescere per giungere al solstizio d’estate, il 21 giugno, allorquando il suo irradiamento è al massimo.
Il tema della rinascita del sole viene riecheggiata nella natività di Gesù, divino che si appropria della identità di sole universale.
Culturalmente la data era già identificata dai latini con la celebrazione del dio Sole, che per la circostanza assumeva l’appellativo di invincibile “Sol Invictus” era questo l’ulteriore addentellato, usato per costruire una alternativa concreta e saggia per far accettare alle popolazioni religiosamente impegnate con le divinità pagane, quel Gesù palestinese ebreo, a cui è stato concesso il privilegio di risorgere dalla morte dopo d’essere stato ammazzato crocifisso in ragione delle sue idee.
La prima rappresentazione certificata e che fissa nella cultura cristiana, la nascita alla notte tra 24 e 25 dicembre, risale al 1223 e venne realizzato a Greccio da San Francesco.
Risale almeno al XVII secolo, invece la prima evidenza di una tradizione che si accomuna alla nascita di Gesù, à quella di Babbo Natale di cui sono rimaste alcune illustrazioni d’epoca in cui è rappresentato come un signore barbuto e corpulento, vestito di un mantello verde lungo fino ai piedi e ornato di pelliccia. Rappresentava lo spirito della bontà del Natale, e si trova nel Canto di Natale di Charles Dickens sotto il nome di Spirito del Natale presente.
Quanto e come lo spirito natalizio abbia prevalso sulla memoria della natività, di colui che accomuna oltre un miliardo di persone, detti pure “fratelli in Cristo”, lo si percepisce leggendo la frenetica corsa a distribuire bontà, quantificando in denaro la quota parte di dono che si è disposti a condividere al tempo della festività.
In questi giorni difficili e tragici della pandemia, fra le novità in previsione per il tempo natalizio è l’anticipazione del rito della nascita, dalla fatidica mezzanotte alle ore 20 del 24 dicembre.
Una levata contro la disposizione del governo, degna di una battaglia civile, si è levata per l’oltraggio alla tradizione di celebrare il rito alla mezzanotte, nonostante la placida accondiscendenza della Conferenza Episcopale Italiana e lo stesso pontefice della Chiesa Cattolica che ha ribadito che il rito, fa un passo indietro rispetto alla sicurezza sanitaria della popolazione.
Nel frattempo è saltato il tempo dell’attesa, ovvero quel tempo, non solo liturgico, ma carico di storia e tradizioni, che una sfrenata ricorsa di un tempo sospeso, ha schiacciato o ritorto per soddisfare la fame di normalità perdute.
Così molti hanno già realizzato le luminarie, gli addobbi e gli alberi di Natale, neanche era principiato il tempo dell’avvento, quasi a volere esorcizzare il maledetto Covid. Se per decreto dovesse essere sancito che da quest’anno sarà tre volte Natale, nessuno ricorderà che la profezia era contenuta in “l’anno che verrà” una canzone di Lucio Dalla del 1978, ma molti si soffermeranno sul valore aggiunto che consentirà la triplicazione delle strenne e dei mercatini.
Riconquistare il senso e la misura del tempo, del suo valore emozionale, è la sfida che si sta per apprestare e se si cominciasse per Natale, poco importa il regalo e la millantata bontà, quel che bisogna recuperare è il legame col divino che alberga in ognuno di noi.
Evitiamo di sostanziare anche o soprattutto quest’anno il nostro contributo per una società migliore di vivere questo tempo col solito “due palle, è Natale”.