
Ancora Venezia, ancora Napoli, ancora la Camorra come protagonista verace del cinema italiano. Mario Martone, acclamato l’anno scorso per la sua Capri Revolution ma noto anche per la sua bravura in tante altre pellicole come Il giovane favoloso, torna con la ripresa de “Il Sindaco del rione Sanità”, una pièce teatrale di Eduardo De Filippo, in cui lo stesso a suo tempo, interpretava Antonio Barracano, il protagonista, boss camorrista ripulito che regola i conti nella Napoli “degli ignoranti”. A prendere il suo posto, sicuramente con non poche aspettative è Francesco Di Leva, decisamente più aitante rispetto al De Filippo in teatro, molto diverso nella sua interpretazione che non per questo è da sottovalutare.
Antonio Barracano è il sindaco degli inascoltati, il giudice dei deboli. Dopo essersi “redento” da un passato di brutte azioni e un processo, decide di arrivare la dove lo Stato non arriva, regolando i conti più infimi tra uomini semplici, che vanno da lui e, in cambio di eterno riconoscimento si vedono estinguere debiti, stringere la mano al rivale e ricevere giustizia. Tutto passa sotto la giurisdizione di Barracano, che sembra quasi un padre che rimprovera i suoi figli dandogli una lezione ogni qual volta loro non ascoltano. Nata per essere rappresentata sul palcoscenico, questa storia mantiene le peculiarità dell’opera teatrale, a volte in maniera più scenica di altre.
Movimenti quasi coreografati, espressioni enfatizzate e plastiche danno un qualcosa di unico ed interessante a questo film che esce nelle sale per pochi giorni, giusto il tempo di essere apprezzato da una ristretta cerchia di persone.
Di Leva, dal canto suo è molto bravo in questa impresa alla Gomorra, fatta di napoletano stretto e sottotitoli, ma anche intensità e sentimento. Diversa sicuramente la sua interpretazione, da quella del suo antenato e maestro del teatro italiano. De Filippo aveva 70 anni quando scrisse ed interpretò quest’opera, Di Leva ne ha 40, proprio come la sua versione di Tonino Barracano, attraverso il quale trasporta la Napoli raccontata nella pièce originale ai giorni nostri.
“Nella Napoli di oggi i boss muoiono tutti in giovane età e se non muoiono sono condannati al 41bis, che è praticamente la stessa cosa”, spiega l’attore protagonista. Così vediamo questo guappo stanco, che si rifugia nella sua casa sul Vesuvio ma non viene risparmiato dall’affanno per lo stare dietro alle richieste della povera gente che “non ha santi in paradiso” che li possa aiutare. Se all’inizio del film ci sembra un po’ di rivivere il cinema napoletano contemporaneo (quello di Stefano Sollima per intenderci), il finale è spiccatamente teatrale: c’è l’interpretazione corale dei personaggi, ognuno con un suo preciso ruolo e il finale “a sorpresa” che fa chiudere il sipario sull’opera. L’antagonista, il panettiere, è precisamente delineato per essere esattamente, ma solo in apparenza, agli antipodi rispetto a Barracano. L’intento era quello di raccontare le due facce della città: chi vive nell’illegalità e chi invece, a suo dire, rispetta la legge solo fino a che non viene messo alle strette. Interessante messa su schermo di un’opera tarda del maestro Eduardo De Filippo che, con qualche modernizzazione qua e là, si spera possa arrivare fino ai più giovani.