Sulla strada – Racconti dal balcone

Anna si svegliò sentendo il rumore dell’auto. Si avvicinò alla tapparella e spiò fra le fessure. La ragazza era tornata: si era tirata giù la gonna, con un gesto automatico, anche se era così corta da lasciarle le gambe scoperte fino all’inguine. Faceva freddo, così si era stretta addosso la giacca di finta pelliccia, chiudendone il collo con la mano. Poi aveva cominciato a camminare, come sempre. Sette passi, dall’incrocio al palo della luce e ritorno. A volte si sedeva su un pezzo di muro diroccato, guardandosi continuamente alle spalle: forse aveva paura degli animali nascosti nel buio della campagna. Più probabilmente solo dei topi, che non mancano mai anche in città. Anna aveva saputo della ragazza dal fruttivendolo in fondo alla strada. “Che tempi!” si era lamentato, “adesso sono arrivate anche qui!”. Non aveva chiesto nulla, tanto le chiacchiere delle comari l’avrebbero aggiornata quotidianamente. Aveva comprato una casetta in quella strada periferica una decina di anni prima: l’acquisto di una pensionata che non ne può più di vivere in una grande città del nord e si trasferisce in un paesino più caldo e vicino al mare.
Un piccolo giardino e pochi vicini, con i quali scambiare qualche parola ogni tanto insieme a un caffè e gli auguri per le feste. Poi erano arrivati i condomini e la zona si era animata. Un’auto si affiancò alla ragazza, un uomo si sporse dal finestrino. Poche parole e ripartirono insieme. Solo qualche metro, prima di svoltare in un viottolo appartato. Anna tornò a distendersi sul divano con il suo libro, ormai sapeva che la ragazza sarebbe stata di ritorno dopo una ventina di minuti. Anche meno, a volte. Dipendeva dalla frenesia e dalla voglia del cliente. O dalla fretta di tornare a casa: aveva intravisto un seggiolino per bambini, sul sedile posteriore. Tornò alla finestra dopo mezz’ora, richiamata dalle voci. La ragazza era scesa dall’auto e aveva salutato con un ciao. Il cliente aveva gettato in strada una manciata di fazzolettini di carta, prima di ripartire. La ragazza li aveva raccolti, per poi gettarli nel bidone di fronte al suo angolo. Anna l’aveva vista fare lo stesso con i mozziconi o le gomme da masticare. Ci teneva al suo pezzo di strada, come fosse la sua casa.

Del resto, lo era per quasi dieci ore per notte. All’alba, lo stesso suv, che l’aveva accompagnata, tornava a riprenderla. L’aveva osservata per giorni. Era molto giovane, con le gambe lunghe e i fianchi un po’ larghi. Non era troppo scura, più mulatta, con i capelli acconciati a treccine. Ogni tanto si fermava sotto la luce del lampione e tirava fuori dalla borsa un fumetto di Topolino. Muoveva le labbra lentamente, sillabando le parole. Anna ripensò alla sua infanzia. Aveva fatto solo la quinta elementare, non aveva potuto studiare oltre, ma la voglia di imparare le era tornata. Aveva comprato un vocabolario e cercava il significato di ogni termine che le era sconosciuto. Il libro che stava affrontando adesso era complicato, ma il titolo le era sembrato in sintonia: Alla ricerca del tempo perduto. Forse anche la ragazza aveva voglia di studiare. Un lampo annunciò l’arrivo della pioggia. Non c’erano ripari, per strada, a parte una stretta tettoia proprio sopra il suo portoncino. Sapeva che la ragazza si sarebbe riparata lì sotto. All’arrivo di un’altra auto, sporse il braccio sotto la pioggia, poi corse verso lo sportello coprendosi la testa con la borsetta. Qualche volta Anna aveva pensato di portarle una tazza di latte caldo, ma aveva paura che l’uomo del suv la controllasse da lontano e non voleva crearle problemi. Aveva letto di questa nuova forma di schiavitù, con quelle povere donne attirate con la promessa di un lavoro e poi costrette a prostituirsi. Le cose erano cambiate, dai suoi tempi. Non aveva avuto molta scelta nemmeno lei, ma almeno aveva sempre lavorato in casa e senza padroni. Un basso nella parte vecchia, ma con due stanzette: non avrebbe potuto dormire nello stesso letto destinato alla professione. Non era tanto male, i clienti non le mancavano e, con il tempo, erano diventati sempre gli stessi: come rivedere dei vecchi amici.

Nascondeva i soldi sotto un mattone, nella sua camera, e una volta alla settimana andava a versarli in banca, come le aveva consigliato il direttore della filiale, che la aiutava a gestirli in cambio di uno sconto. Così si era potuta permettere una vecchiaia serena. La ragazza non aveva la sua stessa fortuna. Avrebbe avuto la stessa età di sua nipote, se ne avesse avuta una. Forse l’aveva, ma non l’avrebbe mai saputo. Le avevano portato via sua figlia, anche se la bambina era pulita e curata e non aveva mai visto nulla di quello che faceva per vivere. Una vicina la teneva con sé, durante le ore di lavoro e poi Anna rimetteva a posto la casa prima di andarla a prendere. Quello stesso giudice, che andava a trovarla ogni venerdì sera, l’aveva considerata inidonea a fare la madre. Le era rimasta una foto, una ciocca di capelli e una voragine nel centro del cuore. Aveva smesso di piovere, il vento scrollava le fronde degli alberi. La ragazza era tornata a leggere sotto il lampione. Anna andò in cucina, scaldò il latte e preparò dei biscotti. Al diavolo l’uomo del suv, cosa avrebbe potuto fare ad una povera vecchia gentile! Aprì la porta. La ragazza la guardò avvicinarsi con la tazza fumante, si guardò intorno, accennò un sorriso. Poi, il suono improvviso di un clacson.