di Ida de Giorgio per iL7 Magazine
Peppe ripassò un’altra volta davanti alla villetta di mattoni rossi. Aveva un piccolo giardinetto, circondato da una siepe bassa, e una porta di legno chiaro. Doveva sentirsi sicuro, altrimenti non sarebbe entrato. Finora gli era andata bene: non rubava mai grosse somme e neanche gioielli importanti o oggetti della cui assenza il proprietario si sarebbe reso conto subito. Preferiva obiettivi tranquilli, pensionati o casalinghe con i risparmi nel barattolo del caffè. Entrava, sfilava qualche biglietto da cinquanta euro e portava via un paio di orecchini o un braccialetto d’oro. I malcapitati avrebbero pensato di essere stati disattenti e non si sarebbero insospettiti. Aveva sempre l’orecchio teso alle chiacchiere dei clienti, mentre era al lavoro, ma nessuno si era mai lamentato di furti o altro. Si sentiva orgoglioso di avere le mani di velluto e un sistema tutto suo di aprire le porte di ingresso senza lasciare segni.
Nessuno si accorgeva della sua presenza: essere l’addetto alle consegne del supermercato del quartiere lo rendeva invisibile. A volte lo incaricavano di distribuire i volantini con le offerte del mese e Peppe aveva occasione di studiare meglio le case più accessibili. Nella casa di mattoni rossi viveva una donna sola. Si era trasferita da circa un anno. Peppe l’aveva sentita dire alla cassiera di essere tornata a Brindisi dopo aver lavorato per anni a Roma. Era un’abitudinaria: alle nove era già in giro a fare la spesa. Verdure e frutta fresche e pane caldo. Si fermava a bere un caffè al bar di fronte alla Chiesa e poi comprava il quotidiano prima di rientrare. Durante il giorno riceveva delle persone. Peppe aveva cercato di sbirciare dalla finestra della cucina, passandoci davanti per consegnare una cassa di birra al vicino e aveva visto la signora Clelia, la farmacista, in piedi su uno sgabello con le braccia tese, mentre la donna le prendeva delle misure con il metro. “Una sarta”, aveva pensato Peppe e questo lo aveva fatto ben sperare. La pagavano sicuramente in contanti. Il lunedì mattina l’aveva incrociata un paio di volte mentre andava all’ufficio postale: “andrà a versare l’incasso della settimana”, aveva dedotto, sempre più convinto di fare un colpo facile e sostanzioso.
Il sabato sera la donna si recava a messa. Peppe l’aveva vista uscire dalla casa alle 18.30, l’ora del rosario e poi rientrare verso le 20. Quello sarebbe stato il momento perfetto.
Aspettò il giorno più opportuno, con una serie di consegne pomeridiane nella via della casa di mattoni rossi. La donna uscì lasciando il cancelletto socchiuso. “Bene”, pensò Peppe preparandosi ad agire. Lasciò l’ultima busta a un cliente in fondo alla strada, guadagnandosi una bella mancia, poi tornò indietro. A quell’ora la via era deserta, nessun passante e poche auto. Controllò di avere in tasca una piccola torcia elettrica poi si infilò i guanti e un berretto di lana blu. Preferiva rendersi poco riconoscibile, nel caso in cui qualcuno lo avesse scoperto. Si guardò intorno, poi superò il cancelletto accostandolo dietro di sé. La serratura era semplice e Peppe ci mise qualche secondo ad aprirla. Una volta entrato si mise carponi, per evitare di essere visto dalla strada, visto che le finestre dell’ingresso non avevano gli scuri chiusi. Andò prima in cucina, dove aveva visto la signora Clelia, rovistò nei cassetti e in qualche barattolo. Niente. Passò nel soggiorno, dove c’era una macchina da cucire professionale e una pila di stoffe su uno scaffale. Ci aveva visto giusto, la donna era proprio una sarta. La ricerca nei cassetti della stanza non ebbe successo. Peppe si avvicinò alle camere sul retro. Aprì una porta, il buio era assoluto. Sentì qualcosa sfiorargli la testa, si azzardò ad accendere la sua piletta.
“Si sta riprendendo”, disse il paramedico, mentre gli puntava un fascio luminoso nella pupilla. Peppe sentì un urlo provenirgli dal profondo del petto e lanciò un ululato che fece saltare indietro il soccorritore. Poi cercò di alzarsi, ma i suoi polsi erano bloccati da un paio di manette. “L’abbiamo trovato disteso a terra”, stava raccontando la donna ad uno dei poliziotti. “Sono tornata dalla messa con i signori Ferrante, appena sono entrata e ho acceso la luce, l’ho visto. Devo aver gridato perché il signor Cosimo è tornato indietro di corsa e poi vi ha chiamato”.
“Ha controllato se le manca qualcosa?” chiese l’agente, guardandosi intorno. “Conservo i soldi nella stanza dove monto i modelli”, disse la donna, “sa, non li tengo in giro perché sono esclusivi. Lavoravo a Cinecittà, ci sono molte delle mie creazioni nei film che ha visto”, ridacchiò, “se le piace quel genere. Qui cerco ancora di darmi da fare, soprattutto in questo periodo. Fra poco sarà Halloween, così mi portano la maschera e io preparo un costume su misura”.
Spinse la porta socchiusa e accese la luce. Belfagor, il fantasma del Louvre, li guardava con occhi vitrei. Dagli artigli di una mano pendeva un berretto di lana blu.