In difesa della città e dei porti di Brindisi

I bravi ed attenti lettori avranno già storto il naso di fronte alla mia arroganza. Mi approprio per poche righe, del titolo di un libro che, nel 1831, scrisse Giovanni Monticelli col contributo di Benedetto Marzolla, loro per perorare le ragioni di una patria, Brindisi, io per offrire il mio squalificato contributo ad una riflessione profonda e serrata di cui necessitiamo per superare un tempo di inquieta incertezza.

Brindisi, scrivevano quelli che, per i miei contemporanei, altro non sono se non due denominazioni di altrettanti licei nostrani, “andrà a scomparire dal suolo del regno fra pochi anni”, e dedicavano il loro libro, alla supremazia che deve avere il “bene comune” sull’amor proprio. Concetti alti, i loro, espressi in punta di penna con garbo e impegno. Quanto siano passati di moda, per le menti odierne quei concetti, lo dimostrano le lamentele, tutte rivolte al privato e che escludono dal novero dei bisogni essenziali, la “Res Publicae”, la cosa pubblica, il bene comune. Non mi voglio perdere nel ginepraio degli esempi, troppi ce ne sarebbero, per dimostrare come lo sport nazionale sia quello di profittare delle risorse, ruoli e funzioni pubbliche a fini privati; di come il rispetto per l’altro e l’altrui cosa abbia lasciato il posto al diritto di appropriarsi di tutto in tutte quelle maniere che la fantasia e non la legge, consentono.

Per buona pace di Monticelli e Marzolla, Brindisi in pochi la servono, molti se ne servono. Brindisi, quella da loro agognata, è bella che morta da diverso tempo e non vogliamo ammetterlo. Capire di quale Brindisi parlassero, è necessario chiederlo direttamente a loro leggendo l’accorato ed elegante appello. Leggendo quel centinaio di pagine, si capirebbe più facilmente la ragione per cui noi siamo messi così male. Non è un appello oggi, né un libro, ma tanti appelli, tanti libri, tanti lettori che possono invertire una condizione di morte certificata. Brindisi è morta, l’ho scritto già più volte sulla versione cartacea di Senza Colonne e non mi rimangio certo quella amara convinzione.

Non è morta la speranza, quella che rinasce sino a che ci sono due persone che condividono lo stesso territorio. La morte riguarda certamente allora una certa Brindisi che se volete è testimoniata anche dal forte tasso di emigrazione. I brindisini se ne vanno e fanno bene se a spingerli è il bisogno di un tozzo di pane. Fanno male, se dietro una farneticante affermazione qualunquistica, mascherano la propria incapacità di intraprendere a Brindisi, col cuore e con l’intelligenza, la via della speranza. Martedì 22 ottobre, Gianfranco Perri ci ha sollecitato un tema assai importante, quello della manipolazione che deriva dalla ignoranza e lo ha fatto richiamando magistralmente pagine di storia che mi sono assai care. Questo post non vuole essere risposta, ma contributo perché si accenda, anche da qui, con intelligenza e perseveranza, un piccolo faro di speranza. Brindisi merita il meglio ed i migliori. Con profonda riconoscenza e tanto affetto, intendo riproporre a vantaggio del lettore, ancora prima di mie minuscole riflessioni, poche frasi del libro già citato.

Non sfuggiranno analogie e critiche, assonanze e contraddizioni nel confrontare quei tempi con i nostri. Tratto da “Difesa della città e porti di Brindisi” di Giovanni Monticelli (…) A Sua Eccellenza Il Signor Marchese D. Giuseppe GEVA GRIMALDI, Cavaliere dell’Ordine di S. Gennaro e Gran Croce dell’Ordine di Francesco I, Ministro Segretario di Stato degli Affari Interni. Eccellenza, Scrivendo noi per la difesa gratuita della nostra patria, che da destino maligno perseguitata, ed abbandonata al mafitismo delle paludi, andrà a scomparire dal suolo del regno fra pochi anni, crediamo pregio dell’opera il pubblicarla sotto gli auspici di V.E.; tanto più che prescindendo dall’amore del ben pubblico che l’anima, e della gloria del sovrano, cui tutto si consacra, governando gli affari interni del regno, V. E. tra consiglieri ed i Ministri di Stato, che di tali faccende debbono decidere in presenza del sovrano, è l’unica che conosce Brindisi ed i suoi celebri porti.

Le cognizioni storiche del nostro paese, ornando il coltissimo animo di V.E., la fecero parlare di quella illustre città con l’entusiasmo che solo si risveglia in coloro, che istruiti in Economia Pubblica, e caldi di amore per lo vantaggio dell’universale, vedono le cagioni e gli effetti delle funeste vicende, alle quali i regni, le province, e le città sono soggetti. Rilevando V.E. al tempo stesso dalla statistica, dalla geografia e dalla storia umana, come dalla storia naturale, le cagioni della pubblica prosperità, ingegnosamente va cercando di riprodurre, mettendo in vista del Governo, augurandosi di vedere tali contrade, mercè la beneficienza del Re, ricondotte al loro antico splendore, ed a quella felicità e ricchezza da cui decaddero, non per opera della natura, che si fosse stancata di essere propizia , ma per gli errori, per le barbarie e per la oscitanza degli uomini.

Ed essendo un tale divisamento assai analogo al magnanimo cuore del nostro Augusto Monarca, il quale tutte le sue più energiche cure sta praticando per minorare i mali de’ suoi popoli, ed accrescerne colle opere pubbliche e con gli ordini civili la prosperità, V.E. non isdegnerà di umiliare ai piedi del Trono Reale le divote ed umili lagnanze della città di Brindisi. V.E. amministrò, sono già molti anni, la provincia di Lecce e ne fece breve ma importante descrizione. Si compiacque di osservare la magnificenza naturale del porto di Brindisi lungo circa due miglia; e attorniato da un lato dalla città, che dal colle a guisa di anfiteatro discende nel mare, e dall’altro da amene verdeggianti colline, che formano la sicurezza, e l’ornamento. V.E. conosce ancora Gallipoli, la sua situazione su di alto scoglio legato alla terra ferma per mezzo di ponte artefatto, nonché lo impetuoso e frequente spirare de’ venti nel seno di quella bella e ricca città, e le spesse orrorose tempeste, che ne agitano la spiaggia. Adunque, chi può meglio di V.E. comunicare a’ suoi illustri colleghi, e rassegnare ai piedi del nostro invitto e giusto Monarca la verità de’ fatti, che sono esposti nella Memoria che Le umiliamo, e che l’altrui amor proprio cerca di oscurare?

Le virtù e l’esimio attaccamento al bene pubblico, la divozione verso la gloria del nostro clementissimo Monarca, e la perizia negli affari di Stato e di Amministratore dell’E.V., ci fanno sperare che L’accoglienza benignamente, perché tendente al vero vantaggio non solo di Brindisi, ma dell’intera provincia di Lecce, e del Regno. Di V.E., Napoli, 5 agosto 1831 Devotis. Oblig. ed Umilis. Servi Giovanni Monticelli, avvocato Benedetto Marzolla, procuratore Della Città di Brindisi Se a leggere le chiare ed comprensibilissime istanze, un sussulto di indignazione si è levato da dentro le profondità dello stomaco, allora c’è speranza che non si tratti di un semplice rutto, ma di un bisogno insopprimibile di appropriarsi di quella parte inalienabile della nostra identità, quella che ci vuole “anime sociali” per cominciare ad ammettere a noi stessi e per noi stessi, che abbiamo bisogno degli altri, che non possiamo fare a meno di tutti quei significati che con sé comporta Brindisi. Nei lunghi 180 anni che sono seguiti al bel libro, Brindisi, non solo non è scomparsa dal territorio della provincia di Lecce, ma su di essa e con una impressionante cadenza, si è rovesciata una “benedizione” di pluri miliardari investimenti, molti di più che per intere regioni.

A Brindisi, semmai sono mancati i brindisini e questo è tutto un altro paio di maniche. Sarà che a noi indigeni manca il gene della memoria, sarà che la malaria ricordata da. Se solo ricordassimo a noi stessi le ragioni che da tremila anni rendono questo lembo di terra, gradita a tutti, saremmo ricchi a “strafottere”. Se solo avessimo sfruttato il 10% delle potenzialità, degli enormi vantaggi rivenienti dai copiosi interessi internazionali che qui hanno giocato i loro ruoli, saremmo stati acclamati a cittadini di una capitale. Brindisi, è stata capitale di uno straccio di suolo nazionale, l’unico lembo di terra da cui è “risorta” l’intera nazione e non solo.

Solo la storia e la rilettura degli accadimenti di settanta anni fa possono conferire a Brindisi il ruolo che già allora era chiaro per gli americani e gli inglesi, che qui, nel Salento e a Brindisi capitale si assestarono per la campagna di liberazione dell’Italia. Brindisi era sì, “capitale di pochi, ma porta di libertà per tutti”. Lo è in verità da tremila anni. Grati e benevoli sono gli sguardi che sulla città, anche dopo il secondo conflitto mondiale si sono rivolti da popoli vicini e lontani e noi di questo non ne serbiamo neppure il minimo ricordo. A Brindisi ha sede il più importante hub di “first aid” umanitario dell’ONU, non è un caso, vale più di Nobel per la pace, perché la più importante agenzia planetaria riconosce a questa città il ruolo di “porta di speranza” e noi siamo qui a piangerci addosso. E’ venuto un Papa a confermarci in questa dignità ed ancora non ci basta. Con un velo di malcelata arroganza ma una notevole rabbia, mi pare il caso di non attendere oltre e fare piazza pulita di minchiate e minchioni che con la loro azione distruggono Brindisi ed i suoi porti.

Giancarlo Sacrestano [email protected]