Il 4 novembre non è un giorno semplice da raccontare

Mi sono concesso una pausa di riflessione dinanzi a quello che fu il porto interno di Brindisi, quell’abbraccio tra due seni accoglienti, che nei secoli a tanti naviganti ha offerto approdo; muto e vuoto, sconsolatamente bello da vedere, ma “altrettantemente” (Cetto Laqualunque dixit) triste, che all’anima depressa invita il pianto.

Vi sono giunto da Corso Garibaldi, che con le vie del centro ridotte a deserto, sono degno, macabro preludio, a quel mare che è fantasma di se stesso. Una sequenza allucinante di desolazione e tragico abbandono, come se non fosse passato neppure un giorno dalla visita alla città che il barone svizzero Karl Ulysses von Salis Marschlins riportò fedelmente nel suo “Nel Regno di Napoli: viaggio attraverso varie province nel 1789”. Credo di aver letto il libro, nella edizione curata da Tommaso Pedìo per Congedo editore, più di venti anni fa.

Descrivendo la situazione di Brindisi, tra l’altro scrive: “Larghe strade con case rovinate, cortili ricoperti di erbe, miserabili tuguri appoggiati a vecchie mura e contenenti i più squallidi rappresentanti dell`umanità”. E’ Brindisi, cazzo! Quella di oggi, già descritta 224 anni fa! (repetita juvant, Gianfrà) Sono stato sospinto a questo “dark tour” brindisino, perché nelle orecchie mi riecheggiavano dal mattino, la musica e le parole poste a sottofondo del bel video che Senza Colonne news ha dedicato al monumento al marinaio d’Italia che in quel giorno celebrava i suoi primi 80 anni.

Il professor Massimo Guastella, fraterno amico, ci ha guidato fin dentro le segrete cose del monumento e della bella e suggestiva cripta, che custodisce la memoria dei tanti, troppi caduti in mare per causa di guerre. “O del mio amato ben perduto incanto! / Lungi è dagli occhi miei / chi m’era gloria e vanto! / Or per le mute stanze / sempre lo cerco e chiamo / con pieno il cor di speranze? / Ma cerco invan, chiamo invan! / E il pianger m’è sì caro, che di pianto sol nutro il cor. / Mi sembra, senza lui, triste ogni loco. / Notte mi sembra il giorno; / mi sembra gelo il foco. / Se pur talvolta spero / di darmi ad altra cura, / sol mi tormenta un pensiero: / Ma, senza lui, che farò? / Mi par così la vita vana cosa / senza il mio ben”. Il testo fu scritto dal poeta messinese Alberto Donaudy e composto in musica dal fratello Stefano nel lontano 1915.

Tito Schipa, il celeberrimo tenore leccese, l’aveva inserita nel suo repertorio di bel canto e non mancava di proporla nei concerti che teneva in giro per il mondo. Proprio a Tito Schipa fu affidata la funzione di “guest star” della campagna di comunicazione per l’erigendo monumento al marinaio d’Italia. Il 20 giugno del 1926, presso il Teatro comunale “G.Verdi” di Brindisi, partecipò a un grande concerto vocale “Pro monumento nazionale al marinaio d’Italia” ma altri concerti a Milano e Napoli lo impegnarono nella raccolta dei fondi per la realizzazione del monumento a Brindisi. Proprio a quel brano e a quel tenore “indigeno” – ma osannato in tutto il pianeta, si è ricorso ancora per “celebrare” l’ottantesimo anniversario dalla sua erezione.

Non sfugge all’attento lettore come nel brano della canzone, inserita in un lavoro di tre volumi che Stefano Donaudy titolò “36 arie di stile antico”, non sia chiaro il soggetto, forse una donna andata via, ma perché no, un luogo, una città che “mi era gloria e vanto”. Brindisi, perché no. Appunto. Così io, come so tantissimi altri, mi sento tra le mute strade “Or per le mute stanze / sempre lo cerco e chiamo / con pieno il cor di speranze? / Ma cerco invan, chiamo invan! Brindisi non risponde. Brindisi, “mio ben” non c’è. Anch’io, come tantissimi altri, dinanzi al desolante e solitario movimento delle stanche onde ho pensato di “darmi ad altra cura”, magari lasciarla questa città, emigrare in tarda età, perché anche l’anima vuole la sua parte.

Per intanto ho deciso di riflettere dinanzi a quelle acque e a quel simulacro di timone, cercando di sedare la rabbia, la vergogna e l’indignazione, sentimenti che si sono affollati davanti a tutta quella desolazione. Risale al 23 novembre del 1923 la prima deliberazione della giunta municipale di Brindisi che aveva per oggetto: “ Voto a S.E. il Ministro della Marina per il Monumento al Marinaio d’Italia”. Il sindaco, Serafino Giannelli e la sua giunta avanzavano la candidatura della città ad ospitare l’importante testimonianza monumentale di cui il governo sentiva il bisogno dopo la vittoria del grande conflitto mondiale. La candidatura fu sostenuta con tenacia e fu accolta, tanto che il 24 giugno del 1925, il settimanale di Brindisi – INDIPENDENTE – fondato e diretto dal cav. Giustino Durano, apriva la prima pagina con un titolo a caratteri cubitali “BRINDISI AVRA’ IL MONUMENTO AL MARINAIO” Sua Eccellenza Mussolini presidente del Comitato d’Onore. Nel gennaio del 1932 venne indetto il concorso di idee e nell’agosto dello stesso anno fu designato vincitore il progetto di Bartoli e Brunati. Dopo appena 15 mesi, il 4 novembre del 1933, il monumento veniva inaugurato dal re Vittorio Emanuele III con la soddisfatta partecipazione di Achille Starace, il gerarca fascista leccese che tenacemente si adoperò perché il monumento fosse realizzato a Brindisi. A due leccesi Starace e Schipa e un brindisino, Serafino “Nino” Giannelli, vanno quindi ascritti gli onori dell’impresa. Bravi e grazie. La realizzazione dell’opera costò 2milioni e 400mila lire di allora (circa 2 milioni e mezzo di euro di oggi), se ne erano preventivati un milione e duecentomila lire, raccolti attraverso una lunga e sofferta sottoscrizione privata, perché nel bilancio dello Stato non c’erano fondi per la realizzazione di quel monumento. Nulla di eccezionale, per il vezzo tutto italiano, il rialzo del 100% dell’appalto.

Il 18 luglio del 1965 a ulteriore magnificazione del monumento, fu accesa la fiamma perenne dell’ara inaugurata quel giorno nel piazzale prospiciente l’altissimo “timone”, dall’allora ministro della difesa Giulio Andreotti. Nel vissuto cittadino, il monumento al marinaio d’Italia, ci è entrato con l’appellativo di “lu monumentu”. Per i brindisini è la rappresentazione plastica per eccellenza, nulla gli fa ombra e nulla gli è alternativo. E’ il monumento per antonomasia. A “soli 80 anni” dalla sua inaugurazione versa in condizioni che fanno il paio con quelle deplorevoli della intera città. Il 31 maggio del 1936 fu inaugurato da Hitler a Laboe in Germania il “Marine-Ehrenmal” (Il memoriale dei marinai tedeschi morti durante la prima guerra mondiale). Le fattezze non riecheggiano, ma sono la strabiliante copia del monumento al marinaio d’Italia di brindisi, riveduta e corretta in chiave germanica. Il possente ed enorme monumento di Laboe – sovrasta quello brindisino di oltre 30 metri -. Giganteggia l’imbocco del fiordo di Kiel ai confini con la Danimarca. Due ascensori o 341 gradini, se preferite, rendono possibile il raggiungimento della piattaforma posta a 84 metri sul livello del mare. Il progettista, l’architetto tedesco Gustav August Munzer, che vi lavorò sin dal 1924, ha sempre affermato però, che la forma non rappresenta qualcosa di specifico, ma gli è sovvenuta perché quella ascesa ripida e repentina della torre, ispira sentimenti positivi in chi la guarda. Dal 1954 il monumento è stato riconsacrato per commemorare i marinai di tutte le nazionalità che sono morti durante le guerre mondiali.

Se una cosa i tedeschi sanno fare, è certamente la superiorità con cui sanno vincere, ma anche sanno perdere. Loro le due guerre mondiali le hanno sapute perdere, ma con dignità teutonica, hanno offerto il loro gigante in onore di tutto il mondo. Non è un caso che universalmente si riconoscano nel primo verso del loro inno nazionale “Deutschland über alles in der Welt” (La Germania al di sopra di tutto nel mondo). In tempi recenti, il monumento, vero e proprio memoriale, con tanto di sale destinate ad apprezzate quanto affollate iniziative museali, è stato ristrutturato con la spesa di oltre 2 e 700mila euro. Oggi il visitatore del Naval Memorial di Laboe può usufruire di una struttura, che è meta di centinaia di migliaia di visitatori ed anche di supporti informatici per una visita guidata e persino un virtual tour all’interno delle sale museali allestite all’interno del monumento. “Grazie ragazzi” recita lo slogan per il 4 novembre “Giorno dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate” scelto dal governo per ricordare quanti, uomini e donne, sono stati chiamati o lo sono tutt’ora a contribuire alla difesa dei valori della Nazione in armi col lavoro o con lo studio. A Brindisi, l’amministrazione comunale ha fatto affiggere dei manifesti commemorativi, ma al monumento al marinaio, nessuna evidenza.

Nei 90 minuti che ho trascorso guardando il porto e il monumento, non una nave, non un peschereccio, né uno “schifarieddu”. Solo un battello dei piloti del porto, che verosimilmente senza altro impegno, si è portato dinanzi alle acque che bagnano il piazzale del monumento, spero proprio con l’intento di disturbare l’inquietante mortorio portuale e porgere il saluto a tutti i marinai d’Italia. Nella cripta, in quel lungo tempo, non è entrato nessuno! Il 4 novembre 1933, un ponte di barche fu allestito per unire la sponda cittadina del porto con quella del Casale, tanto era il fiume di persone che volevano fare visita alla cripta del monumento. Il 4 novembre 2013, in quei 90 minuti di un pomeriggio che manco i cani lo vivono così noioso, Brindisi, la città che si fregia di ospitare una tra le più importanti testimonianze della memoria collettiva, ha vissuto la celebrazione della più antica e condivisa festività nazionale, nella più totale indifferenza. Giancarlo Sacrestano

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