Si fa presto a dire cultura

“Quello culturale è un lavoro sporco, qualcuno deve pur farlo” (Anonimo)

Non appartengo alla categoria degli intellettuali accademici, ma per essi serbo un rispetto che qualche volta esonda la semplice formalità. Non sono un bacchettone e la mia scuola è stata fin troppe volte quella che ho incontrato casualmente, frequentando le strade clandestine della vita o come direbbe qualcuno, affibiandomi la dignità di testimone del pensiero divergente secondo il modello di Joy Paul Guilford. 

Dinanzi ad ogni iniziativa della creatività, non storco il naso, non mi rifiuto di capire, ma rifletto e se del caso, porto un mio modesto contributo.
Sono abbastanza adulto per dichiararmi testimone di un’Italia lenta e tarda di comprendonio che, giusto per non farsi mancare nulla, si è dotata di un apposito Ministero per i beni culturali e ambientali, solo a partire dal quarto governo presieduto dal democristiano pugliese Aldo Moro nel 1974. (113 anni dopo la nascita dello Stato unitario!)
Salvo rarissime eccezioni, alla guida del ministero sono sempre stati chiamati dei “travet” della politica, e se non perché presenti nella cronotassi dei ministri, il loro
Dicastero sarebbe passato inosservato.

Una volta si diceva “carmina non dant panem” a voler sottolineare come la cultura, specialmente la letteratura e la filosofia, non portassero grandi interessi economici. Oggi no, la faccenda è ben diversa e a ben guardare allo sfruttamento della cultura, più o meno degnamente ci guardano in tanti – evviva! – ma il livello culturale del Paese, quello no, regredisce paurosamente.
In questi giorni di fine agosto, il centro cittadino della poco ridente città messapica di Brindisi, sveste gli abiti del terzo millennio per indossare i più desueti costumi medievali.
Seppure interessanti, le testimonianze di una Brindisi medievale sono ancora visibili. Icone di un tempo, non capisaldi di un percorso di cui la memoria collettiva nonserba ricordo. E’ un lavoro interessante e necessario perché nonostante l’oblìo, quel tempo esistito, sia da noi, come tutto, ignoriat
Ci provano quelli del comitato “Filia Solis”, organizzatore dell’evento “Le nozze di Federico” che gode del prezioso controllo scientifico della Società di Storia Patria per la Puglia, nonché del sostanziato contributo di Enti, Amministrazioni e Imprese.
“Una garanzia – si legge nel comunicato – di aderenza alla verità storica che tranquillizza i puristi e arricchisce la conoscenza di coloro che, comunque, vivranno l’evento come una vera e propria kermesse spettacolare”.
Bravi! Esatto. Di kermesse spettacolare si tratta e come tale va inquadrata nella sua accattivante formula del pubblico intrattenimento, ma qualcuno pare non l’abbia capito.
Dichiaratomi in precedenza testimone del pensiero divergente, non mi smentisco e accolgo la iniziativa promossa dal comitato “Filia Solis”, come il legittimo parto della intrapresa privata.
Il mio piccolo e non richiesto contributo si sostanzia in una proposta e alla sua sostenibilità.

La proposta:
atteso che l’iniziativa prevede una full immersion medievale con la sua fantasmagoria di colori, la presenza di figure in costume, tipiche di un tempo così remoto, interessante sarebbe collocarla nel periodo invernale che succede al 18 gennaio. Sono buone tutte le date per almeno tre settimane.
La sostenibilità della proposta la sostanzio così come di seguito.
Leggo a pag. 13 del prezioso volume “Il Santo, Il Tessuto, l’Argento” del prof. Giacomo Carito – edizione Amici della Biblioteca De Leo – Grafischena Editore 1995 – “Il breviarium ecclasiae brundisinae, codice attribuito aia primi del XVI secolo, conservato nella Biblioteca Pubblica Arcivescovile “Annibale De Leo”, contiene la più remota biografia di San Teodoro d’Amasea redatto in Brindisi.
Il testo sarebbe stato utilizzato in seguito sia da Ferrante Vacchedano per la redazione della vita del Santo, inserita negli “officia Sanctorum Patronum Ecclesiae Brundusinae” del 1583 che da Antonio Monetta per il dramma in versi, “Il Martirio di San Theodoro” edito nel 1592.
La fortuna dell’opera del Vacchedano fu amplissima; la sua vita del santo, epitome (riassunto) di quella del breviarium è alla data del 27 aprile, sarebbe stata ripresa in tutti gli “officia” successivi e utilizzata di fatto, quale testo di riferimento per quelli, in lingua italiana successivi al Concilio Vaticano II.
L’arrivo delle reliquie, avvenute in età federiciana, è ricordato dalla Chiesa Brindisina il 27 aprile, data che non ha riscontri reali e che compare per la prima volta nel “breviarium” ossia solo ai primi del XVI secolo. (…) a pag. 15 dello stesso volume leggo: “… La sconnessione temporale, ben evidente, tra l’arrivo delle reliquie in Brindisi nel XIII secolo e l’affermazione del culto solo tra il XV e XVI secolo con conseguente redazione di una prima biografia, costruzione di una leggenda esplicativa della traslazione di un primo miracolo è questione ancora aperta. Di essa, la damnatio memoriae che ha portato la storiografia locale a ignorare buona parte degli eventi che interessano la città nel periodo federiciano e il popolamento di Brindisi, a partire dal XV secolo, con dalmati, albanesi e greci che in un santo orientale come Teodoro potevano ben riconoscersi, in ciò favoriti dalla dinastia aragonese che si considerava diretta erede di quella sveva, costituiscono due essenziali polarità”.

Dalla preziosa lettura si capisce come il legame tra il Santo, l’arrivo delle sue reliquie e il culto, l’ incertezza è sovrana. Se c’è una data, accreditata da una prassi plurisecolare circa l’arrivo delle reliquie, il 27 aprile, ad essa non corrisponde un anno, forse un periodo, quello federiciano. La storia ci dice – è vero – che nell’agosto del 1225 Federico aveva inviato a Gerusalemme venti galee per scortare in Italia la tredicenne Jolanda regina di quella città, sua futura seconda moglie. Durante la navigazione, Ad Acri, Giacomo vescovo di Patti aveva comunque officiato le nozze per procura tra Isabella e Federico. Le galee attraccarono infine al porto di Brindisi in ottobre e il 9 novembre 1225 nella cattedrale il vescovo brindisino Giovanni unì in matrimonio Federico e Jolanda. Il 9 novembre coincide – almeno questo – con la data in cui la Chiesa ricorda la memoria di San Teodoro.
Tutto questo turbinare di date per avvalorare la tesi secondo cui nessuno è titolato a storcere il naso se una rievocazione storica avviene nel mese di agosto e non a novembre in coincidenza con la memoria storica delle nozze federiciane. Uno spettacolo ha le sue regole e l’estate le rispetta tutte!

Due piccole annotazioni storiche riportano che il bell’imperatore non abbia onorato così come sarebbe stato consono la consorte e che anzi le abbia preferito la più avvenente bellezza di Aines e le altre, lo stesso giorno delle nozze. La faccenda non sfuggì a chi quelle nozze aveva concertato, il Papa, che in seguito scomunicherà Federico che al ritorno dalla crociata nel 1230 incontrerà molte difficoltà a trovare un luogo sicuro e accogliente nella sua amata Puglia. Quel luogo, inutile nasconderlo, era Brindisi, a cui per mezzo del suo fido Pier Delle Vigne dedicò alcune rime contenenti la bella definizione Brindisi “Filia Solis”. Federico II pertanto, aiutato dai locali amministratori, ricominciò da allora ad illumina da Brindisi, con la sua energica potenza, il percorso di riconquista della sua dignità che lo porterà ad una pacificazione col Papa.
Saperlo è necessario, ricordarlo, fa sempre bene.
Quando si dice che siamo “malacarni” una ragione storica c’è.
Gli amministratori della città, quelli attuali dico, hanno plaudito alla iniziativa “dalla alta significazione culturale” e c’è chi si è lanciato nella prospettiva di una futura edizione da collocare, magari, nel mese di giugno, tanto per decongestionare l’estate e destagionalizzare le presenze turistiche sul territorio.
La politica culturale della nostra amministrazione è sotto l’attenzione di molti osservatori, critici, criticissimi ed ostili. Solo di sè medesimi, gli amministratori si dichiarano compiaciuti, ma dimenticano che stanno solo applaudendo iniziative, non progettando un percorso di salute culturale pubblica, col rischio che ho già denunciato di consentire, nonostante i cospicui esborsi, un ulteriore abbassamento del livello culturale della popolazione ed esacerbare i rapporti tra la cultura ed i benefici della sua ricaduta economica, gli stessi che altrove stanno rinvigorendo le magre casse pubbliche.

Giancarlo Sacrestano
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