La demolizione della Torre dell’Orologio: una follia di 64 anni fa

Alle prime ore del mattino di quel 13 febbraio di sessantaquattro anni fa un piccolo gruppo di operai edili, muniti di scale e picconi, si arrampicarono sulla parte alta della Torre dell’Orologio ed iniziarono a demolirla, sotto lo sguardo sbigottito dei brindisini che abitavano da quelle parti o che da li transitavano.
Le poche maestranze incaricate della distruzione di uno dei simboli della vita cittadina di quegli anni venivano tutte da fuori città, sembra infatti che nessun brindisino fosse disposto ad abbattere l’amato “tirloci ti la chiazza”, che dopo quasi due secoli di vita smise di suonare per sempre. L’opera demolitrice si completò in soli tre giorni, durante i quali tutti i cittadini provarono un forte sentimento di angoscia e di dolore che si ripeteva ad ogni tonfo prodotto dai pezzi di torre che venivano giù. Le testimonianze raccontano di un’atmosfera silenziosa, ormai rassegnata alla scellerata decisione, ma anche di grande sdegno, rabbia e senso di impotenza per non essere riusciti a salvaguardare quel monumento così famigliare, condannato dalla mania distruttiva che imperversava in quegli anni. Rimasero inascoltate le vivaci proteste di alcuni brindisini, non molti per la verità, indignati dalle motivazioni che giustificavano lo sciagurato abbattimento della torre, qualcuno aveva proposto di includere il campanile nel nuovo progetto costruttivo in maniera da poter coniugare l’antico con il moderno, ma fu risposto – in maniera insensibile, spocchiosa e fastidiosa – che il progetto era ormai pronto e non poteva essere assolutamente modificato: insieme alle vecchie casupole situate nel quadrilatero tra piazza Vittoria, via Rubini e piazza Sedile, anche l’elegante struttura settecentesca cadde sotto i colpi dei picconi per far posto all’insipido ed anonimo palazzo della previdenza sociale, oggi sede dell’INPS.
La Torre dell’Orologio era un edificio in carparo di stile barocco che si elevava nel cuore pulsante della città, all’angolo tra piazza Sedile e via Rubini, una collocazione non casuale, infatti gli orologi civici sette-ottocenteschi, in quanto simboli di prestigio, venivano sempre eretti in luoghi di particolare importanza, come piazze e luoghi di maggiore aggregazione sociale per la popolazione. Era stato realizzato tra il settembre del 1763 e aprile del 1764 in sostituzione della precedente torre danneggiata con il terremoto del 20 febbraio 1743. Durante il periodo risorgimentale negli ambienti a piano terra sul lato dell’attuale via Rubini vi erano le carceri femminili, mentre sull’ala di piazza Sedile vi erano le celle per gli uomini, dette “carceri sottane”. Le finestre quadrate “protette da grosse spranghe” erano comunque basse e permettevano di scorgere i prigionieri rinchiusi all’interno, in questo modo era loro permesso di scambiare qualche parola con i propri famigliari, nonostante la presenza di una sentinella di guardia. Qui vennero rinchiusi molti patrioti cittadini, tra cui Camillo Monaco di Oria, che nell’ottobre del 1853, già a domicilio forzato per aver organizzato una sommossa, fu accusato di non aver esultato per l’inno borbonico.
La superficie ridotta del campanile, quattro metri per quattro, accentuava l’altezza della struttura che già spiccava sui modesti e bassi fabbricati circostanti, essa si sviluppava su quattro livelli delimitati da alti marcapiani: sul portale del piano terra campeggiava un altorilievo che rappresentava l’arme araldica della città, mentre nel piccolo stanzino vi era la bottega del signor Madonna, l’orologiaio tuttofare che riparava ogni tipo di oggetto, a cui veniva affidata la cura e la manutenzione del meccanismo; al primo piano spiccava ampia un’epigrafe marmorea in onore di Giuseppe Mazzini, affissa dalla massoneria locale il 10 marzo del 1889 in occasione del 17° anno della morte del grande patriota e politico italiano; al secondo piano era allocato il quadrante dell’orologio: le ore erano segnate con numeri romani ed indicate da due lunghe sfere; il settore, rivolto sulla piazza, veniva illuminato di sera e per tutta la notte, divenendo il punto luminoso più alto di tutta la città, visibile anche da lontano. Sul livello più alto vi era la cella campanaria – sormontata dalla tipica cupoletta a fastigio sovrastata da una piccola banderuola in metallo ad esaltare la verticalità della costruzione – che ospitava le due campane in bronzo ed i relativi battagli collegati al sistema di orologeria, i cui lenti e regolari rintocchi giungevano puntualmente ogni quarto dell’ora e venivano uditi in buona parte della città. I tocchi dell’orologio scandivano la giornata dei cittadini, regolavano la vita merceologica, civile ed amministrativa di quegli anni, accompagnando le famiglie nelle loro attività, un segnatempo collettivo che disciplinava le consuetudini quotidiane. Non solo, gli anziani riuscivano anche ad intuire le condizioni meteo o la direzione e l’intensità del vento dal tipo di suono che gli giungeva.
La Torre si ergeva al centro della vita civile, quella che una volta era Piazza dei Nobili, il salotto elegante e centro amministrativo della città, una zona ricca di esercizi commerciali e di laboratori artigianali dove nelle domeniche d’estate, all’imbrunire, si esibiva una orchestra lirica sempre molto applaudita. Era questo il luogo di incontro di generazioni di brindisini, in particolare del ceto borghese brindisino, “quelli che, in definitiva, orientavano le tendenze politiche, economiche, associative e ludiche della città” (A. Caputo, 2008). L’edificio barocco nei suoi 191 anni e dieci mesi di vita ha anche visto esultare i brindisini per l’opera di liberazione del mezzogiorno da parte di Garibaldi e quando la città venne elevata a capoluogo di provincia. Non era solo un monumento, veniva infatti considerato un simbolo cittadino al pari delle colonne romane, e per questo rappresentato e riprodotto su numerose cartoline postali. Ci restano purtroppo solo queste immagini e il mascherone di Crono che sormontava il quadrante dell’orologio, un reperto dimenticato per anni nel deposito esterno del tempietto di San Giovanni al Sepolcro, ma grazie all’interessamento del Gruppo Archeo di Brindisi che lo ha fatto restaurare, è oggi esposto nelle sale di Palazzo Granafei Nervegna. Nulla rimane degli antichi congegni meccanici, delle campane o degli altri materiali conservati nell’edificio al momento della demolizione, perduti per sempre.
Cinque anni dopo, in sostituzione della torre abbattuta, gli amministratori locali deliberarono la realizzazione di una moderna torre dell’orologio inglobata nella struttura del Palazzo di Città, che però non ha mai suscitato particolare interesse.
Nel 2006, nel luogo dove sorgeva l’antico campanile, è stato collocato un bassorilievo in bronzo rappresentante la torre dell’orologio e il popolo brindisino che si agita ai suoi piedi, realizzato e donato dal maestro Giuseppe Marzano al fine di conservare la memoria storica del monumento e dello scempio operato. La fusione del bronzo per la realizzazione del pannello è stata ottenuta con i soldi donati dai brindisini (un euro a testa), un modo per rimpossessarsi simbolicamente dell’antica Torre.