2021, l’Anno dei «Costruttori»: l’impegno quotidiano di Francesca

Francesca ha il volto bello di chi guarda alla vita, con speranza, consapevole di essere lei la speranza di cui ha bisogno il mondo.Lei è la testimone attendibile e credibile a cui penso, appena ho ascoltato il seguitissimo discorso del Presidente Mattarella che proclama il 2021 “l’anno dei costruttori” ed il messaggio di Papa Francesco che per il primo di gennaio, giorno della Pace che acclama “la cultura della cura come percorso di pace”.
Francesca ha una formazione universitaria da assistente sociale ed una esperienza di vita di strada in continuo ascolto degli emarginati, gli esclusi, dei tanti poveri cui offre assistenza e incoraggiamento.
Se la cerchi la trovi agli angoli remoti della città e lì porta col sorriso, il conforto della sostanza che manca, e la parola che fa nascere un sorriso sulle labbra di chi di sorridere la vita, occasioni, non ne regala.
Per evitare di sottrarla al suo impegno, decidiamo di sentirci a tarda sera e dallo scambio di suggestioni reciproche, così le chiamiamo, ne abbiamo tratto una intervista, il cui unico limite è il mare di bene necessario e che impossibile da imbrigliare tutto in un discorso.
Francesca, ha un cognome, Fai, che le calza a pennello, tra il presente indicativo e l’imperativo di un verbo che fa la differenza tra le parole ed i parolai e chi invece è costruttore e quindi maestro del fare.
Da dove nasce e a quale movimento si lega la tua azione?
“Noi Giovani per la Pace siamo un movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio, vogliamo cambiare la realtà diffondendo una cultura di Pace e di solidarietà a partire dall’amicizia con i poveri, con i bambini e con gli anziani.
La nostra storia, qui a Brindisi, comincia dopo l’attentato all’ Istituto Professionale “Morvillo-Falcone” che ci portò a riflettere sulla direzione che la nostra città aveva intrapreso: la violenza e la
paura.
Da quella triste occasione, abbiamo compreso e cominciato a essere noi stessi i portatori di cambiamento verso delle città più umane: andiamo a trovare gli anziani in Istituto, diventando amici con cui poter parlare e raccontare la propria storia; dimostriamo vicinanza e affetto ai senza fissa dimora, ci impegniamo a diffondere una cultura di Pace rivolgendo uno sguardo allargato, quanto tutto il mondo”.
Il tempo sospeso dal COVID ha definito una reazione ed ci ha chiusi, impauriti ed incerti, oltre che nelle proprie case, anche nei nostri egoismi come fossimo entrati in un letargo della relazione: non ci si accorge più dell’altro.
“In questo difficile periodo pandemico ci siamo accorti di essere fragili e impauriti, sentiamo cambiata profondamente la nostra vita. Sicuramente questo periodo ha provocato delle reazioni, non tutte dettate dalla chiusura. Noi Giovani per la Pace dinanzi al silenzio e alla solitudine abbiamo deciso di uscire e di interessarci all’altro, non abbandonarlo alla povertà.
Spesso dimentichiamo che siamo noi a scegliere la vita che vogliamo e nel periodo più buio della storia degli ultimi tempi abbiamo scelto di esserci, non ci siamo arresi alla cultura del “salva te stesso”, ma insieme invece abbiamo fatto nostre le guerre degli altri, perché vogliamo essere famiglia universale, dove ognuno si concepisce fratello. Noi possiamo affermare che in questo momento così peculiare non solo è aumentata la povertà, ma anche la solidarietà, abbiamo conosciuto tanti che ci hanno aiutato e che non si sono lasciati dominare dalla paura. Noi abbiamo imparato ad accogliere le domande, non solo di chi ha bisogno, ma anche di chi ha voglia di aiutare.
in questo tempo natalizio si rispolverato le buone maniere e si fa qualcosa per i poveri, pochi quelli
che fanno qualcosa con i poveri.
“Giovani per la pace” partendo dagli ultimi. Qual é il progetto?
Quest’anno abbiamo dovuto reinventare il nostro Natale, il motto non è stato “aggiungi un posto in
tavola”, ma “Un Natale diverso ma con gli amici di sempre”, ci sentiamo spinti e guidati dal desiderio profondo di voler costruire una famiglia universale, larga quanto tutto il mondo. Ed è per
questo che noi non facciamo niente nella cultura del “per i poveri”, ma invece “Con i poveri”.
Il nostro Natale ne è l’esempio, non è una festa per loro ma è vissuta con loro, ovvero con tutte le persone che abbiamo conosciuto durante l’anno, che sono nostri amici e nostre amiche, non sono ridotti a semplici assistiti, ma persone che fanno parte del nostro quotidiano. Abbiamo voluto portare la luce del Natale nel buio della solitudine e della disperazione di questo periodo, bussando alle loro porte o attraversando la via dove sono locati, con un pasto caldo e un dono pensato personalmente per ciascuno. Questo è il nostro Natale e questa è la vita che vogliamo condividere e proporre a tanti. Questo è un invito per una vita diversa.
Quanto é importante lo sguardo? Quanto é importante l’ascolto?
E’ molto importante se vuoi davvero conoscere chi hai di fronte.
Se incontriamo un senzatetto non ci limitiamo a regalargli una moneta, ma ci fermiamo a parlare con lui, gli chiediamo il suo nome e gli comunichiamo il nostro: ci presentiamo. Ci interessiamo alla sua vita, ai suoi sogni e ai suoi dolori. Costruire un legame richiede tempo e ascolto, ma cosa più importante richiede fedeltà. Ciò significa che l’incontro con l’altro non è solo un evento fine a sé stesso, ma diventa l’inizio di un’amicizia: io apro la mia vita per accogliere la tua. Si cammina insieme, si pensa insieme quale strada sia meglio percorrere per cambiare la situazione di difficoltà. Molta attenzione abbiamo anche posto nei confronti degli anziani, nella nostra città abbiamo conosciuto tante persone che vivono nella completa solitudine e nell’abbandono.
Siamo diventati i nipoti di tanti nonni, cerchiamo di esserci anche solo con una telefonata, qui l’ascolto è fondamentale, perché stiamo accogliendo le parole vissute dalle nostre radici, cresciamo attraverso i loro racconti e ci arricchiamo della saggezza che ci regalano. Guardare gli occhi di un anziano significa accogliere la sua fragilità e diventare un accompagnatore in una sua stagione significativa della vita. Si tratta di leggere la nostra città a partire dalla conoscenza dei poveri, entriamo nelle periferie non solo geografiche, ma anche umane ed è così che riusciamo a comprendere le varie sfaccettature della nostra città.
Amare é donare, perché donando si riceve. La frase calza su ognuno che si presta a camminare al fianco di chi ha bisogno, ma rilancia il tema dell’impegno a “sporcarsi le mani”. Puoi fare un esempio?
Noi abbiamo semplicemente scelto di non vivere soli, ma di amare chi ha bisogno. Chiunque sia in una condizione, difficile, merita di poter contare su una mano fedele. Crediamo che nel volto del povero ci sia Gesù, che chiede amicizia e che non aspetti altro che noi ci accorgiamo di Lui.
“Sporcarsi le mani” per noi significa semplicemente “io mi preoccupo per te e non farò finta che tu non esista”, vuol dire fermarsi davanti all’uomo mezzo morto, come buoni samaritani che si fanno carico della condizione di fragilità dell’altro, attivando il genio dell’amore che può venire da tanti. Il nostro paradigma, dunque è la parabola del “Buon Samaritano”. Non si tratta solo di attivarsi in quell’instante, ma di coinvolgere tanti per cambiare la cultura dello scarto. Abbiamo conosciuto una famiglia, una mamma e tre bambini, che a causa della pandemia, delle difficoltà linguistiche e dell’indifferenza di molti, era chiusa in casa senza sapere a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Lei voleva disperatamente iscrivere i suoi figli a scuola, ma non ha trovato nessuno che l’accompagnasse.
Abbiamo appreso questa storia mediante un nostro amico, conosciuto anni fa in un centro di accoglienza, che si è preoccupato e occupato di questa famiglia, noi non abbiamo esitato a bussare alla loro porta e non vi nego che vedere nei loro occhi la felicità è stato indescrivibile.
Oggi i bambini vanno a scuola e cominceremo ad aiutarli con un doposcuola gratuito affinché possano anche loro avere gli strumenti per avere parole per comprendere la realtà circostante.
Conoscere loro, che è diventata anche la nostra famiglia, è il regalo più bello che noi potessimo desiderare.
il bene si propaga con l’azione e col gesto della condivisione. Sul territorio brindisino operano diversi agenti che si richiamano al bene, da patrimonio comune a pubblico a solidale. Puoi aiutarci a comprendere l’idea che sostiene il vostro progetto?
Noi siamo spinti dal desiderio di creare un mondo nuovo, vogliamo lottare «contro l’apartheid sociale», come ci ha invitato a fare il Presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, sentendoci «responsabili del dolore degli emarginati e della solitudine dei più anziani», l’idea è quella di vivere una vita piena di Amore, partendo dai nostri più cari amici poveri. Nella traduzione quotidiana è chiaro che vada costruito un tessuto capace di sognare insieme, dobbiamo essere in grado di costruire legami con realtà diverse che debbano avere la stessa visione, costruire una città inclusiva. Vogliamo creare, quindi, una visione comune partendo da una sinergia che coinvolga tutte le realtà, associazioni, singoli.
Siamo all’inizio di un nuovo anno su cui gravano aspettative gigantesche, prima fra tutte, la soluzione di un dramma planetario che sta evidenziando debolezze ed incertezze dell’umanità. Fratelli tutti? A crederci ci costringerà il COVID o papa Francesco?
La pandemia ha evidenziato le fragilità della nostra condizione umana e ci ha fatto vedere una triste verità:
spesso ci affanniamo per arrivare ad una realizzazione personale dimenticandoci degli altri e dei rapporti umani, dei legami. Quando tutto crolla ci ritroviamo soli e ci rendiamo conto che le fondamenta della nostra esistenza sono fatte di sabbia e non di roccia. La pandemia ci ha reso consapevoli del fatto che non siamo invincibili. Uscire migliori da questa crisi non è automatico, abbiamo bisogno di un orientamento e Papa Francesco ce lo dà con la sua enciclica e con i suoi insegnamenti quotidiani. “FRATELLI TUTTI” è una strada da seguire per non disperdere ciò che di buono possiamo trarre anche da un evento così tragico, non comprendere che non siamo autosufficienti, ma che siamo un’unica umanità con un destino e con un sogno comune sarebbe la tragedia più grande in assoluto. Abbiamo gli strumenti per comprendere e per vivere in maniera diversa sognando e costruendo un mondo in cui la famiglia universale diventa modello da raggiungere ogni giorno.