28 giugno 1228, salpa dal Brindisi la Sesta Crociata guidata da Federico II

Nel corso dei due secoli di spedizioni crociate (1096 – 1291), Brindisi ha recitato un ruolo di notevole rilievo, tanto da essere scelta come unico porto di raduno e partenza della Sesta Crociata, organizzata e condotta dal sovrano più carismatico dell’intero medioevo, Federico II di Svevia. A soli ventuno anni, Federico promise solennemente di diventare crociato ad Acquisgrana, nella chiesa palatina di Carlo Magno, durante la cerimonia di incoronazione come “Rex romanorum”, impegno rinnovato a Roma nel 1220, allorché divenne imperatore. Il suo desiderio era quello di seguire l’esempio e portare a termine quanto non era riuscito ai suoi predecessori della casa Hohenstaufen: il nonno Federico I Barbarossa era morto annegato durante la Terza Crociata (1190) e il padre Enrico VI era deceduto poco prima di partire per la campagna militare che aveva accuratamente preparato (1197).
Dopo l’insuccesso della Quinta Crociata conclusa con la disfatta di Damietta nel settembre del 1221, un fallimento causato principalmente per i numerosi dissidi interni causati dal legato pontificio, il papa Onorio III sollecitò lo Svevo a intraprendere la spedizione promessa in Terra Santa, ma l’imperatore chiese altro tempo, poiché aveva bisogno di occuparsi dei tanti problemi del suo regno. In realtà Federico non aveva alcuna intenzione di allontanarsi dall’Italia per combattere gli arabi, fondatori di una cultura affascinante che apprezzava sin dalla gioventù, d’altro canto il pontefice aveva tutto l’interesse a tenere lontano il pericoloso “rivale”, un modo per continuare a gestire il potere spirituale e temporale.
Dopo il matrimonio celebrato nella Cattedrale di Brindisi il 9 novembre del 1225, tra lo Stupor Mundi e Isabella (o Jolanda) di Brienne, erede della corona di Gerusalemme, in accordo con il Papa fu stabilito come termine ultimo della crociata, tante volte rimandata, l’anno 1227: vennero così chiamati a raccolta principi e cavalieri crociati, per dare seguito finalmente alla spedizione, la notizia si diffuse ovunque e nel volgere di qualche mese da tutta Europa giunsero in Puglia migliaia di guerrieri, guidati da uomini intrepidi come Ludovico, langravio di Turingia. Alla fonda del porto di Brindisi la flotta imperiale, composta da cinquanta tra galere e navi da trasporto, era pronta ad imbarcare le tantissime armate qui convenute, un numero esorbitante, dalla sola Inghilterra erano giunti circa sessantamila soldati. Le imbarcazioni erano però insufficienti ad ospitare tutte le guarnigioni, presto cibo e acqua cominciarono a scarseggiare e le condizioni igienico-sanitarie divennero precarie, tutto ciò, oltre al disagio e il caldo torrido di quell’estate, provocano una terribile epidemia, probabilmente malaria, che in breve tempo fece strage di crocisignati. In tanti fuggirono dalla città, diffondendo la pestilenza in buona parte della penisola. A Brindisi gli ospedali non bastavano per curare i tanti ammalati, i benedettini di S. Maria Veterana e gli ordini militari attivi in città, Teutonici, Templari e Ospedalieri si adoperarono in ogni modo per assistere gli infermi, ma i morti furono tantissimi, tra loro anche i vescovi d’Angiò e di Augusta: nel cimitero attiguo l’ospedale di San Martino vennero sepolti numerosi crociati, lo ricorda una memoria del 1674: “si vede il pavimento del cimitero, cavandosi un poco, pieno d’ossa humane”. Per scampare all’epidemia, l’imperatore decise di trasferirsi sull’isola di Sant’Andrea, ma la precauzione non fu sufficiente. Si decise di far partire comunque tre contingenti di crociati, con l’ultimo salpò anche Federico, ancora ammalato, a Otranto infatti fu costretto e fermarsi e tre giorni dopo a fare ritorno. La notizia giunse al nuovo papa Gregorio IX, che giudicò la malattia un pretesto per sottrarsi all’impresa promessa, sentitosi ingannato lo scomunicò il 29 settembre, sciogliendo anche il vincolo di fedeltà dei crociati verso l’imperatore.
Federico, a Pozzuoli per una cura di bagni salutari, accusò il colpo, ma decise di partire ugualmente l’anno successivo. Appena guarito riprese le preparazioni per la partenza, inviò dapprima un’avanguardia di cinquecento cavalieri e il 28 giugno 1228, “Vigilia Sancti Petri”, si imbarcò sulle navi radunate nei pressi dell’isola di Sant’Andrea, dando avvio, proprio da Brindisi, alla VI Crociata, interamente partita dal nostro straordinario porto e passata alla storia come la “Crociata degli Scomunicati”. Il papa incredulo commentò: “Noi ignoriamo quale stolto consiglio egli abbia seguito o, meglio, quale diabolica astuzia lo abbia indotto, senza penitenza e senza assoluzione, a lasciare in segreto il porto di Brindisi, non facendo intendere con sicurezza dove sia diretto”. In realtà l’imperatore nelle sue lettere aveva chiaramente delineato la meta e scopi della sua spedizione. La flotta, composta da un esiguo esercito e da numerosi pellegrini, dopo la sosta a Corfù e a Cipro giunse a San Giovanni d’Acri il 7 settembre, da qui il conte di Malta e l’arcivescovo di Bari tornarono in Italia per chiedere, inutilmente, la revoca della scomunica. L’accoglienza in Terra Santa non fu delle migliori, buona parte degli ordini cavallereschi, dei cristiani e il patriarca di Gerusalemme non accettarono quel sovrano che aveva intrapreso la spedizione nonostante la scomunica.
Sui Luoghi Santi regnava Malek Al-Kamil, il sultano nutriva grande fiducia in Federico II e lo considerava persona illustre ed illuminata, fra i due era già nata una grande e lunga amicizia, con scambio di lettere su argomenti scientifici e filosofici. Il principe arabo, sapendo della passione dell’Imperatore per gli animali esotici, gli fece dono di orsi, dromedari, cammelli e di un elefante. Il rapporto di stima e fiducia tra i due favorì la trattativa diplomatica condotta dall’emiro Fakhr-ed-Din, che si concluse con l’accordo pacifico definito con il trattato di Jaffa del 18 febbraio 1229, un grande esempio di coesistenza e convivenza ancor oggi insuperato: Gerusalemme passò sotto il controllo cristiano per dieci anni, dieci mesi, dieci settimane e dieci giorni, insieme a Betlemme, Nazareth e parte della fascia costiera, mentre ai musulmani era consentito l’accesso ai luoghi di culto. La crociata si concluse pacificamente, senza alcun spargimento di sangue, “anzi, in virtù di un’alleanza politica che in un solenne trattato diventa un manifesto universale del trionfo della stagione di pace […] tra Cristiani e Musulmani, a dispetto della tanto invocata guerra santa, in onore e gloria del Dio dei Cieli ebreo, cristiano, musulmano” (M. Pacifico, 2019). L’abilissima mossa politica e diplomatica però non piacque a tanti, convinti che la conquista di Gerusalemme si basava solo su una tregua destinata a finire. Tutto ciò creò ulteriori dissidi con il Papa: il pontefice scandalizzato per il trattato di pace con gli infedeli, chiese la disubbidienza dei sudditi e invase il regno federiciano.
Dopo l’autoincoronazione a re di Gerusalemme nel Santo Sepolcro, un gesto memorabile a voler dimostrare come la regalità non dipendesse dalla Chiesa, ma gli provenisse direttamente da Dio, l’imperatore tornò in Italia seguito da un contingente armato di tedeschi, qui si organizzò per la riconquista del regno dell’Italia meridionale, occupato in parte dalle armate papali. In Puglia solo tre città gli erano rimaste fedeli, Barletta, Andria e Brindisi, proprio in quest’ultima sbarcò il 10 giugno, positivamente impressionato dall’accoglienza, come racconta lo storico Kantorowicz: “era tanto stupefacente che, al vedere le insegne imperiali, gli abitanti della città non credevano ai propri occhi, perché già avevano pianto Federico II per morto. Solo quando videro l’imperatore in persona capirono la menzogna del papa. Grande fu il giubilo con cui Federico II fu accolto; e in brevissimo tempo si propagò la notizia del suo arrivo. La situazione era rapidamente cambiata”. Lo stesso Federico scrisse all’emiro Fakhr-ed-Din: “allorché dunque sbarcammo nel porto di Brindisi – Dio lo guardi! – trovammo che (i rivali) avevano fatto a gara nell’irrompere nel nostro regno […] ma quando si sparse la voce del nostro ritorno […] i nostri nemici, smarriti e tosto volgendo la schiena, si ritirarono disordinatamente”.
L’anno successivo venne richiamato a Brindisi l’esercito per far rientro nei luoghi di provenienza.