Uno sguardo alla pedagogia immaginale

Chi erano gli alchimisti? Cosa facevano? Gli alchimisti , attraverso la pietra filosofale , volevano trasformare il piombo in oro. Secondo loro, anche ciò che era più pesante e meno nobile poteva trasformarsi nel metallo più prezioso.
Cosa centra l’alchimia con la pedagogia allora,fatta eccezione l’evidente assonanza tra i due vocaboli?
Per comprenderlo dobbiamo avvicinarci al concetto di pedagogia immaginale, cioè a quello sguardo diverso con cui ci si rivolge alle cose; non più dall’esterno e di fronte, ma per esprimerlo con le parole di Rilke, “ da una distante intimità, in cui lo spazio interiore del mondo accetti di manifestarsi.” Guida essenziale per uno sguardo così orientato è senza dubbio la dottrina alchemica, nell’alchimia riscopriamo quella ramificatissima catena (Aurea catena) di impronte, di sigilli, che rende ogni spiritualità legata ad operatività concreta e viceversa. Siamo legati in modo latente ma non imperscrutabile, al resto del cosmo e la nostra guarigione passa attraverso la guarigione del mondo.
L’alchimia è espressione di una pulsione a trasformare la materia prima dell’esperienza, in conoscenza: vuole portare alla luce il lato divino che dorme nell’oscurità degli istinti. Consente quindi, a tutti noi di trasformare i momenti di confusione e di dolore nella chiarezza di visione e leggerezza dell’essere; l’alchimia consiste nell’accettare tutto ciò che è nel “calderone,” senza cercare di rifiutare o di correggere, dopo essersi resi conto che anche ciò che è “negativo” fa parte del processo di apprendimento della vita.
Al centro della trasformazione c’è la “piena coscienza” attraverso l’osservazione dei sentimenti, riuscendo a modificare il piombo in oro. Per osservare dall’esterno la nostra mente razionale, identificare i pensieri distruttivi e gli schemi emotivi in cui, spesso, tendiamo a farci imprigionare; configgerli e giungere al distacco e alla libertà emotiva. Il caldo fuoco della piena coscienza potrà dissolvere le nubi delle emozioni e rivelare a noi stessi la nostra intima natura. E’ in questo modo che diventiamo più consapevoli e più felici.
L’alchimia era per Jung la via maestra alla psicologia dell’inconscio, non solo per il metodo costruttivo di amplificazione che ne aveva dedotto, ma anche come sublime e nobile percorso psichico.
Nel suo libro “L’alchimista” Paolo Coelho scrive: << Ogni cosa si deve trasformare in qualcosa di migliore e acquisire un nuovo destino>>. La trasformazione sempre in qualcosa di positivo; l’alchimia avviene nell’incontro tra la parte spirituale con quella materiale, ecco allora che il piombo si trasforma in oro. I simboli dei metalli sono come metafore , gli alchimisti sapevano bene che il mistero che cercavano di risolvere non era del mondo esterno, ma nella psiche, nella parte profonda di noi . In questa maniera attraverso il fuoco, il piombo si trasforma in oro.
Attraverso la trasformazione alchemica possiamo sviluppare verso i nostri pensieri parassiti un’accoglienza ed un’empatia che ci permetta di comprendere le nostre percezioni e come queste siano a volte fuorviate dai significati nascosti.
La pedagogia immaginale ci invita anche in ambito formativo a riavvicinare quella dimensione intermedia tra corpo e psiche che è il mondo del simbolo.
Abbiamo parlato più volte della capacità di meravigliarci, di essere più aperti all’irrazionale, questo richiede una pedagogia attenta a prestare ascolto al mondo senza voler obbligatoriamente categorizzarlo, senza voler per forza interpretare. Alla ragione che valuta, definisce, bisognerebbe restituire più affettività nel rispetto della complessità del cosmo con cui si relaziona e dello specifico originario: il bambino. La comprensione simbolica del mondo è un’adesione infantile ad esso; secondo Bachelard l’infanzia ci può insegnare a immaginare l’inscindibilità tra corpo e psiche e una propensione all’immaginativo. Tutto ciò non è rifiuto dell’intelletto, del sapere tradizionalmente inteso, ma della sua assolutizzazione a unico modello di conoscenza.
Vogliamo concludere con una storiella che viene descritta nel libro Alchimia Emotiva di Tara Bennett-Goleman: “Un giorno una maestra chiese in una classe di prima elementare di che colore fossero le mele. La maggior parte dei bambini rispose <<rosse>>e qualcuno disse <<verdi>>. Ma un bambino alzò la mano per dire che secondo lui le mele erano bianche. La maestra spiegò pazientemente che le mele potevano essere rosse, o anche gialle, ma non bianche.
Ma il bambino insisteva. Alla fine cercò di spiegarsi:<<Deve guardare dentro>>.
<<La percezione, senza la piena coscienza, ci mantiene sulla superficie delle cose>> dice Joseph Goldstein, che ha raccontato la storia della mela << e spesso perdiamo alcuni livelli di realtà>>.

Dott.ssa Fedrica Protopapa
Dott. Luigi Persano