Domenica mattina, alle ore 8, presso la chiesa di San Paolo Eremita, la “sua” chiesa, sarà celebrata una messa in ricordo di don Vittorio Papadia, scomparso il 18 luglio scorso a seguito di una crudele e dolorosa malattia all’età di 80 anni.
Avendolo conosciuto a metà degli anni settanta quando, da ragazzino, passavo gran parte dei miei pomeriggi all’oratorio della Cattedrale, di cui don Vittorio era vice parroco ed avendo continuato a frequentarlo per tutto l’arco di questi quarant’anni, partecipando spesso alla messa che la domenica mattina celebrava nella chiesa di San Paolo ma anche – ed oserei dire soprattutto – aspettandolo a fine celebrazione per andare a prendere un caffè e scambiare quattro chiacchiere al tavolino del vicino bar Miryam insieme ad altri ragazzini di 40 anni fa come Donato, Filomena e Maurizio oltre che alla fedele perpetua Tommasina, mi sento di dover scrivere qualcosa in suo ricordo in quanto è stata certamente una persona che ha segnato profondamente la mia vita come quella di tanti altri brindisini.
Come sacerdote, pur essendo un tradizionale, è stato decisamente atipico: molto indipendente, ma mai ribelle, ed estremamente colto, ben al di là ed al di sopra delle sue tante lauree umanistiche, da quella in filosofia a quella in lettere, da quella in teologia alle specializzazioni in latino medioevale e filologia romanza, negli anni sessanta avrebbe voluto continuare a studiare iscrivendosi alla facoltà di medicina, ma la Curia, all’epoca, lo sconsigliò vivamente ritenendo inopportuno per un sacerdote dedicarsi a materie non prettamente umanistiche e lui obbedì ed a trent’anni lasciò la porporata Roma, disinteressandosi ad una sicura carriera di palazzo come quella, invece, che intraprese il suo compagno di studi Tarcisio Bertone, per tornare nella sua terra d’origine e dedicarsi proficuamente all’insegnamento presso le scuole superiori ed alla cura dei tanti ragazzi disagiati che in quegli anni erano ospitati nell’Istituto Margiotta, sulla litoranea nord di Brindisi
Nominato, successivamente, vice parroco della Cattedrale, al fianco di don Giuseppe Cavaliere, continuò a dedicarsi, oltre che della cura delle anime e dei tanti gruppi parrocchiali che negli anni settanta popolavano il Duomo, all’insegnamento di materie letterarie presso l’Istituto Tecnico Commerciale Flacco di Brindisi.
E fu proprio questa sua passione per l’insegnamento e per gli studi, che, in qualche modo gli tarpò nuovamente la carriera ecclesiale quando, dopo la morte prematura del parroco Don Giuseppe Cavaliere l’allora arcivescovo di Brindisi don Settimio Todisco, lo pose di fronte alla scelta di fare il parroco della Cattedrale o continuare ad insegnare materie letterarie ed il buon don Vittorio non ci pensò due volte e continuò ad insegnare lettere, venendo di fatto confinato presso la rettoria della chiesa di San Paolo, unico esempio di architettura gotica nella provincia di Brindisi, edificata oltre 700 anni addietro dai francescani nella antica zona messapica della città, che anche se storicamente, artisticamente e per tradizioni è molto importante, era ed è, anche, la più fatiscente della Diocesi essendo da secoli abbandonata a se stessa nonostante siano necessari interventi strutturali radicali a sua salvaguardia.
Don Vittorio accettò di buon grado questo declassamento e questa nuova sfida e tutto quello che poteva fare per questa chiesa, pur senza avere disponibilità economiche, è riuscito a farlo: ha salvato le innumerevoli tradizioni collegate a questa antico edificio di culto ed alle confraternite presenti, contribuendo a tenere vivi anche arcaici riti religiosi ed antichissime devozioni che si perdono nella notte dei tempi, come il settenario in onore della miracolosa Madonna del Terremoto, in ricordo di un episodio accaduto in occasione del rovinoso sisma del 1743 quando la statua della Madonna allargò le braccia al cielo e sollevò lo sguardo davanti a decine di fedeli che, rifugiatisi in chiesa, pregavano ai suoi piedi.
Particolarissima è anche la tradizione, riscoperta da don Vittorio, condita da canti medioevali di derivazione tardo latina, della via Crucis svolta ogni sabato, anziché venerdì, di Quaresima e, per rimanere alle celebrazione pasquali, dopo la processione dei Misteri del Venerdì Santo, cui partecipa da sempre la confraternita di San Paolo con i tradizionali confratelli incappucciati, la statua dell’Addolorata ed il cataletto con Cristo morto, quella che è, probabilmente, la peculiarità, verrebbe da dire il pezzo forte, delle tradizioni conservate dalla chiesa di San Paolo grazie anche a don Vittorio: la cosiddetta “Matonna fuci fuci” cioè la statua della Madonna portata di corsa dal fondo della chiesa all’altare verso la statua di Cristo risorto al momento del Gloria nella messa della mattina di Pasqua, il tutto in mezzo al clamore di antiche trenule in legno in un clima rovente quasi da stadio.
Don Vittorio, nel 2002, ha anche scritto un dotto libro, edito dalla Neografica di Latiano, intitolato “dal paganesimo al cristianesimo,la Chiesa di San Paolo Eremita”, in cui tratta della sua architettura e dei suoi culti e sperava, con i fondi raccolti in tal modo, di poter mettere anche mano alla ristrutturazione della chiesa o, quanto meno a quegli interventi urgenti per evitarne la rovina ed è stato proprio lo stato di quasi abbandono in cui l’edificio di culto si trova ad essere il maggiore cruccio della sua vita anche perchè ogni qual volta sembrava che stessero per arrivare i fondi necessari a sistemare la “sua” chiesa puntualmente questi finivano per essere utilizzati per altre necessità, sicuramente importanti, ma altrettanto sicuramente meno urgenti.
Speriamo che ora che don Vittorio non c’è più non cada nel dimenticatoio questa antica Chiesa con le sue antichissime tradizioni, i suoi arcaici culti ed il suo ormai indifferibile bisogno di opere di consolidamento e rifacimento che ne impediscano la rovina, almeno questo, a don Vittorio, ma anche alla nostra città ed alla nostra storia, lo dobbiamo.
Alessandro Caiulo