Novantanove anni fa la tragedia della Benedetto Brin

di GIANCARLO SACRESTANO

Erano passate da poco le 8 del mattino, quel 27 settembre del 1915, 99 anni fa. Era un Lunedì e da appena quattro mesi l’Italia aveva iniziato le ostilità della prima Guerra Mondiale. La nave da battaglia “Benedetto Brin, era ormeggiata nel porto medio della città di Brindisi quando un violentissimo boato ruppe la tranquillità che pareva l’unica ostilità in vista per i marinai e l’intera città.
Uno spettacolo spaventoso di presentò agli occhi dei testimoni. La torre poppiera fu scagliata in aria, mentre il fumaiolo e l’albero di poppa, frantumati in piccoli pezzi ricadeva in mare attorno al colosso agonizzante. In considerazione dell’ora della tragedia, tutto l’equipaggio si trovava a bordo e dei 943 uomini che in quel momento erano imbarcati, ne morirono 456 dilaniati dagli scoppi, schiacciati dai crolli dei ponti e delle paratie, inabissati con la nave. “nel fumo denso – raccontò Fausto Leva, testimone oculare, il cui ricordo è stato raccolto in “La base Navale di Brindisi durante la grande guerra di Teodoro Andriani” – si distinse per un momento la massa d’acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm., che lanciata in aria dalla forza dell’esplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della B.Brin fu veduto appoggiarsi senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l’acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria,la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta ad un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l’albero di poppa, si erge ancora dritto e verticale l’albero di trinchetto” .
La folla muta assistette al recupero dei corpi dilaniati e a dei superstiti che furono raccolti dalle imbarcazioni delle altre navi, italiane e francesi presenti nel porto, e portati nelle loro infermerie, nell’ospedale della Croce Rossa e nell’
Albergo Internazione, subito adibito ad infermeria d’emergenza.
La Marina emanò un comunicato nel quale si asseriva che la nave era affondata per lo
scoppio del deposito munizioni. Furono ipotizzate varie ipotesi da una apposta Commissione d’inchiesta:
-il lancio di un siluro da parte di un sommergibile austriaco ( subito scartato in quanto l’ingresso del porto era protettoda rete antisommergibile);
-la santa Barbara, non adeguatamente coibentata, eratroppo vicino alla sala macchine e la paratia stagna poppiera non era stata in grado di fermare il calore che non veniva adeguatamente disperso dai ventilatori, provocando lo scoppio, per autocombustione della balistite, un potente esplosivo che esplodeva senza produrre fumo ( nei giorni seguenti tutta la balistite fu sbarcata dalle altre navi);
– un sabotaggio da parte di traditori italiani ed elementi del servizio segreto austriaco. Si optò per la terza ipotesi in quanto nel corso dell’anno si erano verificati diversi sabotaggi ad impianti militari ed industriali.
Questa mattina mi sono recato al cimitero comunale per rendere omaggio ad una piccola testimonianza di quel disastro. Ai piedi del monumento dedicato ai caduti in mare presso il settore destinato ai militari, una piccola foto, ricorda Pietro Pagni, tenente di Vascello della Regia Nave “B. Brin” nato nel 1884 e morto nel 1915. La didascalia che accompagna le scarne annotazioni biografiche recita: “ARSE IMMORTALO”. Una precaria immagine fotografica su una incrinata lastra di ceramica completa il ricordo sepolcrale, posto al lato sinistro della bella e mesta immagine della “Madre Patria” afflitta per la perdita dei suoi eroici figli. Una didascalia impressa con color inchiostro, suona come tributo: “ GLORIA AI CADUTI PER LE REDENTI …”.
A quasi un secolo di distanza, la nostra è umile memoria, se ci è permesso, preghiera in suffragio per chi, col sacrificio della vita ha permesso la nostra libertà.